Il cigno
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vivonic
The Raven
Susanna
CharAznable
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Molli Redigano
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Il cigno
Se avete testa, dateci un occhio. Ci tenevo particolarmente. Se tutti gli amici di DT ci facessero un passaggio ne sarei onorato. Ad uno di voi chiedo un passaggio obbligato, perché è il protagonista: @CharAznable.
Nella vita ci sono questioni insondabili; si ricordano spezzoni di giornate, porzioni di mesi, briciole di anni. La memoria umana assimila e molto spesso dimentica. Per caso, alcuni di questi momenti restano chiari e limpidi nel loro mistero, diventando paletti inamovibili di un percorso terreno che da sempre sappiamo temporaneo, imprevedibile, e, comunque vada, inesorabilmente breve.
Era una fredda serata d’inizio marzo. Londra era soffocata dalla nebbia e l’aria gelida fendeva i vicoli stretti come tante lame invisibili, luci soffuse baluginavano dalle finestre, s'udiva un trambusto di passi sul selciato e urla d’ubriachi fuori dai pub.
Io urlavo, ma soltanto dentro di me. Ero ubriaco. Vagavo senza meta per le strade, barcollando, la vista offuscata da una decina di pinte. Me ne sarei bevute altre dieci, ma mi era venuta voglia di prendere una boccata d’aria. Non l’avessi mai fatto! L’alcool nel mio sangue si trasformò improvvisamente in lacrime, che copiose e salate iniziarono a inondarmi il viso. Capii subito: paranoie da sballato, debolezze alcooliche, presto o tardi tutto sarebbe passato.
Benché fossi conscio di poter controllare il mio torpore, il pianto non cessava, tant’è che cercai disperatamente un luogo dove poter ritrovare me stesso e uscire da quell’impasse. Cercavo in me una porzione di giusta autostima che mi avrebbe condotto sulla retta via, ovvero quella di ritorno al pub, per sgolarmi l’ultima pinta della giornata.
Camminando e piangendo, scansai uno storpio che mendicava, vidi un uomo dagli occhi di ghiaccio e insultai una meretrice che mi offrì il suo corpo. Fu dopo gli improperi alla prostituta che scorsi qualcosa che mi dette sollievo. Non ero pienamente sicuro di ciò che stavo vedendo, perciò sgranai i miei occhi saturi. Una croce in fiamme alcooliche appariva poco lontano; un simbolo di redenzione anche per un peccatore come me.
Corsi verso l’edificio e arrivai al portone con respiro affannato. Appoggiai la guancia sul legno umido, premendo con il palmo della mano sulla superficie ruvida. Il mio cervello alterato mi chiedeva con insistenza di entrare, evitando così d’affogare con me nel veleno schiumoso di pensieri liquidi e sconclusionati.
“Mi devo confessare”, pensai tra me e me varcando il portone che si aprì non appena lo spinsi. Per un attimo il mio corpo parve cadere. Spalancando la pesante porta, l’aria gelida che soffiò dall’interno sul mio viso mi gelò la punta del naso e, come un paio di braccia forti, cullò il mio corpo evitando che stramazzassi al suolo come un sacco di patate. Che strana sensazione, io cercavo Dio. Che quel luogo fosse dimora di spettri?
Quella casa di Dio era buia, apparentemente angusta, tenebrosa e a tratti inquietante. Non una candela ad illuminarla, soltanto una debole luce là in fondo, che pareva la bocca spalancata di una fiera, pronta a inghiottirmi. “Che strana chiesa è questa, dove sarà il prete, pare non esserci Dio qui”, pensai ad alta voce. Poteva esserci, a quell’ora della sera, un prete disposto a confessare un ubriaco? Probabilmente no.
“Un po’ più che cugino, molto meno che figlio.”
“Chi va là!” Esclamai impaurito, la sbronza parve scomparire in un batter di ciglia.
“Perché ancora quelle nubi sulla tua fronte?”
“Nubi? Monsignore, c’è fin troppo sole”.
La voce era decisa, schiarita e sembrava provenire da quel cono di luce che si propagava nel buio al lato destro dell’altare. Mi feci coraggio, deglutii un granulo di malto impastato di saliva e mi diressi verso la luce.
“Se questa troppo, troppo solida carne potesse fondere, evaporare, ricadere in rugiada! Se l’Eterno contro il suicidio non avesse eretto la legge! Dio! Mio Dio! Come tedioso, vuoto, stantio, sterile, mi è il mondo in tutti i suoi usi!”
