Un plico di pagine gialle
«Aprii una pagina gialla incastonata dentro una copertina in pelle sgualcita e mi ritrovai a leggere occhi e sorrisi d’una emanazione temporale che profumava di passato e di polvere dimenticata.»
Erano righe imprecise, scritte con un’Olivetti Lettera 82, che denotavano un’imperizia di cuore maledettamente radicata nel profondo e difficile da cancellare.
Mi sentii come un refuso e dei miei errori ne fui compartecipe, con quel tocco di melanconia pungente che mi destò dal mio letargo, dalla mia povertà interiore e socialmente simbiotica.
Ebbi la forza di sedermi sul letto e di lasciare scivolare quel plico sul copriletto damascato.
Ecco, ero solo con me stesso e in compagnia delle gocce di sangue che erano stampate su quelle pagine gialle.
Avrei voluto passare oltre e ridere, ridere, ridere…
Quanta lussuria d’acari inondava ogni riga e quanta rilegata speranza trasudava dai pensieri stampigliati dentro le vene che irradiavano la vita in quella morta carta.
E rividi soli nascenti e solitudini morenti e pensai al materiale sapore di focacce al pomodoro
che poco avevano di poetica visione e molto d’amore mangiato a morsi.
«Sono ancora prigioniero qui» Pensai nel mentre cercavo qualche macchia rossa che comprovasse quei sapori perduti.
Il suono d’una stazione ferroviaria mi legò alle pagine incatenandomi ai binari che in gioventù avevo percorso, il terrore mi attanagliava e nulla poteva slegarmi dell’essere protagonista nel mio passato riscoperto.
Mossi alcuni passi fuori dai treni e mi diressi sul corso che scendeva al porto e trovai lembi strappati di storie e disperatamente cercai di ricostruire la scrittura come se in testa avessi ancora la mia macchina da scrivere, tutto fu inutile.
Piansi accovacciato su quel letto di ricordi accartocciando nella mani la polvere e le ragnatele del vissuto.
Come avrei potuto continuare a leggere il destino nelle righe del cristallo versato? Come era possibile trovare il tempo senza che esso s’accorgesse che gli sei passato accanto?
Presi un pugnale indiano, comprato in un vecchio mercatino dell’usato, e colpii con violenza il mio torace e rimasi steso sul sangue che si riversava sui miei versi, quelli veri, quelli che guardavano l’orizzonte del mare.
Lasciai morire tutto e in quella pozza di sangue il plico ingiallito lavò la paura tornando a vivere la sua bellezza.
«A volte la vita non comprende il tuo tempo e spesso invece il tempo non comprende la vita che senza spiegazione scivola nel limbo dell’inesistenza»