Staffetta 11 - Episodio 3
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Staffetta 11 - Episodio 3
Episodio 1 - Mark
Sotto il manto di neve, il bosco appariva come un luogo incantato. Un sogno. Uno di quei sogni felici dai quali non ci si vorrebbe mai svegliare.
L’immenso sipario candido, interrotto solo a tratti dai fugaci lampi verdi di ciuffi d’erba e foglie, sembrava lo scenario ideale per un tuffo nei suoi ricordi di ragazzina, quando, lei e le sue amiche, si rotolavano nel bianco giù per il leggero pendio lasciando buffe scie dietro di loro; quando, spossate di allegria, si rialzavano con le sembianze di pupazzi di neve e spezzavano il silenzio con le loro risate la cui eco vibrava sui rami, liberandoli dal peso dei fiocchi che li ricoprivano.
Quando, in quei troppo brevi anni di pace, la vita le era sembrata un bel posto in cui stare.
Il sogno però ormai era finito. E il tempo per i ricordi era diventato un lusso.
Il risveglio, come quasi sempre accade, era stato brusco, spietato: un risveglio che lascia il respiro corto e il cuore in tumulto.
Tutto era reale intorno a lei. Anche troppo.
Erano reali il bianco accecante che la circondava e il freddo che le gelava le ossa.
Erano reali i grandi batuffoli che ancora cadevano giù da un cielo di latta e le bruciavano guance e labbra.
Era reale la fatica, non certo allegra stavolta, dell’arrancare nella neve, immersa fino all’orlo degli stivali.
Era reale la paura che le radeva i pensieri e la faceva tremare più del gelo stesso.
Era reale, soprattutto, la massiccia colonna di fumo nero che si alzava alle sue spalle e le aggrediva occhi e naso con le sue volute.
Giunta al limitare del bosco, Anneka si bloccò e, con una leggera torsione del busto e del collo, si volse indietro un’ultima volta.
Il filare dei cipressi che segnava il confine del villaggio era ridotto a una schiera di scheletri carbonizzati dai quali si levavano pennacchi di fumo nero, ben visibili nonostante il vorticare frenetico dei cristalli di neve che parevano voler confinare in un oblio immacolato ogni traccia dello scempio messo in atto nei confronti della loro piccola comunità.
Ma dimenticare non era un’opzione possibile. Tutto era scritto nella sua mente a lettere di fuoco.
Un brontolio sordo e improvviso aveva attraversato la notte, facendo alzare gli occhi increduli ai pochi nottambuli ancora in giro per osterie: c’erano troppe stelle lassù per essere un presagio di temporale.
E infatti era stato un presagio di distruzione e morte.
In pochi istanti i draghi avevano raggiunto il villaggio e vomitato fuoco sulle loro teste, spargendo ondate di terrore fra chi ancora era immerso nel torpore del sonno.
Le fiamme parevano levarsi dal suolo stesso e ghermire danzando donne e uomini che si erano riversati per le strade in un inutile tentativo di salvezza. E chi non veniva catturato dal fuoco finiva per essere travolto dalle macerie degli edifici o inabissarsi nelle voragini aperte dagli ordigni che cadevano giù dal cielo.
In pochi minuti tutto era finito.
Così come erano arrivati, i draghi erano spariti nel buio, verso occidente, mentre, a est, un debole chiarore annunciava che, nonostante tutto, come sempre, un nuovo giorno sarebbe sorto.
Anneka si era ritrovata abbracciata ai suoi vecchi, facce e capelli grigi di polvere e guance rigate di lacrime. Ancora non riusciva a capacitarsi di come potessero essere ancora vivi.
Un’esplosione aveva tagliato via la parete esterna della loro casa, come se la lama di un’immensa scimitarra si fosse abbattuta con precisione chirurgica su un muro di cartapesta anziché di mattoni e cemento.