Con passo felpato, abbastanza inquieto, avanzai intravedendo una volta, mentre quella voce tonante era sempre più vicina e chiara. Una candela di sego illuminava malamente quell’anticamera a lato del buio altare. Vidi subito il volto pallido di quell’uomo che parlava. Proferiva le sue parole leggendo da un foglio, pieno di enfasi, come se stesse recitando. Quando mi vide non si scompose, anzi mi sorrise, continuando a leggere come se nulla fosse:
“Se assume l’aspetto del mio nobile padre, gli parlerò, dovesse l’inferno scoperchiarsi a ordinarmi il silenzio. Vi prego, voi tutti, che finora avete conservato il segreto, tenetelo ancora; e qualunque cosa accada questa notte, datele intendimento, non lingua. La vostra fedeltà sarà ricompensata. Separiamoci. Sulla piattaforma, tra undici ore e mezzanotte, vi raggiungerò.”
“Buonasera, siete voi il prevosto? Desidererei confessarmi. Spero di non aver disturbato le vostre preghiere” dissi mestamente abbassando lo sguardo.
“Veramente? Veramente voi volete che io sia un prete?” chiese l’uomo.
“Cerco l’assoluzione attraverso la vostra persona, che possiate intercedere per me presso Dio” dissi ancora.
“Veramente volete che io vi assolva?”, fece una pausa, “Ma certo!” esclamò, “ebbene, lo avete veduto anche voi, signore?”
“Chi?”
“Ma come chi? Lo spettro!”
“Voi non siete un prete!” esclamai puntando il dito.
“Io sono tutti e sono nessuno”, disse. E poi, leggendo dal foglio che aveva in mano: “Il mio destino grida e rende ogni arteria del mio corpo dura come i tendini del leone nemèo. Mi chiama ancora una volta. Lasciatemi! Per il cielo, farò un fantasma di chi mi trattiene: via! Va’ avanti, io ti seguo.”
“Voi siete un eretico!” esclamai voltandogli le spalle. Mi trattenne per il braccio.
“E cosa vorreste fare? Bruciarmi sul rogo come quel Jordan Brown che hanno arrostito in Italia il mese scorso?” disse pacatamente senza mollare la presa.
“Chi siete voi?” chiesi voltandomi. Lo guardai intensamente nei suoi occhi marroni, indagai il suo tiepido viso ornato da quella barba ben curata.
Lesse dal foglio: “Sono lo spirito di tuo padre, condannato per un tempo deciso a vagare la notte…”
“Ma cosa state dicendo?” esclamai dandogli le spalle ancora una volta. Dentro di me la collera stava per avere il sopravvento.
“Suvvia, mio caro amico,” disse con voce suadente, “ve l’ho detto, io posso essere chiunque voi vogliate che io sia,” e continuò, “laggiù, sulla prima seduta della platea, troverete un boccale e un fusto di birra. Mescete, beviamo insieme e brindiamo al nostro incontro!”
Non so per quale motivo, ma accettai l’offerta di quello strano signore, dopotutto avevo una gran voglia di bere. La platea non era altro che le sedute presenti in quella sacrestia. C’era un gran disordine e polvere ovunque. Non sembrava una chiesa molto frequentata, nemmeno in pieno giorno.
Mentre versavo la birra nei boccali guardavo quell’uomo a pochi metri da me.
“Esimio pubblico, signori e signore, la compagnia del Lord,” fece un colpo di tosse come per schiarirsi la voce, “mette in scena Enrico VI di…no, no, mi sto confondendo…”, bevve un sorso di birra dal boccale che gli avevo appena porto.
“Andiamo avanti, mio caro amico, leggi qui” sussurrò.
“Io?” chiesi con tono sorpreso.
“Ma certo, sii te stesso!” mi rispose lui facendomi l’occhiolino.
“Veramente...”
“Molto rumore per nulla, coraggio!”
“Ciò che mi è necessario…”, sgranai gli occhi per cercare di decifrare quella calligrafia così arzigogolata, “è a bordo. Addio. E quando il vento sarà…favorevole…e con un convoglio pronto, no, non sonnecchiare, sorella, ma dammi tue notizie”.
“Puoi dubitarne?” rispose lui con voce di donna. E aggiunse: “Avanti, avanti!”
