12 settembre 1954, domenica
«Prego, entri pure signorina Désétoiles, la stavo aspettando.»
La stanza era fredda e semibuia, illuminata solo dalla scarsa luce che filtrava dalle finestre socchiuse. Pioveva a dirotto.
L’aria aveva un odore strano: una stomachevole mistura di umido, stantìo, disinfettante e cera da pavimenti che rilucevano come specchi. Petunia Désétoiles era imbarazzata pensando alle proprie scarpe bagnate.
La madre superiora, chiusa nel severo abito nero, contribuiva all’atmosfera lugubre di quel luogo e, nel tono mellifluo con cui l’aveva invitata, Petunia aveva colto una certa nota di rimprovero.
La donna stava seduta dietro a una grande scrivania di tek, lucida, senza un granello di polvere. Sopra, solo una lampada di squisita fattura; di certo il dono di un parente in cambio di un occhio di riguardo per un proprio congiunto. Completavano l’arredo un sottomano in cuoio e un elegante pennino piumato.
Davanti alla religiosa era aperto un libro contabile dalle pagine rigonfie, scritto con una calligrafia ordinata. Tutto era annotato con precisione: cibo, medicinali, servizi personali. La suora scorreva le varie voci con l’indice. La mano ossuta si soffermava di tanto in tanto su quelle più onerose accompagnata da un piccolo cenno del capo. Petunia aveva notato una sorta di ghigno soddisfatto quando si era posata sull’ultima riga: con l’inchiostro rosso era ben evidenziato il costo totale dovuto per la permanenza di sua madre nella struttura fino al giorno della sua naturale dipartita.
Soddisfatta, aveva infine rivolto lo sguardo verso Petunia che era rimasta in piedi.
«Posso sedermi?»
« Ma certo cara, avremo un po’ di cose da discutere. È da molto che non la vedo e mi spiace incontrarla in questa triste occasione.»
Di nuovo quel tono di rimprovero. Petunia non vedeva l’ora di chiudere l’argomento e tornare all’aria aperta.
L’ultima tratta Charleville-Ronchecourt era quella più massacrante, soprattutto perché concludeva un viaggio interminabile che stava portando il Commissario Leroux, dopo numerosi cambi di convogli ferroviari, da Morlaix a Ronchecourt, dalla Bretagna alle Ardenne. L’ultima frazione del viaggio stava avvenendo su una corriera sgangherata che certamente era stata testimone di entrambe le guerre mondiali. Soltanto la permanenza su un'imbarcazione in mezzo al mare poteva essere più spiacevole per lui del procedere incerto su quel tratto stradale così tormentato.
Petunia era dovuta partire in tutta fretta da Martignac, dopo la sgradevole telefonata che le aveva annunciato che le condizioni di sua madre erano precipitate. Leroux stesso l'aveva accompagnata alla stazione. Nella notte aveva maturato l'idea di prendersi qualche giorno di pausa dal lavoro, attingere all'ampia riserva di ferie da consumare e recarsi nelle Ardenne, la sua regione natale, anche per essere di aiuto e di conforto all'amica in questo momento difficile.
Gli era stata sufficiente una telefonata al suo vecchio amico e collega Alphonse Meunier, Commissario alla Gendarmeria di Charleville, per trovare una dignitosa sistemazione per una decina di giorni a Ronchecourt.
La cerimonia aveva avuto luogo nella Chiesa di Saint-Hilaire, seguita dalla sepoltura nel piccolo cimitero di Ronchecourt. Leroux si era fatto portare da un taxi, appena in tempo per le ultime fasi di quel funerale. Le persone presenti non erano molte: soltanto quei pochi che ancora si ricordavano della famiglia Désétoiles.
Leroux non ebbe modo di guardarsi intorno, perché la sua attenzione fu immediatamente catturata da Petunia: non avrebbe mai voluto vederla così. Era abituato a vedere i suoi occhi vivi e brillanti che ridevano ancor prima del suo sorriso e non li riconosceva in quella espressione di una tristezza infinita, inondati di lacrime che le rigavano il volto.
Non era il dolore contenuto, né tanto meno quel misurato sollievo che aveva visto altre volte ai funerali di persone anziane che se ne erano andate dopo lunghe e atroci malattie. Petunia esprimeva in quel momento tutta la disperazione di chi aveva perduto, senza speranza, un pezzo importante di sé, una specie di mutilazione. Gerard le si era avvicinato; lei gli aveva sorriso con un misto di malinconia e di dolcezza, lo aveva invitato ad avvicinarla e si era appoggiata al suo braccio.
Erano saliti in taxi ed erano rimasti in silenzio per tutto il tragitto. Gerard non aveva parole adeguate da dirle; le aveva rivolto soltanto qualche sguardo al quale lei aveva risposto con un triste sorriso.
«Grazie, Gerard», aveva detto lei con un filo di voce. «Purtroppo domani dovrò tornare là dentro per ritirare gli effetti personali della mamma.»
«Non ci pensare. Domani mattina ti accompagnerò io. Passo a prenderti verso le nove. Va bene?»
«Sì, sei molto caro.»
Aveva congedato il taxi e si era diretto a piedi verso la propria abitazione. Aveva bisogno di camminare un po’ e, mentre percorreva le tranquille stradine del centro di Ronchecourt, ripensava a quel primo caso che avevano risolto insieme a Martignac. Poteva dirlo con assoluta certezza: senza le intuizioni e l’istinto naturale di Petunia, non sarebbe riuscito a risolverlo. Ma anche in molti altri casi successivi la consulenza spontanea, talvolta quasi involontaria, di Petunia, era stata determinante.