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Se mi chiedi cos'è una famiglia
Mi sveglio presto e mi metto la cravatta.
Forse è un po' ridicolo, lo so.
Chissà se in queste occasioni si mette la cravatta? Lo chiederei a Nora, se fosse ancora qui. Sono certo che mi guarderebbe con quegli occhi scuri come il carbone e un sorriso malizioso e mi direbbe: Ma chi lo dice, quando possiamo mettere la cravatta? Toh, la metto anche io!
Ragazza insolente. Sorrido e mi tengo la cravatta. Nora ha sempre avuto ragione su un sacco di cose, in effetti.
Mi guardo allo specchio, sono pronto.
Oggi è un giorno speciale. Per Lea. E per me.
Che ho l'mmenso privilegio di essere il suo genitore due.
Non suo padre, quello è uno stronzo patentato che dovrebbe morire a ogni angolo di strada, in eterno.
No. Io sono il suo genitore due. E ne sono fiero.
Oggi Lea arbitra la sua prima partita di footy. La piccola Lea dagli occhi di cielo oggi spaccherà il culo ai passeri.
Lo so.
Non ho mai pensato che mi sarei ritrovato a fare il padre.
Il patrigno, anzi. Che può essere meglio.
All'inizio non lo ero, meglio. Perché non ci avevo mai pensato. È successo.
Ho incontrato Nora in campeggio a Uluṟu, mi sono innamorato di Nora quella sera, sotto le stelle, chiacchierando fitto fitto, i suoi occhi splendenti sotto le meraviglie della natura.
Il giorno dopo ho bussato alla sua roulotte e ho scoperto che insieme a Nora c'era Lea, nascosta dietro la sua gamba sinistra, due anni e mezzo di occhi enormi e azzurri da morirci dentro, e saggi; un piccolo incanto.
E non è vero che i bambini sono tutti belli e simpatici, proprio no. I figli di mia sorella sono sempre stati piccoli teppisti, e le figlie lacrimose e pronte a lamentarsi per qualche dispetto.
Nora è sempre stata meravigliosa, e sua figlia altrettanto. Sembrava grande, sembrava più adulta: si fermava sulla soglia della cucina, la mattina, e ci guardava, noi seduti a tavola con il caffè. Si fermava sempre, prima di entrare, sostava sulla soglia come a non voler disturbare, non so chi non volesse disturbare, ma stava lì. Ferma e minuscola, con un orso di pezza sotto al braccio. Fino a quando non riceveva un sorriso di benvenuto, aspettava.
Non lo so come sarebbero andate le cose se Lea fosse stata diversa, se fosse stata come gli altri bambini. Magari sarei scappato a gambe levate. Mi sarei spaventato. Ma Lea aveva quella luce, negli occhi, che diceva: lo so, lo so, che potrei sembrarti un peso, lo so, ma io mi metto qui e non dico niente. Vedrai che andrà tutto bene.
Non che avessi la sensibilità per capire tutto questo, allora. Ma non mi serviva per capire che quei due esseri umani erano speciali.
Quando erano arrivate al ranch, per viverci con me, Lea mi aveva conquistato definitivamente.
Fino a quando non è andata a scuola, usciva con le sue cose. Cosi le chiamava lei.
«Esco con le mie cose» e andava. Usciva e stava davanti al recinto dei cavalli, seduta a gambe incrociate, con le matite o i pennelli, e disegnava. Il giorno dopo correva con la palla tutto il pomeriggio. O stava sdraiata a pancia in giù a cercare pietre vicino alle stalle. Delle volte la sentivo parlare con le galline.
Le sue cose non erano cose vere. Lea usciva con Lea. Lea era le sue cose.
La sera rientrava mai troppo sporca, mai troppo in ritardo, e sempre sorridente. E con un sacco di curiosità da raccontare e di scoperte da farci vedere.
Dopo cena e dopo il bagno, ci sistemavamo in salotto.
Il salotto.
Io, prima di Nora e Lea, un salotto non lo avevo; c'erano delle stanze vuote nel ranch, ma la mia vita era sempre stata fuori, nei recinti e nelle stalle, e per me vuote sarebbero rimaste; non mi servivano.
«Niente è più necessario del superfluo, diceva Oscar Wilde».
Così mi aveva accolto Nora una sera; aveva spostato il televisore nella stanza adiacente alla cucina e aveva comprato un divano dal rigattiere.
«Questo è il nostro salotto nuovo, Joji».
Aveva annunciato Lea con tono solenne, affibbiandomi un soprannome che mi sarebbe rimasto attaccato da lì al per sempre.
Ci eravamo sistemati tutti e tre sul divano.
«Mi sembra un meraviglioso salotto, lo penso davvero» ed ero sincero. Era spoglio ma sapeva di cose buone.
Poi Lea aveva cominciato a raccontarci la sua giornata: le galline erano simpatiche, il cavallo con la macchia sulla fronte aveva mangiato una delle carote che si era portata , e poi aveva raccolto dei sassi bellissimi, li volevano vedere?
Quello lo ricordo come uno dei giorni più felici della nostra vita
Avevo cominciato a pensare a loro come una parte integrante della mia vita.
Nora e Lea. Una cosa unica che non si poteva dividere. E dove spesso non si poteva neanche entrare.
«Se mi chiedi cos'è una famiglia» mi aveva detto quella sera Nora, quando Lea dormiva con la testa sulle sue gambe e io e lei guardavamo un vecchio film come se fosse un film muto «è questo».
Aveva aperto un braccio ad avvolgere la stanza e Lea e con l'altro aveva stretto me.
Quel giorno, un anno dopo averle conosciute e dopo appena due mesi di vita insieme, avevo capito che Nora aveva ragione: noi eravamo una famiglia.
C'è una parentesi rosa, dopo quel giorno. Fatta di vita condivisa, ordinaria ma felice.
Tempo passato talmente veloce che ho macchie confuse: il primo giorno di scuola di Lea, io e Nora in Comune che ci sposiamo e Lea che sorride senza denti, il nostro tour annuale a Uluṟu per celebrare l'anniversario del nostro incontro, Lea che diventa alta e Nora che dice - Ma guarda un po' mia figlia somiglia più a te che a me -, e lo dice con un sorriso pieno di felicità. Pieno pieno di felicità. Perché eravamo felici. E lo siamo stati davvero tanto e per tantissimo tempo; forse lo siamo stati troppo. Questo mi sono detto, poi. Che forse l'avevamo consumata, tutta quella felicità che ci viene data come un fardello, da spendere in pochi e selezionati momenti e mai esagerando. E noi abbiamo esagerato.
Abbiamo preso tutto e abbiamo riso troppo forte, e ci siamo abbracciati e abbiamo girato l'Australia sul nostro camper e abbiamo pensato che nessun posto era bello come la nostra casa, lo abbiamo pensato tutte le maledette volte, ridendo ancora più forte. Dal nostro divano, dal nostro salotto, nei giorni limpidi riuscivamo a vedere la punta del monolito, e quel monolito proteggeva il nostro amore e la nostra famiglia. Noi ci meritavamo di essere felici e di esserlo tanto.
«Naaaa, non abbiamo esagerato».
Lo dico con la voce di Nora.
Sei proprio un vecchio imbecille, Joji. Questo lo penso, ma con la voce di Lea, che riesce a trasmettere amore anche quando ti insulta.
Quando avevo cominciato ad arbitrare alcune partite di footy durante l'inverno, Lea veniva con me. La prima volta avevo pensato anche che sarebbe stata l'ultima. Aveva otto anni e le sue cose negli anni si erano ampliate, ma nessuna aveva a che fare con lo sport.
E invece il sabato dopo l'avevo trovata già pronta in cucina alle nove e mezza del mattimo.
«Posso venire anche io, Joji?».
A parte che non le avrei detto di no neanche se mi avesse scocciato la sua compagnia.
Ma invece ero così felice che avevo urlato «Sì!» pieno di entusiasmo e ci eravamo messi a saltare insieme in cucina.
«Siete due cretini.» Nora era entrata in vestaglia, sbadigliando. Poi aveva sorriso.
«Mi portate il gelato, quando tornate? Io vi preparo il pranzo».
«Sì, mamma , ma non quelle cose strane esotiche dei giornali di cucina, che quelle bleah…».
«Lea, tesoro mio, vai in giro con Joji a divertirti? E allora mangerai quello che sceglierò io».
La scena si ripeteva tutti i sabati, ridevamo e andavamo ad arbitrare la partita.
Rientrati a casa ci sistemavamo in salotto e la commentavamo, in sottofondo la voce di Nora che si lamentava allegramente sul dove era finita, che pensava di stare con un rancheros e di avere una figlia hippy e invece si trovava con due tecnici di Aussie Rules, e se la rideva in cucina, parlando al telefono con “mia” sorella in vivavoce. Riuscivamo a sentire le loro risate anche con le porte chiuse. Anche questo era un altro dei riti del sabato.