Continuai a leggere: “Quanto ad Amleto e alla corte che ti fa, considerala galanteria, capriccio, una viola nella primavera della giovinezza, precoce ma non durevole, dolce ma non costante, nient’altro che il profumo e lo svago di un minuto.”
“Benissimo, Laerte!” E continuò con voce di donna: “Proprio nient’altro?”
“Imitate molto bene la voce di una donna, signore, degna di una comare” dissi all’uomo prima di fare una lunga sorsata di birra.
“Le allegre comari di Windsor” rispose lui ridendo, ma io non capii cosa volesse dire. Vuotò d’un fiato il boccale di birra e si passò il dorso della mano sui baffi per rimuovere la schiuma.
“Siamo in una grande sala del castello. Ci sono il re, la regina, Rosencrantz e Guildestern” disse lui illuminando l’anticamera con lo sguardo. “Disponiti sul palco!” mi ordinò con voce severa.
Titubante, afferrai un bastone appoggiato alla parete, alzai il braccio puntandolo verso la volta e lo riposi in un finto fodero che immaginai avere attaccato alla cintura.
“Che stai facendo?” mi domandò lui.
“Mi dispongo sul palco, come mi avete ordinato,” risposi mestamente, “sono il re e il re deve avere una spada!”
“Hai ragione!” esclamò portandosi la mano al mento. Mi piantò gli occhi addosso e questo mi creò imbarazzo. “In questa posa sei a metà strada tra Riccardo III e Re Giovanni.”
Ringraziai non sapendo che dire.
Lui si destò di colpo dallo scranno sul quale si era seduto, bevve avidamente dal boccale e si rivolse a me: “Mendicante quale sono, a corto perfino di ringraziamenti, pure vi ringrazio; e la mia gratitudine, cari amici, anche se è un mezzo soldo, vale già troppo. Non foste chiamati? Venite di vostra iniziativa? È una vista spontanea? Avanti, scopriamo il giuoco; avanti, su parlate.”
Stette in silenzio per un istante, poi, a bassa voce: “Pagina cinquantotto, Guildestern, leggi, leggi.”
“Che dovremmo dire, monsignore?” lessi.
“Qualunque cosa, ma senza cambiare discorso. Foste chiamati: nei vostri occhi c’è una specie di confessione che le vostre modestie non sanno colorare. So che il buon re e la regina vi hanno mandato a chiamare.”
Con lo sguardo seguii le parole scritte ascoltando attentamente l’uomo che parlava. Conosceva a memoria tutto ciò che aveva scritto, ammesso che l’avesse scritto lui. Ma non poteva essere diversamente. E poi, era ubriaco marcio, come me del resto, ma mi sorprendeva tutta l’enfasi, tutto l’impegno, tutta la convinzione che ci metteva recitando quelle parole. Per qualche attimo pensai anch’io che quella sudicia sacrestia potesse veramente essere un teatro gremito di pubblico.
“Oh sì, il pubblico applaude” disse. Rimasi di sasso, quell’uomo era in grado di leggermi nel pensiero. Bevve e continuò: “Sai chi mi ricordi?” domandò avvicinandosi con la candela in una mano e il boccale nell’altra, “Christopher Marlowe.”
“Mi dispiace, signore, ma non lo conosco” allargai le braccia.
“Ma come no! Lo conoscono tutti, persino i vermi!” sbottò lui.
Ruttai. Lui mi rispose ruttando e riempì nuovamente i boccali. “Che strana situazione,” esclamai grattandomi la testa, “ubriaco marcio dentro una chiesa dove ero arrivato piangendo pensando di confessarmi.”
Alzò il boccale al soffitto e disse: “Noi siamo due gentiluomini, di Verona.”
“Verona è la stessa città italiana dov’è ambientata quella tragedia, come si chiama, Roberto e Giulietta” dissi annuendo.
“Romeo e Giulietta!”, gridò lui facendomi sobbalzare. E subito, con voce calma: “Conosci Romeo e Giulietta?”
“Oh sì,” risposi, “la conoscono tutti, è famosissima. Di quel tizio, come si chiama, Somewhere, o qualcosa di simile.”
“Si, esatto,” disse lui sorridendo, “qualcosa di simile.” La candela si stava spegnendo e dal buio del pavimento pescò una borsa dalla quale trasse un’altra candela e un altro plico di fogli vergati a mano.
“È il terzo atto” sorrise.
“Pensate che io ero venuto per l’atto della confessione e ho trovato voi” risposi io sempre sorridendo.
