Ben nascosto nella stanza da bagno della scuola cittadina aveva tutto il tempo di riflettere sugli ultimi giorni.
Certo! L’avevano pagato e anche profumatamente.
Un profumo però irreale che non avrebbe potuto contrastare il puzzo di quel luogo infetto.
Quel paffuto banchiere, John Praygod, gli aveva messo di fronte ben cinquemila dollari in banconote da uno. Li aveva guardati bene. Non aveva mai visto prima quei pezzi di carta col ritratto di Marta Washington, che in quell’anno di Dio 1896, erano dei Certificati del valore di mercato di un’oncia d’argento ciascuno. Gli avrebbero permesso d’acquistare quel bellissimo appezzamento di cento acri sulle colline del Wyoming, attraversato da un piccolo fiume, forse un affluente del grande Wind River, sul quale avrebbe costruito la sua farm per la gestione di una mandria di un centinaio di vacche. Tanto per cominciare. Poi si sarebbe sposato e andato a vivere lì con la sua bellissima Rossella.
L’appezzamento al catasto era identificato sotto il nome di Petty’nen’go, forse di provenienza Arapaho o forse una contrazione dall’americano “Meschino Viandante”, ma a lui questo non interessava. Sul fondo c’erano ancora i resti di una grande capanna che si raccontava fosse un posto di ristoro per uomini e cavalli, gestito da un gentiluomo dai modi gentili, un’ottima cucina ma dal grilletto facile.
Lui comunque voleva solo concludere, da vivo, quella orribile storia e perciò si era deciso a raccontare tutti i fatti nella epistola spedita, il pomeriggio dopo l’incontro con Praygod, alla sua fidanzata Rossella che ogni giorno lo attendeva nella speranza di un diverso domani.
Anche lui l’avrebbe voluto ed era perciò che aveva staccato dal chiodo, ove pensava d’averlo riposto per sempre, per rimetterselo nuovamente attorno alla vita, quel cinturone con il suo fedele revolver a sei colpi Long Colt.
Gli era andato stretto e aveva avuto bisogno di spostare la fibbia di un paio di buchi. La vita sedentaria del giocatore di poker l’aveva certamente appesantito ma nulla aveva tolto alla sua abilità con il potente revolver.
Non aveva mai sparato più di un colpo per uccidere il suo avversario.
Estrarre allineando e fuoco.
Un gesto fluido, quasi spontaneo, del suo braccio sinistro.
Il suo soprannome, quando era ancora nel giro dei famosi pistoleros del West, era proprio Lefty.
Lui, per gigioneggiare, aveva allora chiamato ogni suo cavallo Righty e ogni revolver Justly.
La mania dei nomignoli non era mai stata ben accettata da Rossella. La prima volta che l’aveva chiamata Rossy, lei s’era arrabbiata e non gli aveva più parlato per una settimana intera. Era vero che lei non aveva mai fatto alcuna allusione al suo cognome Butler. Ce ne sarebbero stati di giochini, anche pesanti, su quel “maggiordomo” ma mai nulla. In effetti non aveva nemmeno mai storpiato il suo nome, Rhett. Gentile come ragazza anche se un po’ scontrosa. Era certo che lo sarebbe stata di meno quando le avrebbe proposto di sposarsi, andare a vivere insieme a Petty’nen’go e diventare dei Gentlefarmers.
Prima però doveva portare a termine quest’ultimo contratto.
Lui sparava solo per soldi.
Non gli piaceva però che qualcuno lo chiamasse assassino. Preferiva l’altro termine, quello di mercenario. Anch’esso abbastanza brutto ma non così come quello di assassino che proiettava alla mente l’odiosa figura di qualcuno che uccide una persona indifesa.
Lui questo non lo faceva mai!
Dava sempre l’occasione di difendersi in un duello. Lui e l’altro, soli, ciascuno freddamente pronto a uccidere.
Ogni volta che gli era successo, e Dio solo sapeva quante, visto che lui aveva tendenza a dimenticarle, al suo avversario aveva spiegato le ragioni del perché l’avrebbe ucciso. Gli aveva dato però la possibilità, anche qui solo Dio sapeva quanto esigua fosse, di vincere quel duello che offriva una parvenza di giustizia alle sue uccisioni.