E intanto il salotto intorno a noi si modificava e diventava la stanza dove essere famiglia.
Il primo anno avevamo aggiunto il tavolino basso e due poltrone, poi il videoregistratore e delle mensole, poi avevamo cambiato divano. Ogni volta che i nostri interessi si ampliavano, anche il salotto cambiava intorno a noi. Libreria e poltroncina per le letture di Lea? In salotto. Cavalletto e pennelli di Nora? In salotto. Lavagna bianca dove con Lea commentavamo le partite che avevo appena arbitrato? In salotto.
Fuori da quella stanza ognuno di noi aveva impegni, scadenze, compiti da svolgere, incombenze da portare a termine. Lì dentro ognuno aveva solo le sue cose; le cose che amava.
I film li guardavamo sempre la domenica pomeriggio, quando niente e nessuno aveva più bisogno di noi.
“The Blues Brothers” era il nostro preferito, ci sganasciavamo dalle risate e poi ballavamo in piedi sul divano. Con “Lo squalo” Lea aveva smesso di fare il bagno nella vasca e l'avevamo presa in giro per mesi.
In primavera abbandonavamo il salotto, il ranch e tutta la nostra realtà, montavamo sul camper come dei novelli esploratori e meno di un'ora circa parcheggiavamo nel nostro posto preferito. Ci arrivavamo sempre all'ora del tramonto, con dei panini già pronti. La coperta stesa al volo diventava il nostro salotto prêt-à-porter e ci perdevamo a guardarlo, il nostro personale piccolo dio pagano, fatto di roccia e secoli di storia, che ci aveva fatti incontrare. Ringraziarlo ero un altro dei nostri riti; io il primo anno ne avevo riso, ma quando eravamo arrivati avevo capito. Anche se mi vergognavo ad ammetterlo, avevano ragione loro. Uluṟu andava ringraziato. Magari non come un dio ma come un amico che ti fa conoscere le tue anime gemelle, certo, ma comunque andava ringraziato.
Quando Lea aveva da poco compiuto dodici anni, Nora è svenuta in bagno e ha sbattuto la testa contro il lavandino. Io ero a lavoro nelle stalle e Lea era a scuola. Nora era sola in casa.
Era incinta di due mesi. Troppa felicità, l'ho detto. Troppa.
L'ha trovata Lea. Una delle cose che non mi perdonerò mai.
Quando sono rientrato per il pranzo, ho sentito i singhiozzi. Lea stringeva Nora come una zattera in mezzo al mare. Ho chiamato un'ambulanza, la polizia, ho strappato Lea dal corpo senza vita di sua madre, mia moglie, il mio per sempre che affogava nel sangue.
Ho ingoiato il dolore e ho tenuto stretta Lea, la mente febbrile a cercare il modo per tornare indietro nel tempo, rientrare prima, non lasciare Nora da sola, perché avevo lasciato Nora da sola?
Il dopo è una parentesi nera. E melmosa.
Di dolore trascinato, di sensi di colpa, di giorni passati abbracciati stretti sul divano, nel buio, a piangere. Di sabati trascorsi ciondolando per casa, niente più footy, niente più film, niente di niente. Di una sorella devastata dal dolore che bussa alla porta una domenica mattina e ci trascina fuori dal salotto, ci fa mangiare e ci da una bella strigliata, condita da – Se Nora vi vedesse, vi sputerebbe in faccia, dovete solo vergognarvi- che in effetti ci fa vergognare non poco.
Quasi dieci anni con Nora. Per Lea più di dodici. Ci sentivamo persi. Derubati.
«Troppa felicità».
Una sera lo avevo detto ad alta voce.
Lea mi aveva dato uno schiaffo. Non mi aveva fatto male. Ma mi aveva ferito.
«Stupido stupido, Joji. Troppa felicità? E chi lo dice? La felicità non è mai troppa, stupido stupido papà…».
Aveva pianto tanto, quella sera. Aveva pianto vomitando le lacrime e il dolore, singhiozzando, stretta nel mio abbraccio.
E poi avevo pianto tanto anche io, urlando il dolore come un ruggito.
Il giorno dopo era un splendido giorno autunnale ed era marzo, quasi il compleanno di Lea. Avevo preparato tutto in silenzio, mi sentivo sereno dopo molto tempo.
Poi l'avevo svegliata.
«Che ne dici di una gitarella a Uluṟu?».
«Portiamo anche la mamma?».
«Certo che sì, è già sul camper».
Mi aveva stretto forte la mano e mi aveva sorriso.
Sul camper avevamo viaggiato con le nostre canzoni in sottofondo, Lea seduta accanto a me che teneva stretta l'urna che un tempo era Nora.
Ci siamo fermati a Uluṟu venticinque giorni. Festeggiando il compleanno di Lea seduti sotto il monolito, raccontandoci ricordi belli, e ne avevamo tanti. Tutto il tempo necessario a lasciare andare Nora, un cucchiaio per volta ai piedi del monolito, ridendo forte ogni volta.
Il primo giorno erano risate forzate. Quando siamo partiti ridevamo forte davvero, di nuovo. Non in tre ma in due. Ma con ancora quella coda di felicità che ci seguiva come una scia. Qualche cucchiaio di Nora ancora con noi, per non dimenticare. Perché nel salotto ci sono le nostre cose.
Lo stadio è pieno e dagli spalti guardo Lea e sono così felice che rido. Piano, perché va bene essere felici ma in certi casi meglio la discrezione.
Seguo la partita, ipnotizzato dai suoi movimenti, dalla sua precisione, sempre presente, sempre attenta. Impeccabile.
Ringrazio Nora per avermi scelto, tra tutti gli uomini che avrebbe potuto scegliere. La ringrazio ogni giorno.
Dopo abbraccio una Lea sudata ed entusiasta. Dopo abbraccio mia figlia.
Ça va sans dire: ridiamo forte.
Ci sentono fino al cielo.
Different Staff- Admin
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Certamente, una famiglia sta nel racconto che ho letto.
Sono tre giri che non becco un punto al campionato dei commenti, quindi...
"Fino a quando non riceveva un sorriso di benvenuto, aspettava."
Aspettava, fino a quando non riceveva un sorriso di benvenuto."
Ho invertito "aspettava", secondo me è più incisivo.
"«Esco con le mie cose» e andava."
"«Esco con le mie cose,» e andava."
"La sera rientrava mai troppo sporca, mai troppo in ritardo, e sempre sorridente."
Ho un dubbio sulla costruzione di questa frase. Ho capito il "mai...mai...", insomma irreprensibile, ma non basta essere sorridenti per dimostrarlo. Secondo me.
"e per me vuote sarebbero rimaste; non mi servivano."
non avrei messo ; ma semplicemente ,
"«Niente è più necessario del superfluo, diceva Oscar Wilde»."
Infatti la massa non lo capisce...
"affibbiandomi un soprannome che mi sarebbe rimasto attaccato da lì al per sempre."
Sembra che il soprannome affibbiato non aggradi l'interessato...ma non è così.
"una delle carote che si era portata , e poi aveva raccolto dei sassi bellissimi,"
Uno spazio di troppo prima della , dopo "era portata"
"Quello lo ricordo come uno dei giorni più felici della nostra vita"
"Quello lo ricordo come uno dei giorni più felici della nostra vita"
«Se mi chiedi cos'è una famiglia» mi aveva detto quella sera Nora, quando Lea dormiva con la testa sulle sue gambe e io e lei guardavamo un vecchio film come se fosse un film muto «è questo».
«Se mi chiedi cos'è una famiglia,» mi aveva detto quella sera Nora, mentre Lea dormiva con la testa sulle sue gambe, «è questo.»
Arriva al dunque...
"Tempo passato talmente veloce che ho macchie confuse: il primo giorno di scuola di Lea, io e Nora in Comune che ci sposiamo e Lea che sorride senza denti, il nostro tour annuale a Uluṟu per celebrare l'anniversario del nostro incontro, Lea che diventa alta e Nora che dice - Ma guarda un po' mia figlia somiglia più a te che a me -, e lo dice con un sorriso pieno di felicità. Pieno pieno di felicità. Perché eravamo felici. E lo siamo stati davvero tanto e per tantissimo tempo; forse lo siamo stati troppo. Questo mi sono detto, poi. Che forse l'avevamo consumata, tutta quella felicità che ci viene data come un fardello, da spendere in pochi e selezionati momenti e mai esagerando. E noi abbiamo esagerato."
Questo paragrafo mi fa incartare quando lo leggo. Ho seguito il tuo racconto, capisco la sua evoluzione ma qui m'incarto un po'. Cercherò di trovare una variante da proporti, ora su due piedi mi sfugge.
