Alice in seconda classe
Che mi succede? Dove sono? Come sono capitata qui dentro?
La maestra si alza, si avvicina ai banchi ed espone l’argomento del giorno.
- Oggi leggeremo un racconto di Natale e poi scriveremo una paginetta, ma prima dovete rispondere ad alcune domande. Per prima cosa vi chiedo cosa significa per voi questa festa.
Scoppia una baraonda. I bambini parlano tutti insieme, anzi gridano.
- No, non così. Uno per volta…
Intanto guarda me e mi prende un vuoto allo stomaco. Conosco questa sensazione di disagio, mi passo una mano tra i capelli, faccio così quando mi trovo in imbarazzo. Santo cielo, mi sono fatta le trecce!
- Alice, comincia tu: a cosa ti fa pensare il Natale?
Ecco, lo sapevo. Capitava così anche allora, quando frequentavo la scuola elementare, ma… ma accadeva quarant’anni prima, ora non sono una scolaretta. Adesso sono io la maestra, le domande le faccio io. Accanto alla lavagna troneggia un grosso Babbo Natale di plastica. Un oggetto di pessimo gusto che mai troverebbe posto in classe mia.
C’è un equivoco, ho sbagliato classe. Ecco perché mi trovo in questa situazione e come glielo spiego a questi occhi di bimbi puntati come fucili su di me? Combinata così poi, col grembiule e il colletto col fiocco rosa e le trecce! Sto a torcermi le mani, le guardo, sono le mani di una bambina. Oh, cielo!
Vorrei correre via, ma la mia regola è non farsi notare; meglio sgattaiolare inosservata durante la confusione dell’intervallo. Intanto nel silenzio increscioso devo trovare qualcosa da dire. Sento la mia voce rispondere.
- Il Natale mi fa pensare alla gioia, a una voce che canta, al suono delle campane, ai regali sotto l’albero, al panettone, alla tavola apparecchiata con la tovaglia rossa, ai dolci e alle altre cose buone da mangiare, alle voci dei parenti, al presepe, alle cornamuse…
Esagero, però a sette anni avrei risposto così. Non mi è difficile esprimermi come l’Alice bambina che mi è rimasta dentro e qualche volta ha ancora timori e sussulti. La maestra si mostra compiaciuta.
- Bene. Alice dice tante parole. Ci serviranno per scrivere la nostra pagina sul Natale, vediamo di non dimenticarle. Chi vuole venire alla lavagna?
Segue un coro di io.
- Uno alla volta. Martino, vieni tu.
Tra tanti volenterosi, la maestra sceglie i più riluttanti. Martino cammina come se avesse la cacca nelle mutande, ci mette un sacco di tempo per arrivare alla lavagna. Intanto lei ha disegnato un cerchio allungato sopra e sotto come un uovo e ha tracciato linee a destra e a sinistra.
- Allora, Martino, immagina che questo disegno sia un ragno; il cerchio è il corpo e le linee sono le zampe. Scrivi la parola Natale nel cerchio e le parole di Alice una per zampa.
Lui esegue e scrive a sinistra: panettone, regali dolci.
A destra: campane albero presepe.
- Bene, queste sono le parole di Alice, ora aggiungi le tue.
- Maestra, ma quante zampe ha questo ragno?
I bambini ridono.
- Sssst, silenzio! Martino deve pensare.
Lucilla alza la mano, la maestra fa un cenno. Permesso accordato.
- Perché deve pensare, non deve scrivere?
- Certo Lucilla, ma da dove vengono le parole?
- Dai pensieri?
- Certo. Facciamo così: ognuno pensa una parola, poi va a scriverla alla lavagna.
I bambini ci prendono gusto, fanno a gara per aggiungere zampe al ragno Natale. Io invece non mi diverto per niente e mi domando perché sono qui. Non ho inseguito il coniglio bianco, come la mia più famosa omonima, non mi sono fermata davanti a uno specchio per oltrepassarlo. Che ho fatto per trovarmi in questa situazione angosciosa?
Ci sono. È successo davanti al centro commerciale. C’era un enorme Babbo Natale di plastica che il vento faceva dondolare, non lo guardava nessuno dei passanti, nemmeno i bambini. Un Babbo Natale fasullo, immagine perfetta di una festa svuotata di significato. Ho pensato che sarebbe stato bello rivivere un Natale della mia infanzia, quando la festa aveva un senso. Ci pensavo ancora la sera prima di addormentarmi: ho espresso il desiderio e sono caduta nel sogno.
Ma è un sogno sbagliato. Non era questo il giorno che avrei voluto rivivere.
I giorni belli si possono ricordare; riviverli non si può. Sognarli? Può capitare, ma ne escono distorti e ora ho un solo desiderio: vorrei sentire il suono della sveglia e uscire fuori dal sogno. Ho voglia di un Natale vero, triste o lieto che sia, ma reale.
Non serve oltrepassare lo specchio per vedere meraviglie, lo specchio già le riflette, ma tu non le vedi perché guardi solo la tua immagine riflessa, la tua gioia, la tua tristezza.
Prova a guardare tutte le altre cose che hai intorno, Alice, c’è tutto un mondo da scoprire, ci sono gli altri.
E basta con i sogni; si è fatto tardi.
È tardi! Ammonisce il coniglio che ti sei stancata di inseguire.
Apri gli occhi e vivi!