“Questa chiesa è sconsacrata, nessuno ti avrebbe mai confessato. O forse sì” disse lui. E continuò tra sé e sé: “Come Ofelia, morirà suicida per la partenza di Amleto. E dovrà essere sepolta in un suolo sconsacrato.”
“Come questa chiesa” lo interruppi.
“Esatto,” esclamò lui guardandomi, “ma questa parte non l’ho ancora scritta.” Bevve avidamente dal boccale e m’intimò di prendere i fogli che aveva tirato fuori dalla borsa.
“Leggi da pagina ottantotto, vediamo come te la cavi a fare Amleto” mi disse. “Siamo alla quarta scena. Amleto parla con la regina, sua madre, e le dice che il re, suo zio, ha avvelenato suo padre. Amleto ha appena ucciso Polonio, fedele servitore del re, dopo averlo scoperto a origliare la loro conversazione dietro una tenda. Vai, vai!”
Lessi: “Un assassino e un vigliacco, uno sguattero, nemmeno la duecentesima parte del vostro primo signore, un buffone di re, un tagliaborse dell’impero e della legge, che rubò il diadema prezioso da uno scaffale per intascarlo!”
“Benissimo!” disse lui, e recitò la battuta successiva con voce di donna, “non più!”
Mi fece cenno di proseguire con la mano: “Un re di toppe, un re di soprattoppe!”
Mi fermai poiché l’uomo iniziò a saltellare girandomi intorno: “Avanti, avanti, mi disse, sono lo spettro del padre di Amleto!”
“Sotto le vostre ali, guardie del cielo, proteggetemi voi! Che cosa vuole la tua ombra sovrana?”
“Ahimé, è pazzo!” disse lui con voce femminile per imitare la regina.
Giungemmo alla fine del terzo atto, io leggendo, lui recitando a memoria. Tra una battuta e l’altra entrambi bevevamo generose sorsate di birra. Durante il nostro dialogo, lo vidi saltellare un’altra volta e, senza interrompere, capii che stava facendo lo spettro.
“Meraviglioso!” disse alla fine. “Hai stoffa nel recitare. Hai dato la giusta enfasi alle battute, mi sei piaciuto!”
“Vi ringrazio, signore” risposi mentre lui riponeva i fogli dentro la borsa.
“Come ti chiami?” mi chiese dopo un po’.
“Mi chiamo Char Aznable e sono un mercante, ho una bottega di abiti orientali nei pressi del porto.”
“Il mercante di Venezia?”, rise lui.
“Non di Venezia, sono inglese” risposi io. “E voi, come vi chiamate?”
“Giulio Cesare…anzi no, Tito Andronico!” rispose lui, sempre ridendo.
“Signore!” esclamai scocciato, “vi state prendendo gioco di me? Io vi ho detto il mio nome, usatemi la cortesia di dirmi il vostro!”
“Benissimo! Ha reso magnificamente la tua collera. Sei sprecato come mercante!”
“Come vi chiamate!” urlai gettando il boccale sul pavimento. Il tintinnio dei cocci riecheggiò per tutta la chiesa.
“Ti offro un lavoro come attore. Sei giovane e hai del talento. E io, modestamente, lo so riconoscere. Presentati domani, domani o mai più, al teatro Globe. Farai parte della compagnia del Lord Ciambellano.”
Quando disse così, strabuzzai gli occhi. Capii chi avevo davanti. Lui mi diede una pacca sulla spalla: “Mi chiamo Shakespeare, William Shakespeare. Puoi chiamarmi Will e darmi del tu.”
Il giorno successivo mi presentai al Globe. Grazie a Will divenni un attore. Lui era già famosissimo e il suo successo aumentò sempre di più. Sono passati ventisei anni da quell’incontro che cambiò la mia vita. Se non altro perché finalmente trovai me stesso, mentre fino a quel momento lo andavo cercando nella birra. Adesso ho la mia compagnia teatrale, con la quale giriamo l’Inghilterra mettendo in scena le opere di Will. Oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa, l’anima del cigno volerà su Stratford. Il suo Amleto andrà in scena nel teatro principale della città.
“Essere, non essere, qui sta il problema: è più degno patire gli strali, i colpi di balestra di una fortuna oltraggiosa, o prendere armi contro un mare di affanni, e contrastandoli por fine a tutto?”
