Episodio 1 - Albemasia.
Gianni diede un’occhiata al foglio delle assegnazioni affisso alla bacheca e sbuffò: quella mattina non era dell’umore giusto per sopportare le paturnie di Alfonso, l’anziano della numero sei. Perciò si avviò verso il corridoio con il carrello dei medicinali, ciabattando di malumore.
«Buongiorno Alfonso, abbiamo dormito bene stanotte?» domandò entrando, in tono forzatamente allegro. Un grugnito fu tutto ciò che ottenne in risposta.
Il vecchio era seduto sulla sedia a rotelle con le spalle alla porta, apparentemente intento a fissare il giardino dalla finestra della camera. L’infermiere sospirò, poi si apprestò a preparare il vassoio dei farmaci. L’anziano pareva completamente immobile, tranne che per le dita delle mani che tormentavano incessantemente la pelle intorno alle unghie. Quel vizio se lo sarebbe portato fino alla tomba, pensò Gianni, che più di una volta aveva dovuto medicare le dita artritiche del vecchio, maltrattate fino a sanguinare.
In quel momento un altro ospite della casa di riposo si affacciò alla porta. Era Antonio, un uomo molto avanti con gli anni che si sosteneva con un bastone e che, dopo aver salutato con un cenno l’infermiere, si rivolse ad Alfonso, che gli dava le spalle:
«Ehi vecchio brontolone, invece di startene lì a guardare fuori dalla finestra, che ne dici di fare un giro giù in giardino? Almeno togli la ruggine alle ruote».
«E tu che ne dici di farti i fatti tuoi? Piuttosto che sorbirmi la tua compagnia, preferisco contare tutte le foglie dell’albero di fronte», rispose l’altro senza voltarsi.
«Mi piacerebbe proprio stare a guardare!» replicò Antonio. «Manco lo vedi l’albero, ormai. Sei più cocciuto di un asino», e se ne andò, facendo un gesto con la mano in direzione di Alfonso, come a significare che era tutto tempo perso.
Dopo quella sortita, l’umore del vecchio peggiorò e a farne le spese fu il povero Gianni che, quando uscì dalla sua stanza, si augurò di non dover avere più nulla a che fare col paziente della sei per tutto il resto del turno.
«Che uomo insopportabile», si confidò poi con Beppe, il collega anziano, quando ebbe finito il suo giro. «Ha un pessimo carattere! Sembra detestare proprio tutti. Riesce a trattare male perfino Antonio, che ogni tanto almeno ci prova a farlo uscire dal guscio. E invece lui niente», concluse sottolineando le sue parole con un gesto eloquente.
«E pensare che Antonio un tempo è stato il suo migliore amico», commentò Beppe scrollando il capo.
Gianni lo fissò, esclamando sorpreso: «Amico? Ma di chi, di quel vecchio scontroso? Non ci posso credere!»
«Non solo erano amici», precisò l’altro. «Alfonso e Antonio erano come fratelli».
«Ma com’è possibile?»
I due infermieri intanto erano arrivati davanti al distributore automatico che si trovava in fondo al corridoio e, avendo ancora alcuni minuti di pausa, Beppe si accinse a raccontare al collega quello che aveva saputo sulla vita dei due anziani ospiti.
Quando Beppe ebbe finito di parlare, il giovane infermiere rimase in silenzio per un po’, rimuginando sulla storia incredibile che aveva appena ascoltato.
Il mattino seguente Gianni, a cui in testa ronzava ancora l’eco di quanto l’amico gli aveva rivelato, decise di scambiarsi di turno con il collega che doveva occuparsi della sei, e si diresse col suo carrellino verso la stanza di Alfonso.
«Buongiorno», esordì iniziando a somministrargli la manciata di pillole quotidiane.
Questa volta il vecchio lo ignorò del tutto.
Allora Gianni si mise alle spalle dell’anziano e cominciò a guidare la sedia a rotelle fuori dalla stanza.
«Dove stiamo andando?» domandò Alfonso accigliato.
«Scendiamo al piano terra», rispose laconico il giovane, continuando a spingere la carrozzina lungo il corridoio, per poi scendere con l’ascensore. Una volta arrivati però, con grande sorpresa del vecchio, invece di girare verso la sala comune presero la via della porta, dirigendosi in giardino.
Alfonso attaccò a protestare, ma all’improvviso ammutolì, quando il giovane fermò la carrozzina sotto un albero, si girò indietro e se ne andò, lasciando Alfonso all’ombra di un platano.
Sulla panchina di fianco ad Alfonso era seduto Antonio.
Questi, quando se ne accorse, si dimostrò non meno sorpreso dell’altro e per un attimo i due vecchi restarono a guardarsi, senza sapere cosa dire.
Poi entrambi distolsero lo sguardo e si misero a fissare le aiuole del giardino davanti a loro, per un tempo che parve infinito.