Da quell’affaccio innaturale avevano ascoltato, attoniti, le grida e i pianti dei superstiti salire fino a loro; avevano contemplato, impotenti, il vagare, il correre senza meta e senza speranza, di strani esseri neri di fuliggine vestiti solo di un pigiama o di una camicia da notte, mentre i fiocchi di neve che avevano ricominciato a cadere si scontravano con i brandelli di cenere sollevati dal furore delle fiamme. Neve e cenere: avversari inconsapevoli in una partita senza scopo, nella quale né il bianco né il nero avrebbero mai potuto dichiarare scacco matto.
Un brivido lungo la schiena la riscosse dal ricordo della notte appena trascorsa e la riportò di fronte al bosco. La breve sosta era stata sufficiente per un po’ di riposo, ma anche a farla quasi sparire sotto un cumulo di neve. Se la scrollò di dosso e azzardò un paio di passi sul sentiero scivoloso e ormai quasi cancellato che si snodava tra gli alberi e arrivava fino al confine, al di là del quale suo marito e i suoi figli erano di certo in preda all’ansia e alla disperazione per la sua sorte.
Episodio 2 – Albemasia
Arrancava nella neve con la forza della disperazione. Le gambe le tremavano per lo sforzo e a ogni tratto faticosamente conquistato sentiva la suola degli stivali slittare sul terreno scivoloso. Sfinita, si fermò per prendere fiato, quando scorse dei rami spezzati ai margini del sentiero. Si allungò per afferrarli e provò a saggiarne la resistenza: sembravano solidi.
Ora le mani intirizzite stringevano quei bastoni di fortuna e per un breve tratto Anneka ebbe l’impressione di guadagnare terreno più velocemente, ma la sensazione di sollievo non durò molto, perché poco dopo il sentiero prese a inerpicarsi sulla collina.
Nonostante il freddo, stava cominciando a sudare per lo sforzo, quando all’improvviso gli stivali affondarono senza trovare presa, come se la terra le stesse franando sotto i piedi. Per un tempo che le parve infinito, sentì che stava precipitando. Un urlo di terrore le uscì incontrollato a lacerare l’aria gelida e le si strozzò in gola, non appena la sua discesa si arrestò con un tonfo: la neve accumulatasi nelle ultime ore aveva reso difficile rimanere sul sentiero e l’aveva indotta a mettere un piede in fallo, facendola scivolare, così, lungo il pendio.
Tutto intorno il silenzio era interrotto solo dal ritmo del suo respiro che rilasciava nuvolette di vapore, unica fonte di calore con cui ora cercava di riscaldarsi le punte delle dita congelate. Quando il cuore smise di martellarle in testa, Anneka si scrollò di dosso la neve che le si era attaccata ai vestiti, poi si guardò intorno per orientarsi, ma ben presto si accorse di essere scivolata per parecchi metri lungo il fianco della collina: ora il sentiero si trovava in alto, sopra di lei.
Priva dell’aiuto dei bastoni, la china scoscesa le parve un ostacolo insormontabile e improvvisamente sentì la stanchezza e lo sconforto impossessarsi del suo corpo.
Così, incapace di lottare, si rannicchiò nella piccola conca di neve compatta che si era formata sotto il suo corpo e in breve un torpore insidioso si impossessò di lei e della sua volontà.
Infilò le mani nelle tasche della giacca, nel tentativo di scaldarle, e si ritrovò a stringere tra le dita un piccolo oggetto morbido e peloso. Lo estrasse e si accorse che si trattava di un pupazzetto a forma di coniglio che apparteneva a Sophie, la sua bambina. Istintivamente lo portò al viso e ne aspirò avidamente il profumo che sapeva di borotalco, di biscotti, di casa.
«Mamma, vorrò sempre bene a Milo, come tu vuoi bene a me».
Le pareva di sentire ancora la voce di sua figlia quando glielo aveva regalato.
«E lo proteggerò, come tu e papà fate con me e Viktor. Così non gli succederà mai niente». Quando si erano separati, Sophie doveva averlo lasciato cadere nella tasca della sua giacca di nascosto.