"Abbiamo preso tutto e abbiamo riso troppo forte, e ci siamo abbracciati e abbiamo girato l'Australia sul nostro camper e abbiamo pensato che nessun posto era bello come la nostra casa, lo abbiamo pensato tutte le maledette volte, ridendo ancora più forte."
Occhio: "abbiamo" ripetuto 5 volte in tre righe.
"poi il videoregistratore"
Citazione vintage, anzi contemporanea, ma bella.
"I film li guardavamo sempre la domenica pomeriggio, quando niente e nessuno aveva più bisogno di noi."
Eh già, mica c'era niente da fare, a quei tempi di domenica. Si aspettava soltanto novantesimo minuto...e mica tutti li aspettavano...
Devo essere sincero: il racconto non spacca. Bello per il suo alone vintage, per il contemporaneo che vuole riproporre, ma sicuramente non funziona per i più. O meglio funziona per i contemporanei di un certo periodo come me appunto, poiché genera nostalgia, ma nulla più. La nostra Lea arbitro di footy ha un ruolo marginale, tutt'altro è Lea per la famiglia che continua la sua vita senza Nora.
Discreto, ma comunque grazie all'Autore.
Sono tre giri che non becco un punto al campionato dei commenti, quindi...
"Fino a quando non riceveva un sorriso di benvenuto, aspettava."
Aspettava, fino a quando non riceveva un sorriso di benvenuto."
Ho invertito "aspettava", secondo me è più incisivo.
"«Esco con le mie cose» e andava."
"«Esco con le mie cose,» e andava."
"La sera rientrava mai troppo sporca, mai troppo in ritardo, e sempre sorridente."
Ho un dubbio sulla costruzione di questa frase. Ho capito il "mai...mai...", insomma irreprensibile, ma non basta essere sorridenti per dimostrarlo. Secondo me.
"e per me vuote sarebbero rimaste; non mi servivano."
non avrei messo ; ma semplicemente ,
"«Niente è più necessario del superfluo, diceva Oscar Wilde»."
Infatti la massa non lo capisce...
"affibbiandomi un soprannome che mi sarebbe rimasto attaccato da lì al per sempre."
Sembra che il soprannome affibbiato non aggradi l'interessato...ma non è così.
"una delle carote che si era portata , e poi aveva raccolto dei sassi bellissimi,"
Uno spazio di troppo prima della , dopo "era portata"
"Quello lo ricordo come uno dei giorni più felici della nostra vita"
"
«Se mi chiedi cos'è una famiglia» mi aveva detto quella sera Nora, quando Lea dormiva con la testa sulle sue gambe e io e lei guardavamo un vecchio film come se fosse un film muto «è questo».
«Se mi chiedi cos'è una famiglia,» mi aveva detto quella sera Nora, mentre Lea dormiva con la testa sulle sue gambe, «è questo.»
Arriva al dunque...
"Tempo passato talmente veloce che ho macchie confuse: il primo giorno di scuola di Lea, io e Nora in Comune che ci sposiamo e Lea che sorride senza denti, il nostro tour annuale a Uluṟu per celebrare l'anniversario del nostro incontro, Lea che diventa alta e Nora che dice - Ma guarda un po' mia figlia somiglia più a te che a me -, e lo dice con un sorriso pieno di felicità. Pieno pieno di felicità. Perché eravamo felici. E lo siamo stati davvero tanto e per tantissimo tempo; forse lo siamo stati troppo. Questo mi sono detto, poi. Che forse l'avevamo consumata, tutta quella felicità che ci viene data come un fardello, da spendere in pochi e selezionati momenti e mai esagerando. E noi abbiamo esagerato."
Questo paragrafo mi fa incartare quando lo leggo. Ho seguito il tuo racconto, capisco la sua evoluzione ma qui m'incarto un po'. Cercherò di trovare una variante da proporti, ora su due piedi mi sfugge.
"Abbiamo preso tutto e abbiamo riso troppo forte, e ci siamo abbracciati e abbiamo girato l'Australia sul nostro camper e abbiamo pensato che nessun posto era bello come la nostra casa, lo abbiamo pensato tutte le maledette volte, ridendo ancora più forte."
Occhio: "abbiamo" ripetuto 5 volte in tre righe.
"poi il videoregistratore"
Citazione vintage, anzi contemporanea, ma bella.
"I film li guardavamo sempre la domenica pomeriggio, quando niente e nessuno aveva più bisogno di noi."
Eh già, mica c'era niente da fare, a quei tempi di domenica. Si aspettava soltanto novantesimo minuto...e mica tutti li aspettavano...
Devo essere sincero: il racconto non spacca. Bello per il suo alone vintage, per il contemporaneo che vuole riproporre, ma sicuramente non funziona per i più. O meglio funziona per i contemporanei di un certo periodo come me appunto, poiché genera nostalgia, ma nulla più. La nostra Lea arbitro di footy ha un ruolo marginale, tutt'altro è Lea per la famiglia che continua la sua vita senza Nora.
Discreto, ma comunque grazie all'Autore.
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"La strada dell'eccesso porta al palazzo della saggezza." William Blake
Sensa cugnisiun

Molli Redigano- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Ho iniziato la lettura di questo racconto pensando fosse un racconto che parlasse del quotidiano, di storie normali e di piccole gioie familiari. Forse è stato il titolo a suggerirmi questa chiave e quindi mi sono approcciato alla lettura sotto quest’ottica. Ho terminato con un pugno nello stomaco. Mi hai trasmesso il dolore.
Affronti molti temi:
- la politica (sfiori genitore uno e due, esprimi decisamente il tuo punto di vista in una sola riga). Questo è un aspetto importante per chi scrive, bisogna prendere posizione e fornire argomentazioni, e io ti ringrazio per averlo fatto nel tuo racconto;
- la presenza femminile nel calcio e di conseguenza anche nell’arbitraggio: se ne parla poco, lo si fa poco;
- La costruzione del salotto come costruzione di una famiglia (che poi è il principio sul quale è nata l’idea di Different Rooms, costruire piano piano quella che è la nostra casa);
- l’elaborazione del lutto e la forza per andare avanti.
Hai una scrittura molto avocativa, le immagini che costruisci sono vivide e dettagliate nonostante la scrittura sia frammentaria e frastagliata. Ma è chiaro ch queste sono scelte personali dell’autore nelle quali io non entro.
Il racconto parla di molte cose, racconta una storia dolorosa che finisce in una risata.
Ci sono delle imprecisioni nella scrittura e nella formulazione di alcuni periodi ma non inficiano una lettura comunque soddisfacente.
Affronti molti temi:
- la politica (sfiori genitore uno e due, esprimi decisamente il tuo punto di vista in una sola riga). Questo è un aspetto importante per chi scrive, bisogna prendere posizione e fornire argomentazioni, e io ti ringrazio per averlo fatto nel tuo racconto;
- la presenza femminile nel calcio e di conseguenza anche nell’arbitraggio: se ne parla poco, lo si fa poco;
- La costruzione del salotto come costruzione di una famiglia (che poi è il principio sul quale è nata l’idea di Different Rooms, costruire piano piano quella che è la nostra casa);
- l’elaborazione del lutto e la forza per andare avanti.
Hai una scrittura molto avocativa, le immagini che costruisci sono vivide e dettagliate nonostante la scrittura sia frammentaria e frastagliata. Ma è chiaro ch queste sono scelte personali dell’autore nelle quali io non entro.
Il racconto parla di molte cose, racconta una storia dolorosa che finisce in una risata.
Ci sono delle imprecisioni nella scrittura e nella formulazione di alcuni periodi ma non inficiano una lettura comunque soddisfacente.
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IN GRAN SILENZIO OGNI PARTIGIANO GUARDAVA QUEL BASTONE SU IN COLLINA.
REACH OUT AND TOUCH FAITH! Sembrano di sognante demoni gli occhi, e i rai
del lume ognor disegnano l’ombra sul pavimento,
né l’alma da quell’ombra lunga sul pavimento
sarà libera mai!
Quel vizio che ti ucciderà
non sarà fumare o bere,
ma è qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere.
The Raven- Admin
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Si può scrivere un racconto triste e riempirlo di risate?
Be', la risposta è sì, se si riesce ad amalgamare ben bene felicità e tristezza; sì, se si riesce a padroneggiare la scrittura in modo tale da renderla fluida e gradevole nonostante la drammaticità della situazione; in parole povere, sì, se si è bravi come l'autore di questa storia, un autore che riesce a fare della costruzione di un salotto metafora perfetta della progressiva consapevolezza di essere "famiglia".
Ci sono delle piccole imperfezioni nel testo, alcuni inciampi, ma del tutto trascurabili di fronte alla potenza dei sentimenti, alla pienezza dei personaggi e delle loro sensazioni, del loro modo di cadere e rialzarsi senza che i colpi, le incrinature, il dolore riescano a sopraffarli. Della loro capacità di confinare il pianto fra due parentesi molto ravvicinate. Perché è solo la felicità ("Troppa felicità? E chi lo dice? La felicità non è mai troppa") la cifra di questo racconto, la voglia inestinguibile di abbracciarsi e di ridere, ridere per farsi sentire "fino al cielo".
