C'era una volta

Cento ricolmo di nostalgia e rimpianti, per non poter più aprire quella porta per tornare di nuovo nel mondo della fantasia. Vero. Chi non ha vissuto questa esperienza. Credo che tutti si possano rivedere nelle tue parole e per questo funzionano, arrivano dirette. Forse adesso abbiamo nuovi metodi per esplorare la fantasia. Sì, ma prima era diverso.

Un cento amaro, dove nelle ultime righe il protagonista ammette di non essere più capace di connettersi con la sua parte bambina, quella ancora capace di meravigliarsi, di fantasticare e trovare la felicità nel mondo che ci circonda.
Percepire la capacità di giocare come un ostacolo all'immagine di noi adulti che portiamo per il mondo, rende bene l'idea di come al giorno d'oggi  sia preponderante la necessità di mostrare agli altri ciò che vogliono vedere, nascondere il vero io e imbrigliare l'indole creativa e forse un pò folle che tutti abbiamo.
Ben resa l'immagine dei bambini del passato che giocano sfruttando al massimo la propria fantasia, diversamente da oggi, dove i piccoli giocano con la fantasia proposta già confezionata da altri: una direzione pericolosa verso la quale i nostri giovani si dirigono con candida spensieratezza, inconsapevoli di ciò che troveranno alla fine del percorso: il guscio vuoto delle loro esistenze.
Un cento che fa riflettere sulla qualità di vita che hanno i nostri ragazzi: una felicità pret a porter di facile consumo che lascia davvero poco dietro di sè.
Stona un pò quel salvano al presente.

Un 100 che tenta un parallelismo che però non riesce del tutto, lasciando più che altro il lettore in balia delle proprie malinconie.
Mi piace e allo stesso tempo non mi soddisfa pienamente. Credo ci volesse qualche chiave di lettura da lasciar carpire al lettore per rendere il racconto interessante e, in qualche modo, personale. Così com'è, non mi pare funzionare del tutto.