Con uno sforzo Anneka ricacciò indietro le lacrime che le pungevano gli occhi e cercò di scuotersi da quella deriva pericolosa; era stata costretta a lasciare i suoi vecchi al villaggio, ma ora, se voleva tornare ad abbracciare Thomas e i bambini, doveva uscire di lì e tornare appena possibile sul sentiero. Prima che facesse buio, bisognava che si trovasse già nei pressi del confine.
Raccolse le forze che le erano rimaste e, con l’aiuto delle braccia, si mise a risalire il pendio, cercando di aggrapparsi a tutto ciò che affiorava dal manto nevoso.
D’un tratto, però, si arrestò di colpo; le era parso di udire delle voci sopra di lei. Il primo impulso fu quello di chiedere aiuto e invece d’istinto si appiattì contro la china nevosa, nella speranza di non essere individuata.
Sentiva gli scarponi affondare pesanti nella neve; Anneka sospettava che si trattasse di soldati.
«Dobbiamo pattugliare il confine, prima che a qualche civile venga in mente di attraversarlo».
Queste parole confermarono i suoi timori. Anneka riconobbe immediatamente l’idioma, una lingua che lei conosceva bene e che ora associava al nemico.
«Manderanno di sicuro un’unità coi cani, non sarà difficile stanare quei bastardi che ci proveranno», ribatté un'altra voce.
La risata di un soldato la fece tremare di rabbia, poi con un sussulto si rese conto che il sentiero doveva essere ancora segnato dalle sue impronte e sicuramente il punto in cui era scivolata era ben visibile.
I soldati erano quasi sopra di lei.
Trattenne il respiro; tentare di muoversi ora equivaleva a un suicidio. O peggio.
«Avevi ragione!» Esclamò uno di loro. «Qualcuno deve essere già passato da qui… Guarda, questa neve è stata pestata di recente.»
Anneka si sentì perduta. Un’ondata di panico la travolse e per pochi, terribili istanti sentì di non avere scampo, ma il coniglietto di pezza che stringeva ancora in mano le rammentò che aveva un buon motivo per restare viva.
Episodio 3 – Susanna
Sotto il manto di neve, il bosco appariva come un luogo incantato. Un sogno. Uno di quei sogni felici dai quali non ci si vorrebbe mai svegliare.
L’immenso sipario candido, interrotto solo a tratti dai fugaci lampi verdi di ciuffi d’erba e foglie, sembrava lo scenario ideale per un tuffo nei suoi ricordi di ragazzina, quando, lei e le sue amiche, si rotolavano nel bianco giù per il leggero pendio lasciando buffe scie dietro di loro; quando, spossate di allegria, si rialzavano con le sembianze di pupazzi di neve e spezzavano il silenzio con le loro risate la cui eco vibrava sui rami, liberandoli dal peso dei fiocchi che li ricoprivano.
Quando, in quei troppo brevi anni di pace, la vita le era sembrata un bel posto in cui stare.
Il sogno però ormai era finito. E il tempo per i ricordi era diventato un lusso.
Il risveglio, come quasi sempre accade, era stato brusco, spietato: un risveglio che lascia il respiro corto e il cuore in tumulto.
Tutto era reale intorno a lei. Anche troppo.
Erano reali il bianco accecante che la circondava e il freddo che le gelava le ossa.
Erano reali i grandi batuffoli che ancora cadevano giù da un cielo di latta e le bruciavano guance e labbra.
Era reale la fatica, non certo allegra stavolta, dell’arrancare nella neve, immersa fino all’orlo degli stivali.
Era reale la paura che le radeva i pensieri e la faceva tremare più del gelo stesso.
Era reale, soprattutto, la massiccia colonna di fumo nero che si alzava alle sue spalle e le aggrediva occhi e naso con le sue volute.
Giunta al limitare del bosco, Anneka si bloccò e, con una leggera torsione del busto e del collo, si volse indietro un’ultima volta.