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Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: Il cigno
Nella vita ci sono questioni insondabili; si ricordano spezzoni di giornate, porzioni di mesi, briciole di anni. La memoria umana assimila e molto spesso dimentica. Per caso, alcuni di questi momenti restano chiari e limpidi nel loro mistero, diventando paletti inamovibili di un percorso terreno che da sempre sappiamo temporaneo, imprevedibile, e, comunque vada, inesorabilmente breve.
Il prologo iniziale mi è piaciuto moltoEra una fredda serata d’inizio marzo. Londra era soffocata dalla nebbia e l’aria gelida fendeva i vicoli stretti come tante lame invisibili, luci soffuse baluginavano dalle finestre, s'udiva un trambusto di passi sul selciato e urla d’ubriachi fuori dai pub.
Molto bella anche questa descrizioneVagavo senza meta per le strade, barcollando, la vista offuscata da una decina di pinte. Me ne sarei bevute altre dieci, ma mi era venuta voglia di prendere una boccata d’aria. Non l’avessi mai fatto! L’alcool nel mio sangue si trasformò improvvisamente in lacrime
Il trapassato prossimo all’interno di questo periodo mi stona un po’. Avrei usato il passato remoto (mi venne voglia)paranoie da sballato, debolezze alcooliche, presto o tardi tutto sarebbe passato.
Potresti trovare un sinonimo per evitare l’effetto “rima”.
per sgolarmi per “scolarmi”
Non ero pienamente sicuro di ciò che stavo vedendo, perciò sgranai i miei occhi saturi. Una croce in fiamme alcooliche
Trovo questo passaggio un po’ troppo carico. Che il,protagonista sia ubriaco è già ben chiaro da tutta la narrazione. È ridondante continuare a insistere su questo aspetto. Asciugherei.
arrivai al portone con respiro (col respiro…)
In generale nel testo c’è un uso eccessivo dell’aggettivo possessivo che appesantisce la lettura e potrebbe essere evitato. Ti faccio un esempio.
il mio corpo parve cadere. Spalancando la pesante porta, l’aria gelida che soffiò dall’interno sul mio viso mi gelò la punta del naso e, come un paio di braccia forti, cullò il mio corpo (ecc.)
Il testo abbonda anche di aggettivi e pronomi dimostrativi. Ne ho contati 21. Puoi alleggerire di molto il testo se li togli. Spesso non servono a nulla. Oltretutto risparmieresti un sacco di battute.
Ti faccio alcuni esempi:
Che quel luogo fosse dimora di spettri?
Quella casa di Dio era buia
da quel cono di luce
quella voce tonante
quell’anticamera
quell’uomo
quella barba ben curata
quello strano signore
quella sacrestia
Lui si destò di colpo dallo scranno
Questa frase mi suona male. Destarsi di colpo da uno scranno?
Forse, si alzò di scatto dallo scranno
Ciao @Molli Redigano e grazie per aver condiviso il tuo racconto, l’ho letto con molto interesse e piacere.
Credo che Char si sentirà onorato dalla tua scelta.
Il testo è originale nella sua tessitura ed è appassionante. Cattura l’attenzione del lettore e la mantiene salda fino alla fine.
O per quanto riguarda i paletti, l’anticamera è solo nominata, il 1600 lo hai trovato con un formula particolare (Shakespeare è morto nel 1616. Sono passati ventisei anni da quell’incontro (…) Oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa). La chiesa c’è. Per quanto riguarda Char, per essere proprio il nostro Char, avresti dovuto declinarlo nel 2022, quindi era necessario un crossover di genere, secondo me. Crossover che potevi tranquillamente fare con un testo così, un po’ alla “Non ci resta che piangere”.
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Re: Il cigno
Caro Molli, è un vero onore essere protagonista del tuo racconto. Che ho letto con grande piacere. Non capita a tutti di trovarsi al cospetto di William Somewhere, o qualcosa di simile... Soprattutto per chi prova, con esito discutibile, di emularne le gesta. Me lo voglio rigustare con calma.
Ti ringrazio.
Ti ringrazio.
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
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Re: Il cigno
Ciao Molly, con la nota di un racconto rifiutato per lo step, mi cade miseramente un mio totoautore!
L'ho letto un po' velocemente, lo confesso, e quindi ci tornerò molto volentieri.
Un pezzo che non stonerebbe a teatro, anzi è proprio su un palcoscenico che mi si è presentato dopo il primo lungo incipit, e in tale sede me lo rileggerò.