Che mi succede? Dove sono? Come sono capitata qui dentro?
La maestra si alza, si avvicina ai banchi ed espone l’argomento del giorno.
- Oggi leggeremo un racconto di Natale e poi scriveremo una paginetta, ma prima dovete rispondere ad alcune domande. Per prima cosa vi chiedo cosa significa per voi questa festa.
Scoppia una baraonda. I bambini parlano tutti insieme, anzi gridano.
- No, non così. Uno per volta…
Intanto guarda me e mi prende un vuoto allo stomaco. Conosco questa sensazione di disagio, mi passo una mano tra i capelli, faccio così quando mi trovo in imbarazzo. Santo cielo, mi sono fatta le trecce!
- Alice, comincia tu: a cosa ti fa pensare il Natale?
Ecco, lo sapevo. Capitava così anche allora, quando frequentavo la scuola elementare, ma… ma accadeva quarant’anni prima, ora non sono una scolaretta. Adesso sono io la maestra, le domande le faccio io. Accanto alla lavagna troneggia un grosso Babbo Natale di plastica. Un oggetto di pessimo gusto che mai troverebbe posto in classe mia.
C’è un equivoco, ho sbagliato classe. Ecco perché mi trovo in questa situazione e come glielo spiego a questi occhi di bimbi puntati come fucili su di me? Combinata così poi, col grembiule e il colletto col fiocco rosa e le trecce! Sto a torcermi le mani, le guardo, sono le mani di una bambina. Oh, cielo!
Vorrei correre via, ma la mia regola è non farsi notare; meglio sgattaiolare inosservata durante la confusione dell’intervallo. Intanto nel silenzio increscioso devo trovare qualcosa da dire. Sento la mia voce rispondere.
- Il Natale mi fa pensare alla gioia, a una voce che canta, al suono delle campane, ai regali sotto l’albero, al panettone, alla tavola apparecchiata con la tovaglia rossa, ai dolci e alle altre cose buone da mangiare, alle voci dei parenti, al presepe, alle cornamuse…
Esagero, però a sette anni avrei risposto così. Non mi è difficile esprimermi come l’Alice bambina che mi è rimasta dentro e qualche volta ha ancora timori e sussulti. La maestra si mostra compiaciuta.
- Bene. Alice dice tante parole. Ci serviranno per scrivere la nostra pagina sul Natale, vediamo di non dimenticarle. Chi vuole venire alla lavagna?
Segue un coro di io.
- Uno alla volta. Martino, vieni tu.
Tra tanti volenterosi, la maestra sceglie i più riluttanti. Martino cammina come se avesse la cacca nelle mutande, ci mette un sacco di tempo per arrivare alla lavagna. Intanto lei ha disegnato un cerchio allungato sopra e sotto come un uovo e ha tracciato linee a destra e a sinistra.
- Allora, Martino, immagina che questo disegno sia un ragno; il cerchio è il corpo e le linee sono le zampe. Scrivi la parola Natale nel cerchio e le parole di Alice una per zampa.
Lui esegue e scrive a sinistra: panettone, regali dolci.
A destra: campane albero presepe.
- Bene, queste sono le parole di Alice, ora aggiungi le tue.
- Maestra, ma quante zampe ha questo ragno?
I bambini ridono.
- Sssst, silenzio! Martino deve pensare.
Lucilla alza la mano, la maestra fa un cenno. Permesso accordato.
- Perché deve pensare, non deve scrivere?
- Certo Lucilla, ma da dove vengono le parole?
- Dai pensieri?
- Certo. Facciamo così: ognuno pensa una parola, poi va a scriverla alla lavagna.
I bambini ci prendono gusto, fanno a gara per aggiungere zampe al ragno Natale. Io invece non mi diverto per niente e mi domando perché sono qui. Non ho inseguito il coniglio bianco, come la mia più famosa omonima, non mi sono fermata davanti a uno specchio per oltrepassarlo. Che ho fatto per trovarmi in questa situazione angosciosa?
Ci sono. È successo davanti al centro commerciale. C’era un enorme Babbo Natale di plastica che il vento faceva dondolare, non lo guardava nessuno dei passanti, nemmeno i bambini. Un Babbo Natale fasullo, immagine perfetta di una festa svuotata di significato. Ho pensato che sarebbe stato bello rivivere un Natale della mia infanzia, quando la festa aveva un senso. Ci pensavo ancora la sera prima di addormentarmi: ho espresso il desiderio e sono caduta nel sogno.
Ma è un sogno sbagliato. Non era questo il giorno che avrei voluto rivivere.
I giorni belli si possono ricordare; riviverli non si può. Sognarli? Può capitare, ma ne escono distorti e ora ho un solo desiderio: vorrei sentire il suono della sveglia e uscire fuori dal sogno. Ho voglia di un Natale vero, triste o lieto che sia, ma reale.
Non serve oltrepassare lo specchio per vedere meraviglie, lo specchio già le riflette, ma tu non le vedi perché guardi solo la tua immagine riflessa, la tua gioia, la tua tristezza.
Prova a guardare tutte le altre cose che hai intorno, Alice, c’è tutto un mondo da scoprire, ci sono gli altri.
E basta con i sogni; si è fatto tardi.
È tardi! Ammonisce il coniglio che ti sei stancata di inseguire.
Apri gli occhi e vivi!
- Spoiler:
- www.differentales.org/r1181-giro-giro-tondo(83)