Il filare dei cipressi che segnava il confine del villaggio era ridotto a una schiera di scheletri carbonizzati dai quali si levavano pennacchi di fumo nero, ben visibili nonostante il vorticare frenetico dei cristalli di neve che parevano voler confinare in un oblio immacolato ogni traccia dello scempio messo in atto nei confronti della loro piccola comunità.
Ma dimenticare non era un’opzione possibile. Tutto era scritto nella sua mente a lettere di fuoco.
Un brontolio sordo e improvviso aveva attraversato la notte, facendo alzare gli occhi increduli ai pochi nottambuli ancora in giro per osterie: c’erano troppe stelle lassù per essere un presagio di temporale.
E infatti era stato un presagio di distruzione e morte.
In pochi istanti i draghi avevano raggiunto il villaggio e vomitato fuoco sulle loro teste, spargendo ondate di terrore fra chi ancora era immerso nel torpore del sonno.
Le fiamme parevano levarsi dal suolo stesso e ghermire danzando donne e uomini che si erano riversati per le strade in un inutile tentativo di salvezza. E chi non veniva catturato dal fuoco finiva per essere travolto dalle macerie degli edifici o inabissarsi nelle voragini aperte dagli ordigni che cadevano giù dal cielo.
In pochi minuti tutto era finito.
Così come erano arrivati, i draghi erano spariti nel buio, verso occidente, mentre, a est, un debole chiarore annunciava che, nonostante tutto, come sempre, un nuovo giorno sarebbe sorto.
Anneka si era ritrovata abbracciata ai suoi vecchi, facce e capelli grigi di polvere e guance rigate di lacrime. Ancora non riusciva a capacitarsi di come potessero essere ancora vivi.
Un’esplosione aveva tagliato via la parete esterna della loro casa, come se la lama di un’immensa scimitarra si fosse abbattuta con precisione chirurgica su un muro di cartapesta anziché di mattoni e cemento.
Da quell’affaccio innaturale avevano ascoltato, attoniti, le grida e i pianti dei superstiti salire fino a loro; avevano contemplato, impotenti, il vagare, il correre senza meta e senza speranza, di strani esseri neri di fuliggine vestiti solo di un pigiama o di una camicia da notte, mentre i fiocchi di neve che avevano ricominciato a cadere si scontravano con i brandelli di cenere sollevati dal furore delle fiamme. Neve e cenere: avversari inconsapevoli in una partita senza scopo, nella quale né il bianco né il nero avrebbero mai potuto dichiarare scacco matto.
Un brivido lungo la schiena la riscosse dal ricordo della notte appena trascorsa e la riportò di fronte al bosco. La breve sosta era stata sufficiente per un po’ di riposo, ma anche a farla quasi sparire sotto un cumulo di neve. Se la scrollò di dosso e azzardò un paio di passi sul sentiero scivoloso e ormai quasi cancellato che si snodava tra gli alberi e arrivava fino al confine, al di là del quale suo marito e i suoi figli erano di certo in preda all’ansia e alla disperazione per la sua sorte.
Episodio 2 – Albemasia
Arrancava nella neve con la forza della disperazione. Le gambe le tremavano per lo sforzo e a ogni tratto faticosamente conquistato sentiva la suola degli stivali slittare sul terreno scivoloso. Sfinita, si fermò per prendere fiato, quando scorse dei rami spezzati ai margini del sentiero. Si allungò per afferrarli e provò a saggiarne la resistenza: sembravano solidi.
Ora le mani intirizzite stringevano quei bastoni di fortuna e per un breve tratto Anneka ebbe l’impressione di guadagnare terreno più velocemente, ma la sensazione di sollievo non durò molto, perché poco dopo il sentiero prese a inerpicarsi sulla collina.