Grazie per averlo condiviso.
L'ho letto un po' velocemente, lo confesso, e quindi ci tornerò molto volentieri.
Un pezzo che non stonerebbe a teatro, anzi è proprio su un palcoscenico che mi si è presentato dopo il primo lungo incipit, e in tale sede me lo rileggerò.
Grazie per averlo condiviso.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Il cigno
Aspettavo di rileggere questo racconto.
Mi ha folgorato immediatamente.
Ma per un laureato in letteratura inglese è quasi scontato che l'effetto sia questo.
Io ho sognato a occhi aperti, leggendoti: ho provato invidia per il tuo protagonista, per questo episodio della sua vita così assurdo e particolare e alla presenza di un siffatto gigante.
Grazie, Molli, questo racconto non poteva rimanere dentro a un cassetto.
Mi ha folgorato immediatamente.
Ma per un laureato in letteratura inglese è quasi scontato che l'effetto sia questo.
Io ho sognato a occhi aperti, leggendoti: ho provato invidia per il tuo protagonista, per questo episodio della sua vita così assurdo e particolare e alla presenza di un siffatto gigante.
Grazie, Molli, questo racconto non poteva rimanere dentro a un cassetto.
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IN GRAN SILENZIO OGNI PARTIGIANO GUARDAVA QUEL BASTONE SU IN COLLINA.
REACH OUT AND TOUCH FAITH! Sembrano di sognante demoni gli occhi, e i rai
del lume ognor disegnano l’ombra sul pavimento,
né l’alma da quell’ombra lunga sul pavimento
sarà libera mai!
Quel vizio che ti ucciderà
non sarà fumare o bere,
ma è qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere.
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Re: Il cigno
A onor del vero, posso confermare che The Raven ha perorato l'ammissibilità di questo racconto, ma il resto del CdL è stato inflessibile, come ormai sai...
Detto questo, sono davvero contento di averlo potuto rileggere qui. In effetti è un racconto più che valido, paletti o non paletti.
Poi hai partecipato con un racconto di tutt'altro tipo, che ha addirittura quasi vinto il premio CdL... Magari quel racconto non sarebbe mai nato, senza questa esclusione.
Al prossimo step!
Detto questo, sono davvero contento di averlo potuto rileggere qui. In effetti è un racconto più che valido, paletti o non paletti.
Poi hai partecipato con un racconto di tutt'altro tipo, che ha addirittura quasi vinto il premio CdL... Magari quel racconto non sarebbe mai nato, senza questa esclusione.
Al prossimo step!
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
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Re: Il cigno
Grazie @Petunia per i preziosi suggerimenti.
Grazie a chi è passato di qua e a chi ci passerà se ritiene.
Grazie a @The Raven, ti confesso che il primo titolo al quale avevo pensato è stato "The swan of Avon".
Grazie a @vivonic. Vero, il secondo racconto non sarebbe mai nato senza la prima esclusione ma, molto francamente, avrei preferito passasse questo. Pace.
Grazie a chi è passato di qua e a chi ci passerà se ritiene.
Grazie a @The Raven, ti confesso che il primo titolo al quale avevo pensato è stato "The swan of Avon".
Grazie a @vivonic. Vero, il secondo racconto non sarebbe mai nato senza la prima esclusione ma, molto francamente, avrei preferito passasse questo. Pace.
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Re: Il cigno
Ciao Molli.
Sono sorpreso perché né questo racconto né Un giorno di ordinaria follia assomigliano alla serie di racconti Molli in Cina, che (mi pare di avertelo già detto) sono di gran lunga i miei racconti preferiti della tua produzione. Avrei cannato di brutto il toto autore per entrambi. Mi viene da pensare che è uscito fuori un nuovo Molli, nuovo per me ovviamente.
In questo racconto sei riuscito a gestire almeno due cose secondo me non facili. Uno: la trama non si dipana, per buona metà del racconto non si capisce dove vai a parare e questo secondo il mio gusto personale tiene alta l'attenzione. Due: uno dei personaggi è William Shakespeare, ma hai avuto il coraggio di trattarlo come un qualsiasi personaggio inventato. Magari il vero Will non era così, però il risultato del tuo racconto buca lo schermo. E lo buca non per ciò che io lettore conosco della persona storica, ma per ciò che hai scritto: la storia diventa un ornamento della finzione e non viceversa, gran punto a tuo favore.
Grazie e alla prossima.