Complimenti e grazie per aver condiviso.
M.
Be', la risposta è sì, se si riesce ad amalgamare ben bene felicità e tristezza; sì, se si riesce a padroneggiare la scrittura in modo tale da renderla fluida e gradevole nonostante la drammaticità della situazione; in parole povere, sì, se si è bravi come l'autore di questa storia, un autore che riesce a fare della costruzione di un salotto metafora perfetta della progressiva consapevolezza di essere "famiglia".
Ci sono delle piccole imperfezioni nel testo, alcuni inciampi, ma del tutto trascurabili di fronte alla potenza dei sentimenti, alla pienezza dei personaggi e delle loro sensazioni, del loro modo di cadere e rialzarsi senza che i colpi, le incrinature, il dolore riescano a sopraffarli. Della loro capacità di confinare il pianto fra due parentesi molto ravvicinate. Perché è solo la felicità ("Troppa felicità? E chi lo dice? La felicità non è mai troppa") la cifra di questo racconto, la voglia inestinguibile di abbracciarsi e di ridere, ridere per farsi sentire "fino al cielo".
Complimenti e grazie per aver condiviso.
M.
M. Mark o'Knee- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Mi é piaciuto davvero tanto il tuo racconto dove mescoli tristezza e felicità sapientemente, senza mai eccedere in una o nell'altra.
Mi piace la tua scrittura asciutta, non ci sono fronzoli, solo le parole giuste.
L'ho letto due volte per imprimerlo e solo per questo ho trovato alcune piccolissime note da farti (per il resto ci ha già pensato @Molli Redigano):
"A parte che non le avrei detto di no neanche se mi avesse scocciato la sua compagnia. " Questa frase risulta un po' appesa.
“mia” sorella. Perché mia l'hai messo tra parentesi?
"e meno di un'ora" = e, in meno di un'ora, ...
Bravo sei nella mia lista.
A rileggerci
Mi piace la tua scrittura asciutta, non ci sono fronzoli, solo le parole giuste.
L'ho letto due volte per imprimerlo e solo per questo ho trovato alcune piccolissime note da farti (per il resto ci ha già pensato @Molli Redigano):
"A parte che non le avrei detto di no neanche se mi avesse scocciato la sua compagnia. " Questa frase risulta un po' appesa.
“mia” sorella. Perché mia l'hai messo tra parentesi?
"e meno di un'ora" = e, in meno di un'ora, ...
Bravo sei nella mia lista.
A rileggerci
Mac- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Con commentatori che ambiscono al premio per il commento non voglio nemmeno cimentarmi e quindi proseguo col mio solito stile. Il racconto mi è piaciuto. I tuoi personaggi sono reali e ci si può affezionare a quella Lea (mi piace trovare un personaggio con il quale lego di più) e alle sue cose. La tragedia della madre che dovrebbe distruggere il loro mondo di risate e invece lo rigenera anche da morta (Un cucchiaio alla volta è veramente splendida) ha riportato la leggerezza nella storia. Finora mi sono imbattuto solo in catastrofi, morti ammazzati e suicidati. Ero in overdose ma anche se tu hai voluto il tuo tributo di morte l'hai fatto in maniera quasi "en passant" che non mi ha turbato. "per viverci con me" "a vivere con me", c'è un "volevano" che dovrebbe essere "volevamo". Altro per me da segnalare non c'è.
Antonio Borghesi- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Un racconto che mi ha tenuta ben ferma dalla prima all’ultima riga, senza se e senza ma.
Si percepisce fin da subito che qualcosa di triste o drammatico accadrà, è lì bene in vista, porto da una scrittura intrigante, semplice ma molto coinvolgente, e quasi ho temuto il momento in cui quel qualcosa accade.
Ma è destino, tutto racchiuso in questa frase: Perché eravamo felici. E lo siamo stati davvero tanto e per tantissimo tempo; forse lo siamo stati troppo.
La stanza. Il salotto, una stanza in passato riservata agli ospiti, la prima in cui entravano, coi mobili magari più pretenziosi, sempre in ordine ma mai vissuta veramente, qui diventa a poco a poco il centro del vivere: un divano, i libri, i pastelli. Un rifugio.
Già il titolo era intrigante ma non ho pensato per un attimo all’attualità dell’evoluzione del concetto di famiglia, come riportato da @The Raven , quanto proprio al significato di famiglia come tale, quale che ne sia la declinazione. Sono figlia di genitori separati e poi divorziati – inutile dire cosa ciò comporti - due che si sono decisi al grande passo quando ancora, in famiglia, avrebbero preferito una bella facciata senza crepe con dietro muri pericolanti, per cui questa idea di famiglia mi ha preso molto e probabilmente influisce sulla mia valutazione, mi sono detta, ma che è così che un racconto deve passare da chi scrive a chi legge, attraverso riflessioni che possano incastrarsi con la tua vita.
Molto intensa la consapevolezza di Joji della fortuna di essere riuscito a sentirsi ed essere padre pur se non padre biologico (che non è detto renda un padre con la p maiuscola), racchiusa in questo passaggio:
Dopo abbraccio una Lea sudata ed entusiasta. Dopo abbraccio mia figlia.
Pensieri messi l’uno in fila all’altro per descrivere persone, sensazioni, riprendere ricordi netti perché i momenti sono stati vissuti pienamente. Un raccontare, anche disordinatamente, una storia attraverso la quotidianità di una vita semplice: decidere per la cravatta, aspettare sulla porta il sorriso prima di entrare, il piacere della condivisione delle piccole ma grandi esperienze di bambina.
La bambina soprattutto è delineata talmente bene da innamorarsene subito: sono nonna quindi la potenza di una piccoletta che ti compra, inconsapevolmente, la conosco molto bene. Con parole semplici ti entrano nell’anima.
Per me è stato vincente scrivere in prima persona: non so se il racconto, affidato ad uno scrivere in terza persona, mi avrebbe coinvolto allo stesso modo o se avrebbe potuto rendere ugualmente bene la storia.
Grazie, cara Penna: ora sono proprio curiosa di sapere chi sei.
L’unico paletto un po’ deboluccio, forse per i motivi ben sintetizzati da @The Raven è l’arbitro.
Ci sono alcuni refusi: per par condicio, cara Penna, te li segnalo, ma sono di quelli che passano inosservati, come un paio di spazi prima di una virgola, l’mmenso privilegio, mattimo.
@Molli Redigano , chirurgico come al solito, ha trovato cosette da sistemare.
Nell'insieme niente che infici un gran bel racconto.
Si percepisce fin da subito che qualcosa di triste o drammatico accadrà, è lì bene in vista, porto da una scrittura intrigante, semplice ma molto coinvolgente, e quasi ho temuto il momento in cui quel qualcosa accade.
Ma è destino, tutto racchiuso in questa frase: Perché eravamo felici. E lo siamo stati davvero tanto e per tantissimo tempo; forse lo siamo stati troppo.
La stanza. Il salotto, una stanza in passato riservata agli ospiti, la prima in cui entravano, coi mobili magari più pretenziosi, sempre in ordine ma mai vissuta veramente, qui diventa a poco a poco il centro del vivere: un divano, i libri, i pastelli. Un rifugio.
Già il titolo era intrigante ma non ho pensato per un attimo all’attualità dell’evoluzione del concetto di famiglia, come riportato da @The Raven , quanto proprio al significato di famiglia come tale, quale che ne sia la declinazione. Sono figlia di genitori separati e poi divorziati – inutile dire cosa ciò comporti - due che si sono decisi al grande passo quando ancora, in famiglia, avrebbero preferito una bella facciata senza crepe con dietro muri pericolanti, per cui questa idea di famiglia mi ha preso molto e probabilmente influisce sulla mia valutazione, mi sono detta, ma che è così che un racconto deve passare da chi scrive a chi legge, attraverso riflessioni che possano incastrarsi con la tua vita.
Molto intensa la consapevolezza di Joji della fortuna di essere riuscito a sentirsi ed essere padre pur se non padre biologico (che non è detto renda un padre con la p maiuscola), racchiusa in questo passaggio:
Dopo abbraccio una Lea sudata ed entusiasta. Dopo abbraccio mia figlia.
Pensieri messi l’uno in fila all’altro per descrivere persone, sensazioni, riprendere ricordi netti perché i momenti sono stati vissuti pienamente. Un raccontare, anche disordinatamente, una storia attraverso la quotidianità di una vita semplice: decidere per la cravatta, aspettare sulla porta il sorriso prima di entrare, il piacere della condivisione delle piccole ma grandi esperienze di bambina.
