Stralcio dal giornale Padova Oggi
Incendio in un condominio a… , oggi 28 novembre 2015
«Un incendio di enormi dimensioni si è sviluppato nel primo pomeriggio di sabato, pochi minuti dopo le 15, in un condominio...
CONDOMINIO A FUOCO. Massiccio il dispiegamento di forze da parte dei vigili del fuoco, intervenuti con nove squadre (da Padova, Abano Terme, Santa Giustina, Vicenza e Venezia), per un totale di 26 uomini, e con dieci automezzi, tra cui 4 autoscale. L'incendio è divampato in uno spazio interrato del condominio. Il fumo si è quindi esteso ai vani scale e ai corridoi di due palazzine, collegate tra loro da un tunnel, costringendo i condòmini a rinchiudersi nei propri appartamenti o a trovare sollievo dal fumo nelle terrazze private.»
Il nostro undici settembre
Erano le tre di pomeriggio ed eravamo seduti a tavola… Mia moglie preparava il caffè.
Chissà per quale motivo quel giorno ero rimasto vestito dopo essere rincasati, niente solita tuta e ciabatte.
Tutto tranquillo fino a quando un forte odore di gas cominciò a inondare l’appartamento.
Ci volle poco a realizzare che la situazione era grave. Cosa fare?
«Qui scoppia tutto» E nel dirlo presi per mano mia moglie e uscimmo sul pianerottolo.
Piccola premessa, il mio condominio è un labirinto di scale e corridoi…
Il vento fece richiudere la porta di casa e ci ritrovammo prigionieri a ridosso delle scale.
Feci un passo sul primo gradino e in quel momento fummo inondati da un fumo nerissimo e irrespirabile, non si vedeva nulla, sembrava l’inferno, non riuscivo nemmeno a vedere le mie mani infilate nell’occhio.
Cominciammo a scendere e a inoltrarci nei corridoi andando avanti a caso e facendo una fatica enorme a respirare. Io tenevo stretta la mano di mia moglie, sapevo che se avessi perso la presa sarebbe stata la fine.
Arrivati a un punto che sapeva di nulla e di morte prendemmo la direzione sbagliata: salivamo su invece di scendere. Per puro caso misi la mano sul passamano della rampa di scale che scendeva e intuii dall’inclinazione che quella era la strada. Riuscimmo a scendere nel corridoio centrale a piano terra, sempre immersi nell’inferno più cupo e sempre respirando oramai a fatica, anzi il fiato stava per finire e si sentiva il nostro ansimare convulso.
Notai un piccolo squarcio di luce e mi diressi, sempre tenendo per mano mia moglie, in quella direzione, eravamo a ridosso del grande portone che dava all’esterno.
Purtroppo mancava la corrente e quel portone era impossibile da aprire, in un ultimo tentativo disperato tornai indietro e per puro miracolo appoggiai una mano su un muro a un centimetro dalla maniglia della porta d’uscita per il corridoio dei garage, l’aprii con tutta la forza trascinandomi mia moglie, ci tuffammo fuori, facendo un respiro lunghissimo che sapeva di nascita.
Eravamo neri come il carbone e gonfi, tutta la pelle appiccicata da plastica andata in fumo.
Eravamo vivi.
Passammo una notte sulla barella del pronto soccorso e io avevo dei valori clinici degni d’un morto, tant’è che mi guardavano come un morto…
Ci misi un anno per far tornare quei valori a una certa normalità.
Chi o cosa ci aveva permesso di resistere? Impossibile respirare, come da dichiarazione dei vigili del fuoco. E cosa avevo nelle mani da tenere incollata a me mia moglie con tanta forza? E perché feci quei gesti che ci salvarono la vita? E come potevo essere ancora vivo dopo nonostante quei valori?
«Ancora oggi conservo la foto dell'impronta nera della mia mano lasciata sul muro accanto alla porta d'uscita, un po' come la mano della baronessa di Carini, per chi ricorda quel vecchio sceneggiato Rai degli anni settanta...»