Nonostante il freddo, stava cominciando a sudare per lo sforzo, quando all’improvviso gli stivali affondarono senza trovare presa, come se la terra le stesse franando sotto i piedi. Per un tempo che le parve infinito, sentì che stava precipitando. Un urlo di terrore le uscì incontrollato a lacerare l’aria gelida e le si strozzò in gola, non appena la sua discesa si arrestò con un tonfo: la neve accumulatasi nelle ultime ore aveva reso difficile rimanere sul sentiero e l’aveva indotta a mettere un piede in fallo, facendola scivolare, così, lungo il pendio.
Tutto intorno il silenzio era interrotto solo dal ritmo del suo respiro che rilasciava nuvolette di vapore, unica fonte di calore con cui ora cercava di riscaldarsi le punte delle dita congelate. Quando il cuore smise di martellarle in testa, Anneka si scrollò di dosso la neve che le si era attaccata ai vestiti, poi si guardò intorno per orientarsi, ma ben presto si accorse di essere scivolata per parecchi metri lungo il fianco della collina: ora il sentiero si trovava in alto, sopra di lei.
Priva dell’aiuto dei bastoni, la china scoscesa le parve un ostacolo insormontabile e improvvisamente sentì la stanchezza e lo sconforto impossessarsi del suo corpo.
Così, incapace di lottare, si rannicchiò nella piccola conca di neve compatta che si era formata sotto il suo corpo e in breve un torpore insidioso si impossessò di lei e della sua volontà.
Infilò le mani nelle tasche della giacca, nel tentativo di scaldarle, e si ritrovò a stringere tra le dita un piccolo oggetto morbido e peloso. Lo estrasse e si accorse che si trattava di un pupazzetto a forma di coniglio che apparteneva a Sophie, la sua bambina. Istintivamente lo portò al viso e ne aspirò avidamente il profumo che sapeva di borotalco, di biscotti, di casa.
«Mamma, vorrò sempre bene a Milo, come tu vuoi bene a me».
Le pareva di sentire ancora la voce di sua figlia quando glielo aveva regalato.
«E lo proteggerò, come tu e papà fate con me e Viktor. Così non gli succederà mai niente». Quando si erano separati, Sophie doveva averlo lasciato cadere nella tasca della sua giacca di nascosto.
Con uno sforzo Anneka ricacciò indietro le lacrime che le pungevano gli occhi e cercò di scuotersi da quella deriva pericolosa; era stata costretta a lasciare i suoi vecchi al villaggio, ma ora, se voleva tornare ad abbracciare Thomas e i bambini, doveva uscire di lì e tornare appena possibile sul sentiero. Prima che facesse buio, bisognava che si trovasse già nei pressi del confine.
Raccolse le forze che le erano rimaste e, con l’aiuto delle braccia, si mise a risalire il pendio, cercando di aggrapparsi a tutto ciò che affiorava dal manto nevoso.
D’un tratto, però, si arrestò di colpo; le era parso di udire delle voci sopra di lei. Il primo impulso fu quello di chiedere aiuto e invece d’istinto si appiattì contro la china nevosa, nella speranza di non essere individuata.
Sentiva gli scarponi affondare pesanti nella neve; Anneka sospettava che si trattasse di soldati.
«Dobbiamo pattugliare il confine, prima che a qualche civile venga in mente di attraversarlo».
Queste parole confermarono i suoi timori. Anneka riconobbe immediatamente l’idioma, una lingua che lei conosceva bene e che ora associava al nemico.
«Manderanno di sicuro un’unità coi cani, non sarà difficile stanare quei bastardi che ci proveranno», ribatté un'altra voce.
La risata di un soldato la fece tremare di rabbia, poi con un sussulto si rese conto che il sentiero doveva essere ancora segnato dalle sue impronte e sicuramente il punto in cui era scivolata era ben visibile.
I soldati erano quasi sopra di lei.
Trattenne il respiro; tentare di muoversi ora equivaleva a un suicidio. O peggio.
«Avevi ragione!» Esclamò uno di loro. «Qualcuno deve essere già passato da qui… Guarda, questa neve è stata pestata di recente.»