La bambina soprattutto è delineata talmente bene da innamorarsene subito: sono nonna quindi la potenza di una piccoletta che ti compra, inconsapevolmente, la conosco molto bene. Con parole semplici ti entrano nell’anima.
Per me è stato vincente scrivere in prima persona: non so se il racconto, affidato ad uno scrivere in terza persona, mi avrebbe coinvolto allo stesso modo o se avrebbe potuto rendere ugualmente bene la storia.
Grazie, cara Penna: ora sono proprio curiosa di sapere chi sei.
L’unico paletto un po’ deboluccio, forse per i motivi ben sintetizzati da @The Raven è l’arbitro.
Ci sono alcuni refusi: per par condicio, cara Penna, te li segnalo, ma sono di quelli che passano inosservati, come un paio di spazi prima di una virgola, l’mmenso privilegio, mattimo.
@Molli Redigano , chirurgico come al solito, ha trovato cosette da sistemare.
Nell'insieme niente che infici un gran bel racconto.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Come fa a non piacere un racconto così bello.
Che poi all'inizio con quelle fotografie sul divano e la TV accesa avevo pensato : finalmente un po' di normalità, agli scrittori di Different prenderà un colpo, ma a me piace da matti una storia dove non succede nulla, o meglio succede tutto quello che accade ogni giorno, ogni sera in una famiglia.
Vabbè, mi ero illuso. Se non muore qualcuno non siete contenti.
La prossima volta fate morire me, fate morire il lettore, così sarò contento pure io e risparmierete sangue, io ne ho poco nelle vene.
Sei nei miei cinque, amico. Non ti arrabbiare.
Che poi all'inizio con quelle fotografie sul divano e la TV accesa avevo pensato : finalmente un po' di normalità, agli scrittori di Different prenderà un colpo, ma a me piace da matti una storia dove non succede nulla, o meglio succede tutto quello che accade ogni giorno, ogni sera in una famiglia.
Vabbè, mi ero illuso. Se non muore qualcuno non siete contenti.
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tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Racconto davvero molto bello e scritto benissimo. Frasi brevi e ficcanti, dialoghi di una naturalezza disarmante. Contenuto altamente emozionale. Lo trovo un lavoro pregevole e una lettura che prende e tocca le corde del cuore.
L’unica frase che proprio mi ha dato fastidio (e sono certa che,considerata la qualità dello scritto, sia proprio un effetto voluto) è questa: Qualche cucchiaio di Nora ancora con noi, per non dimenticare. Perché nel salotto ci sono le nostre cose.
Naaaa, quel cucchiaio proprio non ci sta, peccato perché mi ha creato un senso di disgusto che non avrei voluto provare.
Ottima la scelta della narrazione in prima persona che denota grande capacità e idee chiare su come arrivare al cuore dei lettori.
Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, secondo me puoi lavorarci ancora. Lea funziona, Nora appare un po’ troppo idealizzata. Ma forse funziona così: per essere apprezzate bisogna essere morte… Va beh… :stuck_out_tongue_winking_eye: pensiero di donna
L’unica frase che proprio mi ha dato fastidio (e sono certa che,considerata la qualità dello scritto, sia proprio un effetto voluto) è questa: Qualche cucchiaio di Nora ancora con noi, per non dimenticare. Perché nel salotto ci sono le nostre cose.
Naaaa, quel cucchiaio proprio non ci sta, peccato perché mi ha creato un senso di disgusto che non avrei voluto provare.
Ottima la scelta della narrazione in prima persona che denota grande capacità e idee chiare su come arrivare al cuore dei lettori.
Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, secondo me puoi lavorarci ancora. Lea funziona, Nora appare un po’ troppo idealizzata. Ma forse funziona così: per essere apprezzate bisogna essere morte… Va beh… :stuck_out_tongue_winking_eye: pensiero di donna
Petunia- Moderatore
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Vabbè, mi sono commosso, eccheccaz.
Nonostante fin dalle prime righe ci hai fatto capire che Nora sarebbe finita male, la sua morte arriva dolorosa. Il finale, con il superamento del lutto e di rinascita della felicità, anche se in una forma diversa e meno dirompente, è toccante e liberatoria come una risata.
La scrittura è ottima e i personaggi sono nitidi. Il salotto si costruisce pian piano come i legami che si vanno creando.
Che altro dire? Grazie.
Ora vado a lavorare con gli occhi rossi, uff.
Nonostante fin dalle prime righe ci hai fatto capire che Nora sarebbe finita male, la sua morte arriva dolorosa. Il finale, con il superamento del lutto e di rinascita della felicità, anche se in una forma diversa e meno dirompente, è toccante e liberatoria come una risata.
La scrittura è ottima e i personaggi sono nitidi. Il salotto si costruisce pian piano come i legami che si vanno creando.
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SuperGric- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
beh, dal ttolo mi aspettavo di leggere una storia completamente diversa. mi hai sorpreso e mi fa piacere.
quando ho letto "genitore 2" mi sono un attimo irrigidito pensando a una polemica, ma anche qui sbagliavo completamente.
che la storia finisce lo hai scritto subito, ma non credevo fosse morta Nora, pensavo alla fine di un amore.
insomma mi hai sorpreso di continuo e sempre in maniera positiva, lasciandomi muto a ripartire con la lettura per vedere se avevo capito tutto.
bello, ben scritto, a parte qualche refuso già segnalato, molto coinvolgente e con descrizioni forti e precise, in grado di farti vivere la scena.
complimenti, ottimo lavoro
quando ho letto "genitore 2" mi sono un attimo irrigidito pensando a una polemica, ma anche qui sbagliavo completamente.
che la storia finisce lo hai scritto subito, ma non credevo fosse morta Nora, pensavo alla fine di un amore.
insomma mi hai sorpreso di continuo e sempre in maniera positiva, lasciandomi muto a ripartire con la lettura per vedere se avevo capito tutto.
bello, ben scritto, a parte qualche refuso già segnalato, molto coinvolgente e con descrizioni forti e precise, in grado di farti vivere la scena.
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
A proposito di titoli, per questo racconto ne avrei in serbo uno molto bello. Te lo passo, per ammirazione del tuo bellissimo racconto:
'Di cosa parliamo quando parliamo d'amore.'
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tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Gran bel racconto. Famiglia mai parola più bella fu detta. Famiglia può essere carcere come liberazione, amore come potere. Esempio di abnegazione come strumento di sopraffazione. Famiglia dove sia i genitori che i figli capiscono presto che amare è condizione necessaria ma non sufficiente per una famiglia felice.
La tua famiglia raccontata è un gran bella famiglia. Riesci a mantenere un tono medio leggero anche quando la storia si fa commovente. Complimenti.
Io oltre ad essere padre biologico, sono anche un patrigno, della figlia della mia attuale compagna. Fa parte della mia vita da più di dieci anni e le voglio un bene dell'anima, anche se lei, al contrario della tua protagonista, un padre - anche un buon padre - comunque lo ha già.
Ci sono tanti modi di fare il padre (così come la madre) anche senza concepire direttamente. Sarà che l'amore quando è amore, non c'entra nulla con la biologia.
La tua famiglia raccontata è un gran bella famiglia. Riesci a mantenere un tono medio leggero anche quando la storia si fa commovente. Complimenti.
Io oltre ad essere padre biologico, sono anche un patrigno, della figlia della mia attuale compagna. Fa parte della mia vita da più di dieci anni e le voglio un bene dell'anima, anche se lei, al contrario della tua protagonista, un padre - anche un buon padre - comunque lo ha già.
Ci sono tanti modi di fare il padre (così come la madre) anche senza concepire direttamente. Sarà che l'amore quando è amore, non c'entra nulla con la biologia.
gipoviani- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Di questo racconto bellissimo mi rimane la commozione profonda.
Hai saputo descrivere la vita nella sua straordinaria naturalezza rendendo speciali proprio le cose quotidiane. Quelle che abbiamo vicine, sedute accanto sul divano come gli affetti che attraversano la nostra esistenza.
I personaggi, oltre a essere reali, sono bellissimi perché sono belle persone, come quelle descritte da Carver nei suoi racconti.
«Niente è più necessario del superfluo, diceva Oscar Wilde». Forse le virgolette vanno prima, a chiudere la frase di Wilde.
Lo stile è fresco e maturo allo stesso tempo, indiscussa la padronanza di traghettare empatia ed emozioni.
Prova splendida
Hai saputo descrivere la vita nella sua straordinaria naturalezza rendendo speciali proprio le cose quotidiane. Quelle che abbiamo vicine, sedute accanto sul divano come gli affetti che attraversano la nostra esistenza.
I personaggi, oltre a essere reali, sono bellissimi perché sono belle persone, come quelle descritte da Carver nei suoi racconti.
«Niente è più necessario del superfluo, diceva Oscar Wilde». Forse le virgolette vanno prima, a chiudere la frase di Wilde.