Sono sorpreso perché né questo racconto né Un giorno di ordinaria follia assomigliano alla serie di racconti Molli in Cina, che (mi pare di avertelo già detto) sono di gran lunga i miei racconti preferiti della tua produzione. Avrei cannato di brutto il toto autore per entrambi. Mi viene da pensare che è uscito fuori un nuovo Molli, nuovo per me ovviamente.
In questo racconto sei riuscito a gestire almeno due cose secondo me non facili. Uno: la trama non si dipana, per buona metà del racconto non si capisce dove vai a parare e questo secondo il mio gusto personale tiene alta l'attenzione. Due: uno dei personaggi è William Shakespeare, ma hai avuto il coraggio di trattarlo come un qualsiasi personaggio inventato. Magari il vero Will non era così, però il risultato del tuo racconto buca lo schermo. E lo buca non per ciò che io lettore conosco della persona storica, ma per ciò che hai scritto: la storia diventa un ornamento della finzione e non viceversa, gran punto a tuo favore.
Grazie e alla prossima.
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commento a Il cigno
Purtroppo siamo distanti anni luce dalle storie che solitamente leggo, ma tant’è, è giusto che io mi misuri con qualche cosa di diverso.
Prima considerazione: non ho fatto studi classici e gli spezzoni di commedie, qui narrate, in gran parte mi sono oscure. Sono stato a Verona più volte e conosco vagamente la storia di Romeo e Giulietta. A Londra mi è capitato spesso di esserci e non solo come turista, certo la Londra del sedicesimo secolo sarà stata molto diversa, a parte i pub e la birra.
Ho gradito comunque le capacità dello scrittore e mi inchino a tanta scienza.
Mi permetto solamente di far notare come l’uso del “che” abbondi, ma questa è una mia fissazione o poco più.
Prima considerazione: non ho fatto studi classici e gli spezzoni di commedie, qui narrate, in gran parte mi sono oscure. Sono stato a Verona più volte e conosco vagamente la storia di Romeo e Giulietta. A Londra mi è capitato spesso di esserci e non solo come turista, certo la Londra del sedicesimo secolo sarà stata molto diversa, a parte i pub e la birra.
Ho gradito comunque le capacità dello scrittore e mi inchino a tanta scienza.
Mi permetto solamente di far notare come l’uso del “che” abbondi, ma questa è una mia fissazione o poco più.
almarc- Younglings
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Re: Il cigno
Ciao Molli.
Passo attraverso il tuo racconto e ne esco folgorata, come Char dopo l'incontro con Will. Complimenti per come hai condotto la storia, non era semplice per niente con un protagonista del genere!
Letto con vero piacere.
Grazie
Passo attraverso il tuo racconto e ne esco folgorata, come Char dopo l'incontro con Will. Complimenti per come hai condotto la storia, non era semplice per niente con un protagonista del genere!
Letto con vero piacere.
Grazie
Resdei- Maestro Jedi
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Re: Il cigno
Ciao Molli,
non so come iniziare il mio commento. Sono divisa a metà: da una parte c'é un racconto che è fuori dalla mia comfort zone e quindi ho faticato un po' ad appassionarmi, dall'altra parte un racconto scritto bene, dove diventa difficile fare le pulci.
Sicuramente usi tanti aggettivi, forse qualcuno di troppo, molto forbiti.
All'inizio non avevo capito che il racconto era ambientato nel 1600 e ho trovato il linguaggio un po' ridondante proprio nella scelta delle parole usate. Quando ho intuito il periodo storico mi sono un po' ricreduta, ma non totalmente.
Quindi, anche se non é un racconto nelle mie corde, é sicuramente scritto e sviluppato bene.
Grazie
non so come iniziare il mio commento. Sono divisa a metà: da una parte c'é un racconto che è fuori dalla mia comfort zone e quindi ho faticato un po' ad appassionarmi, dall'altra parte un racconto scritto bene, dove diventa difficile fare le pulci.
Sicuramente usi tanti aggettivi, forse qualcuno di troppo, molto forbiti.
All'inizio non avevo capito che il racconto era ambientato nel 1600 e ho trovato il linguaggio un po' ridondante proprio nella scelta delle parole usate. Quando ho intuito il periodo storico mi sono un po' ricreduta, ma non totalmente.
Quindi, anche se non é un racconto nelle mie corde, é sicuramente scritto e sviluppato bene.
Grazie
Mac- Padawan
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