Anneka si sentì perduta. Un’ondata di panico la travolse e per pochi, terribili istanti sentì di non avere scampo, ma il coniglietto di pezza che stringeva ancora in mano le rammentò che aveva un buon motivo per restare viva.
Episodio 3 – Susanna
Li sentì scendere per la china scivolosa, incuranti del rumore prodotto dall’equipaggiamento.
Anneka pensò che erano troppo veloci e infatti li sentì imprecare nel tentativo di fermare la discesa.
Nel momento di cui le passarono accanto, le loro torce per qualche secondo illuminarono il bordo dell’orrido in cui precipitarono, urlando. L’ultima cosa che sentì fu il terrificante rumore dei corpi che si schiantavano sulle rocce, mentre lei stringeva il pupazzo con tutte le sue forze: era stata fortunata e ora poteva riposare un poco, prima di risalire verso la strada. Magari anche dormire, solo per qualche minuto…
Quando riaprì gli occhi, le ci volle qualche secondo per ricordare dov’era.
Se non fosse stato per alcune apparecchiature mediche, la stanza poteva essere quella di un albergo di lusso: un letto con coperte dai caldi colori autunnali, quadri astratti di buon gusto alle pareti, tinteggiate con colori riposanti; una comoda poltrona accanto a una grande vetrata che dava su un panorama stupendo: la neve cadeva fitta su quello che doveva essere un prato, oltre il quale iniziava un fitto bosco di conifere, che pareva sorreggere le cime di alte montagne dai pendii rocciosi.
Anneka cercò di alzarsi dalla poltrona ma una voce gentile glielo impedì:
«Non ancora, aspetta qualche minuto.»
«Com’è andata? Ho ricordato altro… il confine, sono riuscita ad andare oltre?»
«No, sei rimasta dov’eri scivolata, ma vedrai che, appena ti sarai ripresa, le sedute mnemo ipnotiche saranno meno faticose e andrai oltre. Devi darti tempo, cara.»
«Tempo? Ma non ne ho. Devo trovare Thomas e i bambini, sono di sicuro dall’altra parte. Li hanno portati oltre confine.»
La dottoressa Jorty fu irremovibile: Anneka era ancora troppo debole, aveva vagato per le colline per almeno due settimane, nutrendosi del poco cibo trovato in uno zaino perso da uno dei soldati e di bacche prima di essere trovata, casualmente, sul ciglio della strada che portava alla clinica Otter.
Il medico affidò Anneka a un’infermiera e raggiunse i colleghi nel suo studio: li trovò che studiavano i risultati della seduta elaborati dal computer, ancora una volta sconcertati:
«Non si capisce di che confine parli: in quella zona non ci sono confini politici o amministrativi. E il villaggio di cui parla si trova a trenta chilometri da dove l’abbiamo trovata. Non avrebbe potuto farcela, non con tutta la neve che è caduta.»
Hared, il tecnico che aveva scaricato i dati del biosensore che Anneka portava, come tutti, installato sotto pelle, era sempre più perplesso. C’era un vuoto di alcuni giorni, inspiegabile tecnicamente.
«E se fosse un confine mentale, una sorta di barriera che la tiene lontana da quello che è accaduto dopo l’incidente al villaggio, perché troppo doloroso?» chiese ai colleghi.
«E i draghi? I miei genitori mi raccontavano che ai tempi della Guerra chiamavano così i droni militari, che i nemici decoravano come quelle figure mitologiche.» disse Jorty.
«Tutti distrutti. Però quel vecchio deposito di munizioni, proprio sotto il villaggio, devono averlo scordato, magari qualcuno ci ha giocato e boom… Aspettate un attimo.»
Il ragazzo si mise al computer e richiamò i dati dei movimenti di Anneka, aggregandoli poi a una mappa della zona: «Non ci sono confini come ho detto prima, ma confini legali sì.»