Lo stile è fresco e maturo allo stesso tempo, indiscussa la padronanza di traghettare empatia ed emozioni.
Prova splendida
Resdei- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Commovente nella sua normalità.
Fresco come Lea, come la scrittura, semplice, diretta, pulita, senza inutili orpelli.
Hai ragione: la felicità quando ti colpisce in modo così violento può fare quasi male, perché sai che rischi di perderla.
Il salotto c’è alla grande, fisico e metafisico, materiale e romantico.
Il monte Uluṟu c’è, quasi ingombrante.
L’arbitro? Mica troppo.
Qualche errore, qualche refuso, ma commentatori molto più attenti ti hanno già segnalato tutto.
Fresco come Lea, come la scrittura, semplice, diretta, pulita, senza inutili orpelli.
Hai ragione: la felicità quando ti colpisce in modo così violento può fare quasi male, perché sai che rischi di perderla.
Il salotto c’è alla grande, fisico e metafisico, materiale e romantico.
Il monte Uluṟu c’è, quasi ingombrante.
L’arbitro? Mica troppo.
Qualche errore, qualche refuso, ma commentatori molto più attenti ti hanno già segnalato tutto.
FedericoChiesa- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Tra le lacrime ti detesto perché hai fatto morire Nora.
È veramente un pensiero incontrollato. È arrivato così perché sei riuscito a tratteggiare con poco una situazione familiare veramente coinvolgente. Non ci sono grandi frasi a effetto è tutto naturale, semplice e quel senso di famiglia viene trasmesso senza rendersene conto.
È vero ci sono degli errori nel testo, ho come l’impressione che sia stato scritto quasi di getto, ma sono tutti trascurabili.
Hai usato i paletti nel modo più semplice possibile ma in questo caso il racconto funziona benissimo.
Ultimo appunto il miglior “salotto” dello step.
È veramente un pensiero incontrollato. È arrivato così perché sei riuscito a tratteggiare con poco una situazione familiare veramente coinvolgente. Non ci sono grandi frasi a effetto è tutto naturale, semplice e quel senso di famiglia viene trasmesso senza rendersene conto.
È vero ci sono degli errori nel testo, ho come l’impressione che sia stato scritto quasi di getto, ma sono tutti trascurabili.
Hai usato i paletti nel modo più semplice possibile ma in questo caso il racconto funziona benissimo.
Ultimo appunto il miglior “salotto” dello step.
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Un caloroso benvenuto alle persone giunte fino a noi dal futuro.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Racconto di diritto nel mio podio per una serie di ragioni:
- Salotto assolutamente centrale nella storia. Nessun altro lo ha reso così importante fra i racconti letti fino a ora. Lo considero un merito notevole visto che di “rooms” si sta parlando in queste prove.
- Scrittura lineare, semplice, ma estremamente efficace, che non ha bisogno di ricorrere alla tecnica o ad artifici per andare a segno con il lettore.
- È la prova provata (cosa di cui sono da sempre convinto) che si può parlare anche della morte senza la necessità di accentuare i toni tetri, cupi e macabri ma puó essere descritta inserendola nelle normali vicende della vita con una certa leggerezza, o addirittura con ironia e nonostante questo risultare ugualmente toccante, commovente.
Titolo strano ma suggestivo.
Soltanto l’arbitro ti ha costretto a qualche contorsione innaturale. Per il resto veramente un bel racconto.
- Salotto assolutamente centrale nella storia. Nessun altro lo ha reso così importante fra i racconti letti fino a ora. Lo considero un merito notevole visto che di “rooms” si sta parlando in queste prove.
- Scrittura lineare, semplice, ma estremamente efficace, che non ha bisogno di ricorrere alla tecnica o ad artifici per andare a segno con il lettore.
- È la prova provata (cosa di cui sono da sempre convinto) che si può parlare anche della morte senza la necessità di accentuare i toni tetri, cupi e macabri ma puó essere descritta inserendola nelle normali vicende della vita con una certa leggerezza, o addirittura con ironia e nonostante questo risultare ugualmente toccante, commovente.
Titolo strano ma suggestivo.
Soltanto l’arbitro ti ha costretto a qualche contorsione innaturale. Per il resto veramente un bel racconto.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Un racconto che si basa sulla naturalezza senza puntare sugli effetti speciali, cosa che io apprezzo.
Del racconto mi ha colpito il pensiero dell'uomo, pensiero che probabilmente lui riesce a rivedere alla fine del racconto ma che invece io condivido. Sì, è così, la troppa felicità fa paura, perché è come se esistesse una legge non scritta, quando ne abusi devi pagare un prezzo salato. Quando si è troppo felici, le cose girano tutte per il verso giusto, uno è portato a chiedersi dove sta la fregatura, cosa c'è dietro l'angolo, forse perché non siamo abituati alla felicità, pare che non siamo programmati per esserlo.
Il salotto mi è piaciuto, questa sua costruzione nel tempo, l'evoluzione intesa come cementificazione dei rapporti personali la trovo decisamente calzante. Dei paletti ciò che mi manca è la figura dell'arbitro, c'è e non c'è, non assume un ruolo così fondamentale.
Dei personaggi Lea è quello che mi pare il più riuscito, la sua discrezione, il suo timore iniziale di essere quasi di troppo in quella nuova situazione è resa davvero bene.
Una buona prova senza dubbio.
Del racconto mi ha colpito il pensiero dell'uomo, pensiero che probabilmente lui riesce a rivedere alla fine del racconto ma che invece io condivido. Sì, è così, la troppa felicità fa paura, perché è come se esistesse una legge non scritta, quando ne abusi devi pagare un prezzo salato. Quando si è troppo felici, le cose girano tutte per il verso giusto, uno è portato a chiedersi dove sta la fregatura, cosa c'è dietro l'angolo, forse perché non siamo abituati alla felicità, pare che non siamo programmati per esserlo.
Il salotto mi è piaciuto, questa sua costruzione nel tempo, l'evoluzione intesa come cementificazione dei rapporti personali la trovo decisamente calzante. Dei paletti ciò che mi manca è la figura dell'arbitro, c'è e non c'è, non assume un ruolo così fondamentale.
Dei personaggi Lea è quello che mi pare il più riuscito, la sua discrezione, il suo timore iniziale di essere quasi di troppo in quella nuova situazione è resa davvero bene.
Una buona prova senza dubbio.
Byron.RN- Cavaliere Jedi
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Località : Rimini
Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Poco da dire quando il livello è alto e la capacità di trasmettere emozioni è così potente.
Penso che sapresti rendere emozionante anche una lista della spesa.
Non so da dove partire ma è perché in realtà non ho tantissimo da dire.
Anzi, mi dovrò arrabattare per arrivare al minimo sindacale, e lo farò buttandoci dentro del mio, di prepotenza.
Non me ne sono accorto leggendo, ma è vero, come hanno commentato altri, che c'è un alone vintage che avvolge l'intera storia: non so spiegarti perché, c'è e basta.
Questo come nota di colore.
Il discorso emozioni parla da sé. Mi ci raffronto spesso con questo fatto: ma io saprei scrivere una roba emozionante come la tua?
Cioè che coinvolge e scava nell'animo con questa semplicità?
Ma chiaro che no.
Dunque qual è la chiave per riuscirci?
Forte empatia? Vivere le cose narrate?
Si spera di no.
Quel che è certo è che, se un'emozione passa al lettore anche laddove questi non sa nulla degli argomenti trattati, beh, tanto di cappello.
Voglio dire: prendi il concetto di famiglia che intitola il racconto. A me neanche passa per la testa l'idea di avere una famiglia mia, perché non ci sono per ora i presupposti, neanche alla lontana.
Epperò questa storia è così suggestiva che ti fa dire, cavoli, ma allora è una bella cosa. Vista così.
Scivolate in bagno a parte.
E' una bella cosa.
Varrebbe la pena provarci, anche solo per vedere com'è.
Tornando al testo, insisto nel non avere molto da dire.
Facciamo i puntigliosi per allungare il brodo? Forse l'arbitro non è inserito così al naturale nella vicenda, ma pesa nel giudizio il sapere già a priori che un arbitro ci deve essere. Se avessi letto il racconto senza sapere che doveva esserci un arbitro, non avrei neanche obiettato nulla.
Sì, sto allungando il brodo.
Oh, ancora più puntiglio. Non mi piace la risposta di Lea nel finale, sulla felicità.
Non lo so, suona artefattissima.
Sì, sto cercando il pelo nell'uovo.
Che altro?
Niente, penso uno dei voti più alti che ho dato di recente.
Penso che sapresti rendere emozionante anche una lista della spesa.
Non so da dove partire ma è perché in realtà non ho tantissimo da dire.
Anzi, mi dovrò arrabattare per arrivare al minimo sindacale, e lo farò buttandoci dentro del mio, di prepotenza.
