Piove ai quattro venti
Nero nello scuro
e ali di fulmini
cuciono i nembi.
D'idiozia colma la goccia
e di mastri inesistenti paiono
le botteghe delle tempeste di forgia in matita.
Di folle mania
d'un cielo di vuoti palchi…
Piove dice il tempo
Ladro di tuoni pure il pittore.
Piegati lampioni cercano riparo negli asfalti.
Santoni danzano or di pioggia or invocano l'aridità.
Miagola la luce alla luna nera.
La cartomante predice nebulo.
Pazzi i tombini ingurgitano poesie figlie delle ore.
Ballano i gocciolatoi dei palazzi.
Qualcuno suonava i violini di rame
ora sgorbia sculture di versi.
Il teleimbonitore si dà fiducia e fa la barba a un topo che ha appena divorziato dalla topa.
Il contatore elettrico tenta il suicidio davanti all'ennesimo lampo di genio.
E intanto la maestrina incurante prepara lo shampoo all'henné per l’ennesima lozione.
Piove ai quattro venti...
Quelli rimasti in trattoria dal cinese moribondo.
Quelli avventati che pensano d’essere gli ultimi avventori della sera a prezzo di sconto.
Pezzi di cacio remano nelle pozze e spazzature non riciclate ballonzolano nelle buche.
Il telefono squilla alla bambola assassina
e gli occhi del terrore spiano i bui sentieri delle paure.
Una lama nella grandine riflette e uccide, senza conoscere.
Un auto sfreccia nei laghi di petrolio,
un merlo dorme a casa sua dalla moglie.
Il sibilo delle tastiere dà il voto agli scemi che compongono sotto la buriana.
Un ticchettio, misto d'orologi e lancette,
sfida l'ultima fronda al tiro delle bombe bagnate
e bagnate foglie piangono la loro ultima cena insieme ai bruchi sfrattati.
Ridono i ponti,
ridono le barriere di cemento
mentre si stringono alla gola dell’ultimo barbone vivo
prima che il giorno ne sveli il cadavere.
Dormono le falene.
Lontano passano balene in cerca di baleniere da salvare.
Un mare di caramelle per il subacqueo poeta depresso sul cesso.
Cesso le visioni nello sciacquone che non va.
Indosso un arbre magic al collo,
profumo di Pino, ma lui non è contento,
allora mi spruzzo di lavanda,
ma nemmeno lei è contenta.
Nel torbido mondo professo ulcere
e intono canti ai led dell’abat jour.
«Tu che sei notte come me.
Tu che spii gli spioni che spiano.
Permetti al cielo bizzarro di fagocitare questo vecchio teatro della vita.
Piove di sabbia e sangue
e io me ne sto alla finestra
Nel gemere delle ruote sull'asfalto
me ne sto a guardare i buffoni in rete
che costruiscono capanne con la merda di vacca.
Continua notte a vomitare oscurità.
Tanto nemmeno gli alberi possono vederti.
E nel silenzioso pedalare d'un ingegnere in bici con l'ombrello chiuso
mi viene da esclamare ai quattro venti...
"Evviva il coglione che fa il surf sulle strisce pedonali".
Lo dico e lo faccio.
Ma la notte piove...
Piove
Piove
Piove
Da lontano l'ingegnere mi sorride, apre l'ombrello, scende dalla bici
e, cantando singing in the rain, mi saluta e saltellando se ne va con il fantasma del vecchio Frac,
mentre l'ultimo stronzo della notte
si suicida sul mio balcone.