Erano così chiamati i confini di grandi proprietà private: ettari di boschi, prati, che spesso comprendevano quelli che in tempi passati erano piccoli villaggi rurali.
«Anneka ha praticamente aggirato questa proprietà… Ma è enorme! E non è mai andata oltre i confini legali, quasi che ci fosse qualcosa, o qualcuno, che la tenesse a distanza.»
Ora tutti erano curiosi: alla clinica Otter si occupavano di pazienti che avevano subito traumi, sia fisici che psicologici, e i vari team non lasciavano mai niente di intentato per aiutarli a guarire.
«Sapete cos’è strano? Che non ci sono immagini satellitari di questa proprietà, è tutto oscurato. E questa privacy non è alla portata di tutti.»
Si guardarono in silenzio: la preoccupazione era molto chiara sui loro visi: “Davvero Anneka era solo una studiosa di economia storica, come risultava dai suoi dati? E chi era Thomas, il marito, di cui non vi era traccia nei file della donna?”
Fu Hared a rompere il silenzio, indicando il monitor che mostrava la stanza di Anneka: la donna era uscita sulla terrazza e, raggiunto il prato, si era sdraiata sulla neve, rannicchiandosi su sé stessa. Al braccio non portava la fascia di controllo medico e in mano teneva il coniglietto, che avvicinò al viso: la telecamera catturò chiaramente l’espressione di Anneka. Li stava sfidando.
«No, il pupazzo no!» esclamò Hared.
Il coniglietto era l’oggetto che Anneka utilizzava durante le sedute di mnemo ipnosi e che la portava nello stato in cui la mente era libera di vagare nei ricordi. Ma senza un controllo diretto, senza quella fascia che consentiva di monitorarla e di somministrarle farmaci in caso di necessità, Anneka era in pericolo.
Ultima modifica di Susanna il Dom Ott 06, 2024 9:38 pm - modificato 2 volte.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: Staffetta 11 - Episodio 3
Bello e ineressante questo ribaltamento in ambito thriller-fantascienza. Sconvolge qualunque aspettativa e lascia ampie possibilità di scelta al prossimo staffettista. Complimenti.
Mi è piaciuto anche l'aggancio ai draghi: "droni militari" è proprio quello a cui avevo pensato. E lo spunto delle decorazioni spinge la similitudine un passo più in là.
Ti segnalo un paio di imperfezioni.
- "I miei genitori mi raccontava" => raccontavano;
- "mneno ipnotiche", "mneno ipnosi": penso volessi dire "mnemo", cioè riferito alla memoria.
Per il resto, davvero un bel lavoro.
M.
Mi è piaciuto anche l'aggancio ai draghi: "droni militari" è proprio quello a cui avevo pensato. E lo spunto delle decorazioni spinge la similitudine un passo più in là.
Ti segnalo un paio di imperfezioni.
- "I miei genitori mi raccontava" => raccontavano;
- "mneno ipnotiche", "mneno ipnosi": penso volessi dire "mnemo", cioè riferito alla memoria.
Per il resto, davvero un bel lavoro.
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Re: Staffetta 11 - Episodio 3
grazie @M. Mark o'Knee ! Sistemati gli errori.
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Re: Staffetta 11 - Episodio 3
Brava, hai davvero trasformato la situazione, portando avanti la storia su un binario del tutto nuovo, mantenendo però stile e atmosfera.
Mi piace.
Sono curiosa di sapere come procederà la vicenda di Anneka.
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Sono curiosa di sapere come procederà la vicenda di Anneka.
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Re: Staffetta 11 - Episodio 3
Mannaggia, ragazzi.
Ogni episodio ha aggiunto una serie di tasselli sempre più complicati ed intriganti, spero di non rovinare tutto. Mi prendo un paio di giorni ancora.oer entrare nella storia.
Ogni episodio ha aggiunto una serie di tasselli sempre più complicati ed intriganti, spero di non rovinare tutto. Mi prendo un paio di giorni ancora.oer entrare nella storia.
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