Non me ne sono accorto leggendo, ma è vero, come hanno commentato altri, che c'è un alone vintage che avvolge l'intera storia: non so spiegarti perché, c'è e basta.
Questo come nota di colore.
Il discorso emozioni parla da sé. Mi ci raffronto spesso con questo fatto: ma io saprei scrivere una roba emozionante come la tua?
Cioè che coinvolge e scava nell'animo con questa semplicità?
Ma chiaro che no.
Dunque qual è la chiave per riuscirci?
Forte empatia? Vivere le cose narrate?
Si spera di no.
Quel che è certo è che, se un'emozione passa al lettore anche laddove questi non sa nulla degli argomenti trattati, beh, tanto di cappello.
Voglio dire: prendi il concetto di famiglia che intitola il racconto. A me neanche passa per la testa l'idea di avere una famiglia mia, perché non ci sono per ora i presupposti, neanche alla lontana.
Epperò questa storia è così suggestiva che ti fa dire, cavoli, ma allora è una bella cosa. Vista così.
Scivolate in bagno a parte.
E' una bella cosa.
Varrebbe la pena provarci, anche solo per vedere com'è.
Tornando al testo, insisto nel non avere molto da dire.
Facciamo i puntigliosi per allungare il brodo? Forse l'arbitro non è inserito così al naturale nella vicenda, ma pesa nel giudizio il sapere già a priori che un arbitro ci deve essere. Se avessi letto il racconto senza sapere che doveva esserci un arbitro, non avrei neanche obiettato nulla.
Sì, sto allungando il brodo.
Oh, ancora più puntiglio. Non mi piace la risposta di Lea nel finale, sulla felicità.
«Stupido stupido, Joji. Troppa felicità? E chi lo dice? La felicità non è mai troppa, stupido stupido papà…».
Non lo so, suona artefattissima.
Sì, sto cercando il pelo nell'uovo.
Che altro?
Niente, penso uno dei voti più alti che ho dato di recente.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Errori/refusi:
Paletti
Stanza: il salotto è uno dei più centrali, protagonisti e meglio descritti di tutto lo step; bellissima l'idea del salotto visto come un continuo "work in progress" che cresce e si modifica come a volersi adattare ai mutamenti della famiglia.
Luogo: Uluru è presente, mi viene da dire "galeotto fu Uluru"
Personaggio: l'arbitro non è essenziale al racconto ma è inserito abbastanza naturalmente senza forzature.
Perché no: a parte qualcosa da mettere a posto a livello di scrittura, non vedo motivi per non inserire questo racconto nella cinquina.
Perché sì: per un'infinità di motivi, il primo dei quali è che hai scritto un bellissimo racconto che mi ha coinvolto ed emozionato e lo hai fatto scrivendo una storia apparentemente semplice e comune.
E forse è proprio questo il suo grande punto di forza, il fatto che in un certo senso ci si può ritrovare (speriamo di no) come lettori; paradossalmente anche la morte di Nora è talmente banale da apparire credibile e "normale" (scusa il termine) molto più di tante morti famose della letteratura.
Ci sono alcune frasi che sono delle splendide pennellate, soprattutto quando descrivi i pomeriggi di Lea.
Apprezzatissimo.
Poi Lea aveva cominciato a raccontarci la sua giornata: le galline erano simpatiche, il cavallo con la macchia sulla fronte aveva mangiato una delle carote che si era portata , e poi aveva raccolto dei sassi bellissimi, li volevamo vedere?
come dei novelli esploratori e dopo/in meno di un'ora circa parcheggiavamo nel nostro posto preferito.
Oltre a questo ci sono diverse imprecisioni a livello di punteggiatura che andrebbero sistemate ma nel complesso la scrittura, semplice e chiara, è perfettamente adeguata al tipo di racconto proposto.Ringraziarlo era un altro dei nostri riti;
Paletti
Stanza: il salotto è uno dei più centrali, protagonisti e meglio descritti di tutto lo step; bellissima l'idea del salotto visto come un continuo "work in progress" che cresce e si modifica come a volersi adattare ai mutamenti della famiglia.
Luogo: Uluru è presente, mi viene da dire "galeotto fu Uluru"
Personaggio: l'arbitro non è essenziale al racconto ma è inserito abbastanza naturalmente senza forzature.
Perché no: a parte qualcosa da mettere a posto a livello di scrittura, non vedo motivi per non inserire questo racconto nella cinquina.
Perché sì: per un'infinità di motivi, il primo dei quali è che hai scritto un bellissimo racconto che mi ha coinvolto ed emozionato e lo hai fatto scrivendo una storia apparentemente semplice e comune.
E forse è proprio questo il suo grande punto di forza, il fatto che in un certo senso ci si può ritrovare (speriamo di no) come lettori; paradossalmente anche la morte di Nora è talmente banale da apparire credibile e "normale" (scusa il termine) molto più di tante morti famose della letteratura.
Ci sono alcune frasi che sono delle splendide pennellate, soprattutto quando descrivi i pomeriggi di Lea.
Apprezzatissimo.
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paluca66- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Ciao Penna. Non ho nemmeno letto i pareri dei nostri colleghi, convinto che non discosteranno di molto dal mio. Ho trovato un uso della punteggiatura particolare, a volte originale in senso positivo, altre meno, al limite dell'errore. Non ho cercato refusi o incongruenze, perché più leggevo e meno mi interessavano. Hai saputo raccontare la vita attraverso la morte, perché questa fa parte del percorso. Non tanto la morte, ma il "percorso" è mirabile, l'elaborazione del lutto di una famiglia sana, con una moglie e una madre che sarà sempre nel "cuore salotto" dei due affetti incontratisi e sceltisi. Il fastidio del tanto laico quanto blasfemo "cucchiaio delle ceneri", mi spiace dirtelo perché ti sei impegnata per farmi diventare antipatico il tuo racconto, non sarà sufficiente per toglierti il podio, al momento. O forse ho fatto un transfert di fastidio sul cucchiaio, per non ammettere che il fastidio è il constatare che ho ancora molto da imparare per arrivare a scrivere come te. Ma, ne sono certo, a continuare a leggerti migliorerò nella tecnica e nel "percorso" con la mia famiglia. Grazie, grazie Penna. Grazie.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Ciao Aut-
Ci sono diversi refusi evidenti. Alcuni innocenti, come "l'mmenso", altri che mi hanno fatto inciampare la lettura, come "Ringraziarlo ero un altro dei nostri riti". Altre volte sono rimasto perplesso dalla punteggiatura, rileggendo ho anche scoperto che manca almeno un punto.
La trama è lineare: c'è un equilibrio, un evento rompe l'equilibrio, c'è un nuovo equilibrio. Il periodo di elaborazione del lutto è un po' buttato lì, si passa dall'equilibrio precedente a quello successivo senza soffermarsi molto sulla crisi. L'effetto è che il racconto mi sembra squilibrato: bello il prima, bello il dopo, mi manca il durante.
Anche il flashback mi lascia indifferente. Non è un "filo rosso" che mi accompagna a comprendere perché la cravatta sia importante e il fatto che Lea diventi un arbitro accade apparentemente per caso e non per predisposizione o altro. Non dico che sia sbagliato: secondo me presentare il racconto come un flashback non è essenziale.
La storia acchiappa molto i sentimenti, mi è piaciuto molto il modo in cui mi hai accompagnato a comprendere il titolo. Ottima secondo me la gestione del salotto, ben presentata l'evoluzione da stanza vuota a simbolo della famiglia. Mi è piaciuta l'idea che sta dietro alla frase "Fuori da quella stanza ognuno di noi aveva impegni, scadenze, compiti da svolgere, incombenze da portare a termine. Lì dentro ognuno aveva solo le sue cose; le cose che amava." Mi è piaciuto un po' meno il modo in cui è espressa. Forse si poteva lasciare sottintesa, o forse sì poteva esprimere in modo negativo: "Dentro quella stanza nessuno di noi aveva impegni, scadenze, compiti da svolgere, incombenze da portare a termine. Ognuno aveva solo le sue cose; le cose che amava." Secondo me è più potente così.
I paletti ci sono, i salotti sono addirittura due perché c'è anche quello pret a porter.
Grazie e alla prossima.
Ci sono diversi refusi evidenti. Alcuni innocenti, come "l'mmenso", altri che mi hanno fatto inciampare la lettura, come "Ringraziarlo ero un altro dei nostri riti". Altre volte sono rimasto perplesso dalla punteggiatura, rileggendo ho anche scoperto che manca almeno un punto.
La trama è lineare: c'è un equilibrio, un evento rompe l'equilibrio, c'è un nuovo equilibrio. Il periodo di elaborazione del lutto è un po' buttato lì, si passa dall'equilibrio precedente a quello successivo senza soffermarsi molto sulla crisi. L'effetto è che il racconto mi sembra squilibrato: bello il prima, bello il dopo, mi manca il durante.