Al banchiere, il Preside della scuola, Pinkcheeks, aveva stuprato la figlia di dieci anni!
E non era la prima volta che succedeva.
Altre povere bambine avevano subito quel terribile abuso ma nessuna ne aveva mai accennato ai propri genitori. Sia per vergogna che per paura d’essere state loro nel torto verso quell’uomo così gentile e sempre pronto ad aiutarle.
Pinkcheeks era un uomo ricco e potente nella piccola contea. Oltre che Preside della scuola era anche il Giudice del tribunale cittadino.
Praygod era quasi sicuro che una denuncia allo Sceriffo, oltretutto cognato di Pinkcheeks, non sarebbe servita a nulla. Si era allora rivolto a lui per ottenere giustizia.
Il fatto però non avrebbe potuto svolgersi alla luce del sole, come per un duello e quindi aveva pensato di chiudersi in quel bagno della scuola per cogliere di sorpresa il criminale e, sfidandolo proprio lì sul posto, a fargli pagare, una volta per tutte, le sue odiose malefatte.
Tutta la storia era contenuta nella lettera che aveva spedito a Rossella.
Non gli sarebbe piaciuto per nulla al mondo che dopo la propria morte, ipotesi comunque veramente impossibile che si realizzasse, qualcuno lo trattasse da semplice assassino.
A Rossella aveva scritto anche del terreno e nella busta aveva messo l’atto di proprietà di Petty’nen’go a lei intestato. Sarebbe toccata a lei la costruzione della farm e la creazione dell’allevamento. Lui più di quello non avrebbe potuto fare. Forse per lei, che aveva attraversato una guerra, la perdita di due mariti ma ancor più terribile quella di una figlia e che ora doveva sopportare un’esistenza priva di quegli sfarzi a cui era stata abituata, quel lascito avrebbe veramente dato un significato al suo domani.
Era entrato in quel bagno all’ora di chiusura delle classi ed era passata oltre mezz’ora, in cui i suoi pensieri avevano vagato sulla sua storia e su quella per cui si era rinserrato lì dentro. Non sentiva nemmeno più la puzza che risaliva dal buco nell’impiantito e dalle pareti, impregnate da quelle esalazioni dei molti che l’avevano usato anche impropriamente. Per la pulizia c’era solo un grosso secchio pieno d’acqua ma sembrava ancor più puzzolente di tutto il resto della stanza.
Lui sapeva che nel giro di un’ora dalla chiusura, Pinkcheeks avrebbe compiuto un’attenta visita di tutti locali, poi avrebbe chiuso la scuola e si sarebbe trasferito nel suo ufficio di Giudice o nel Saloon per una partitina a poker o addirittura a casa dalla sua signora.
L’uomo non aveva figli e forse era stato un bene per loro non essere mai nati.
Gli istinti brutali di quel bastardo non si sarebbero certo fermati per un grado di parentela!
Era venuto il momento di smettere di pensare!
C’erano dei passi pesanti che si avvicinavano e gli pareva pure di udire dei sordi lamenti.
Che stava succedendo?
Sbirciando dalla porta lo vide in corridoio che avanzava con un bambino, ben stretto sotto il braccio destro e che con la sua grossa mano gli tappava la bocca.
Quel criminale non faceva distinzione fra maschietti e femminucce!
Era venuto il momento di fargliela pagare!
Uscì dal bagno e vide l’altro che per la sorpresa aveva lasciato cadere il bambino che appena toccato il suolo era rimbalzato come una palla di gomma ed era scappato via urlando come un indemoniato.
Pinkcheeks aveva a quel punto slanciato in avanti il braccio destro e nella mano era apparsa una piccola pistola.
«Credete forse di uccidermi con quella?» chiese soavemente Butler che se l’aspettava avendolo spesso incontrato al tavolo del poker e avendo notato il piccolo rigonfio della manica.
L’altro non rispose.
Un foro gli si era aperto giusto nella parte del cuore.
Un colpo solo. Come sempre.
L’avversario era già morto.