Alfonso fu il primo a parlare.
Gianni diede un’occhiata al foglio delle assegnazioni affisso alla bacheca e sbuffò: quella mattina non era dell’umore giusto per sopportare le paturnie di Alfonso, l’anziano della numero sei. Perciò si avviò verso il corridoio con il carrello dei medicinali, ciabattando di malumore.
«Buongiorno Alfonso, abbiamo dormito bene stanotte?» domandò entrando, in tono forzatamente allegro. Un grugnito fu tutto ciò che ottenne in risposta.
Il vecchio era seduto sulla sedia a rotelle con le spalle alla porta, apparentemente intento a fissare il giardino dalla finestra della camera. L’infermiere sospirò, poi si apprestò a preparare il vassoio dei farmaci. L’anziano pareva completamente immobile, tranne che per le dita delle mani che tormentavano incessantemente la pelle intorno alle unghie. Quel vizio se lo sarebbe portato fino alla tomba, pensò Gianni, che più di una volta aveva dovuto medicare le dita artritiche del vecchio, maltrattate fino a sanguinare.
In quel momento un altro ospite della casa di riposo si affacciò alla porta. Era Antonio, un uomo molto avanti con gli anni che si sosteneva con un bastone e che, dopo aver salutato con un cenno l’infermiere, si rivolse ad Alfonso, che gli dava le spalle:
«Ehi vecchio brontolone, invece di startene lì a guardare fuori dalla finestra, che ne dici di fare un giro giù in giardino? Almeno togli la ruggine alle ruote».
«E tu che ne dici di farti i fatti tuoi? Piuttosto che sorbirmi la tua compagnia, preferisco contare tutte le foglie dell’albero di fronte», rispose l’altro senza voltarsi.
«Mi piacerebbe proprio stare a guardare!» replicò Antonio. «Manco lo vedi l’albero, ormai. Sei più cocciuto di un asino», e se ne andò, facendo un gesto con la mano in direzione di Alfonso, come a significare che era tutto tempo perso.
Dopo quella sortita, l’umore del vecchio peggiorò e a farne le spese fu il povero Gianni che, quando uscì dalla sua stanza, si augurò di non dover avere più nulla a che fare col paziente della sei per tutto il resto del turno.
«Che uomo insopportabile», si confidò poi con Beppe, il collega anziano, quando ebbe finito il suo giro. «Ha un pessimo carattere! Sembra detestare proprio tutti. Riesce a trattare male perfino Antonio, che ogni tanto almeno ci prova a farlo uscire dal guscio. E invece lui niente», concluse sottolineando le sue parole con un gesto eloquente.
«E pensare che Antonio un tempo è stato il suo migliore amico», commentò Beppe scrollando il capo.
Gianni lo fissò, esclamando sorpreso: «Amico? Ma di chi, di quel vecchio scontroso? Non ci posso credere!»
«Non solo erano amici», precisò l’altro. «Alfonso e Antonio erano come fratelli».
«Ma com’è possibile?»
I due infermieri intanto erano arrivati davanti al distributore automatico che si trovava in fondo al corridoio e, avendo ancora alcuni minuti di pausa, Beppe si accinse a raccontare al collega quello che aveva saputo sulla vita dei due anziani ospiti.
Quando Beppe ebbe finito di parlare, il giovane infermiere rimase in silenzio per un po’, rimuginando sulla storia incredibile che aveva appena ascoltato.
Il mattino seguente Gianni, a cui in testa ronzava ancora l’eco di quanto l’amico gli aveva rivelato, decise di scambiarsi di turno con il collega che doveva occuparsi della sei, e si diresse col suo carrellino verso la stanza di Alfonso.
«Buongiorno», esordì iniziando a somministrargli la manciata di pillole quotidiane.
Questa volta il vecchio lo ignorò del tutto.
Allora Gianni si mise alle spalle dell’anziano e cominciò a guidare la sedia a rotelle fuori dalla stanza.
«Dove stiamo andando?» domandò Alfonso accigliato.
«Scendiamo al piano terra», rispose laconico il giovane, continuando a spingere la carrozzina lungo il corridoio, per poi scendere con l’ascensore. Una volta arrivati però, con grande sorpresa del vecchio, invece di girare verso la sala comune presero la via della porta, dirigendosi in giardino.
Alfonso attaccò a protestare, ma all’improvviso ammutolì, quando il giovane fermò la carrozzina sotto un albero, si girò indietro e se ne andò, lasciando Alfonso all’ombra di un platano.
Sulla panchina di fianco ad Alfonso era seduto Antonio.
Questi, quando se ne accorse, si dimostrò non meno sorpreso dell’altro e per un attimo i due vecchi restarono a guardarsi, senza sapere cosa dire.
Poi entrambi distolsero lo sguardo e si misero a fissare le aiuole del giardino davanti a loro, per un tempo che parve infinito.
Alfonso fu il primo a parlare.