Anche il flashback mi lascia indifferente. Non è un "filo rosso" che mi accompagna a comprendere perché la cravatta sia importante e il fatto che Lea diventi un arbitro accade apparentemente per caso e non per predisposizione o altro. Non dico che sia sbagliato: secondo me presentare il racconto come un flashback non è essenziale.
La storia acchiappa molto i sentimenti, mi è piaciuto molto il modo in cui mi hai accompagnato a comprendere il titolo. Ottima secondo me la gestione del salotto, ben presentata l'evoluzione da stanza vuota a simbolo della famiglia. Mi è piaciuta l'idea che sta dietro alla frase "Fuori da quella stanza ognuno di noi aveva impegni, scadenze, compiti da svolgere, incombenze da portare a termine. Lì dentro ognuno aveva solo le sue cose; le cose che amava." Mi è piaciuto un po' meno il modo in cui è espressa. Forse si poteva lasciare sottintesa, o forse sì poteva esprimere in modo negativo: "Dentro quella stanza nessuno di noi aveva impegni, scadenze, compiti da svolgere, incombenze da portare a termine. Ognuno aveva solo le sue cose; le cose che amava." Secondo me è più potente così.
I paletti ci sono, i salotti sono addirittura due perché c'è anche quello pret a porter.
Grazie e alla prossima.
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Beh, che dire? Un altro piccolo gioiello. Questo racconto spiega come scrivere significhi tante volte essere immerso dentro le cose, sentirle profondamente, ma poi essere capace di guardarle da fuori, come se non fossero tue, e raccontarle con il desiderio di chi le vorrebbe per sé. Scrivere non è nient'altro che questo, uscire e rientrare in sé stessi.
La costruzione è la parola chiave. Costruzione di una stanza, costruzione di una famiglia. Una stanza vuota che diventa piena, che inizia ad assomigliarti, che cambia nel tempo come cambi tu.
Questo racconto parla, più di ogni altro che ho letto in questo concorso, di opportunità, di come la nostra vita si lega ai posti dove viviamo e di come le stanze della nostra vita siano momenti in cui abitiamo, che attraversiamo diretti verso altri istanti, verso altre stanze.
Boh, ho detto tutto. Commentare racconti così vuol dire anche farsi da parte. L'autore (autrice, penso) ci lancia la domanda se la felicità possa mai essere troppa. Io ho vissuto gran parte della mia vita chiedendomelo. Me lo chiederò fin che campo, mi sa. Non c'è risposta, né in un senso né nell'altro. Come scrivere: entri ed esci dalla domanda. Quando sei dentro, vivi e basta, costruisci quella felicità come costruisci le stanze della tua casa. Quando sei fuori, ti poni la domanda, guardi tutto quello che hai come se non fosse tuo. E allora ti ributti dentro e lo vivi. Alla fine è l'unico modo per onorare quella fortuna che ogni volta ti stupisci di possedere.
Splendido racconto.
La costruzione è la parola chiave. Costruzione di una stanza, costruzione di una famiglia. Una stanza vuota che diventa piena, che inizia ad assomigliarti, che cambia nel tempo come cambi tu.
Questo racconto parla, più di ogni altro che ho letto in questo concorso, di opportunità, di come la nostra vita si lega ai posti dove viviamo e di come le stanze della nostra vita siano momenti in cui abitiamo, che attraversiamo diretti verso altri istanti, verso altre stanze.
Boh, ho detto tutto. Commentare racconti così vuol dire anche farsi da parte. L'autore (autrice, penso) ci lancia la domanda se la felicità possa mai essere troppa. Io ho vissuto gran parte della mia vita chiedendomelo. Me lo chiederò fin che campo, mi sa. Non c'è risposta, né in un senso né nell'altro. Come scrivere: entri ed esci dalla domanda. Quando sei dentro, vivi e basta, costruisci quella felicità come costruisci le stanze della tua casa. Quando sei fuori, ti poni la domanda, guardi tutto quello che hai come se non fosse tuo. E allora ti ributti dentro e lo vivi. Alla fine è l'unico modo per onorare quella fortuna che ogni volta ti stupisci di possedere.
Splendido racconto.
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Asbottino- Padawan
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Ma che bello questo racconto!
Complimenti!
Mi piace molto il tono con il quale è stato scritto, quel velo di malinconica tristezza che sveli al lettore all'improvviso e che mi ha commossa, sappilo!
La storia ha un bel ritmo, tutto viene raccontato con i modi e i tempi giusti, e allo stesso temo con semplicità e convincente verosimiglianza. Per me tutti e tre i personaggi sono ben presentati, ognuno ha il suo ruolo preciso nel comporre questa famiglia e tutti e tre s'incastrano alla perfezione uno nell'altro.
Il salotto che diventa piano piano il cuore della casa (di una casa che prima non lo aveva) rappresenta alla perfezione quello che s'intuisce dal titolo: un luogo intimo, accessibile nel profondo solo a loro tre e alle loro cose importanti.
Ho un po' di perplessità sul gesto di disperdere Nora a cucchiaiate: non so, mi sembra una mancanza di rispetto, (anche se non è così, certo!), ma credo che questa sia una cosa molto soggettiva.
Il testo ha una strana aura vintage (videoregistratore...) però accenni al genitore 2 che sembra una questione più da anni 2000 (oppure in Australia avevano adottato questa dicitura già prima? Non lo so...).
Mi piace come hai racchiuso la storia nella parentesi della scelta dell'abito per la prima partita di Lea (in questa occasione avrei dato qualche informazione sul lasso di tempo passato dalla morte di Nora: magari sono passati 10 o 15 anni, e in quel caso viene giustificata la menzione al genitore2).
Ma le cose che ti ho fatto notare sono davvero piccole e insignificanti per questo racconto davvero bello da leggere, scorrevole e commuovente senza essere mai stucchevole.
P.S.: questa cosa che essere troppo felici non va bene è una specie di fantasma che sento aleggiare intorno alla mia vita, come se nessuno avesse il diritto di essere totalmente felice, come se ci fosse un prezzo da pagare dietro a tutte quelle risate...
La mia nonna diceva: chi ride il venerdì piange sabato, domenica e lunedì.
Per dire.
Complimenti!
Mi piace molto il tono con il quale è stato scritto, quel velo di malinconica tristezza che sveli al lettore all'improvviso e che mi ha commossa, sappilo!
La storia ha un bel ritmo, tutto viene raccontato con i modi e i tempi giusti, e allo stesso temo con semplicità e convincente verosimiglianza. Per me tutti e tre i personaggi sono ben presentati, ognuno ha il suo ruolo preciso nel comporre questa famiglia e tutti e tre s'incastrano alla perfezione uno nell'altro.
Il salotto che diventa piano piano il cuore della casa (di una casa che prima non lo aveva) rappresenta alla perfezione quello che s'intuisce dal titolo: un luogo intimo, accessibile nel profondo solo a loro tre e alle loro cose importanti.
Ho un po' di perplessità sul gesto di disperdere Nora a cucchiaiate: non so, mi sembra una mancanza di rispetto, (anche se non è così, certo!), ma credo che questa sia una cosa molto soggettiva.
Il testo ha una strana aura vintage (videoregistratore...) però accenni al genitore 2 che sembra una questione più da anni 2000 (oppure in Australia avevano adottato questa dicitura già prima? Non lo so...).
Mi piace come hai racchiuso la storia nella parentesi della scelta dell'abito per la prima partita di Lea (in questa occasione avrei dato qualche informazione sul lasso di tempo passato dalla morte di Nora: magari sono passati 10 o 15 anni, e in quel caso viene giustificata la menzione al genitore2).
Ma le cose che ti ho fatto notare sono davvero piccole e insignificanti per questo racconto davvero bello da leggere, scorrevole e commuovente senza essere mai stucchevole.
P.S.: questa cosa che essere troppo felici non va bene è una specie di fantasma che sento aleggiare intorno alla mia vita, come se nessuno avesse il diritto di essere totalmente felice, come se ci fosse un prezzo da pagare dietro a tutte quelle risate...
La mia nonna diceva: chi ride il venerdì piange sabato, domenica e lunedì.
Per dire.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: Se mi chiedi cos'è una famiglia
Racconto intenso, delicato. Anche se il dramma ti viene preannunciato quando arriva è comunque un pugno nello stomaco che spezza un equilibrio idilliaco. "Troppa felicità"? Forse un po' idealizzata, ma non per questo irreale. E protagonisti se la meritavano.
Il tutto mi ricorda molto un racconto scritto nello step precedente.
Davvero molto bello.
Complimenti
Grazie
Il tutto mi ricorda molto un racconto scritto nello step precedente.
Davvero molto bello.
Complimenti
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Cavaliere Jedi
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