Quando rinvenne, l’esule avventuriero si ritrovò disteso su un mucchio di paglia ed erba così secchi da crepitare ad ogni suo movimento.
«Dove sono?» si domandò mentre era ancora confuso e rintontito dallo svenimento.
«Nella mia piccola e umile dimora. Non sarà una reggia, ma è pur sempre meglio che vivere nei boschi come dei briganti qualunque» gli rispose una voce a lui sconosciuta.
Il giovane inglese tentò di scorgere la fonte di quelle parole, ma non riusciva a vedere nessuno. In quella casupola sperduta nella campagna scozzese pareva esserci solo lui, il pagliericcio su cui ancora giaceva, un tavolo rettangolare in legno circondato da quattro seggiole, un piccolo focolare incassato in una parete di pietra, una grossa e malmessa cassapanca divorata dai tarli e una pila di stracci logori ammucchiati lì vicino.
«Che io sia ancora addormentato e che stia sognando? Come può essere che senta una voce d’uomo senza che vi sia traccia della sua presenza? Che stregoneria è mai questa?!»
«Ah caro mio, magari fossi davvero uno stregone! A quest’ora vivrei di sicuro in un lussuoso maniero arredato di tutto punto assieme a una corte festosa e non come un solitario eremita, triste e abbandonato dagli uomini!» gli rispose nuovamente la voce, questa volta accompagnata da un rumore, simile a quello emesso dalle giunture delle ossa che si muovono dopo essere rimaste ferme in una posizione per molto tempo.
Il giovane quindi si voltò verso l’origine di quel suono e poco mancò che morisse dallo spavento: il cumulo di stracci si stava pian piano alzando, assumendo via via l’aspetto di un vecchio ingobbito e canuto vestito con un saio rattoppato e avvolto in un piccolo mantello di lana ingrigita dalla polvere e dall’usura.
«Chi siete? Cosa volete da me?» disse il viandante, visibilmente spaurito ed esterrefatto.
«Oh che modi bruschi che hai, giovanotto! È così che si ringrazia chi, a dispetto dell’età avanzata e dei suoi innumerevoli acciacchi, vi ha soccorso nel momento del bisogno e traslato di peso dall’erba umida su cui eravate crollato esanime in un luogo più asciutto e confortevole? Eh che bui tempi questi, in cui i giovani hanno perso i valori dell’educazione e della cortesia!»
L’avventuriero si rese conto che la figura, ora seduta sullo sgabello più vicino a lui, non era chissà quale malvagia creatura delle leggende, ma solo un povero anziano cencioso e di buon cuore.
«Perdonatemi per la mia irriguardosa mancanza di rispetto,» si affrettò a dire, «però sinceramente non ho potuto fare a meno di spaventarmi vedendovi emergere da quello che avevo pensato essere un semplice ammasso di strac…volevo dire vesti.» «Ahahaha!» rise di gusto il vecchio. «Hai proprio ragione. Sapevo bene che, mascherandomi in tal maniera, avrei potuto spaventarti a morte, tuttavia non mi pareva rispettoso sedermi su uno sgabello e squadrare dall’alto in basso quello che, sebbene non invitato né tanto meno previsto, è il mio primo ospite da non so nemmeno quanto tempo. Oh a proposito, appena adesso mi sono lamentato di voi giovani ma il vero scortese qui sono io. Prego, accomodati pure su questa seggiola.»
La sincera e genuina gentilezza dell’anziano scozzese colpì profondamente il giovane esule che ne accolse immediatamente l’invito. Da anni, infatti, egli non incontrava una persona così a modo, avendo avuto quasi sempre a che fare con brutti ceffi e rozzi frequentatori delle osterie più sudicie e volgari.
«Dimmi, giovane uomo, come ti chiami?»
«Il mio nome è Galahad, Galahad figlio di Lance di Bridge-upon-Avon.»
«Io invece sono Mordecai McVangelor.»
«Vedo che voi possedete un cognome. Nonostante le apparenze, dovete essere una persona importante.»
«Mi dispiace deluderti, ma non è esattamente così. Il cognome che porto è l’unica eredità del nobile passato dei miei avi, loro sì che erano importanti! Sai, molto tempo fa i miei antenati regnavano incontrastati su queste terre, garantendo a chiunque vi abitasse ricchezza e serenità. Erano tempi felici per la mia famiglia e nessuno pensava che quell’età d’oro sarebbe cessata di lì a poco, tanto velocemente e inaspettatamente quanto una tempesta di grandine in un soleggiato giorno di estate. Eppure…eppure un giorno un popolo del nord ci invase senza alcuna apparante ragione. Semplicemente, calarono dalle Highlands depredando e devastando tutto quello che si poneva loro dinnanzi con la stessa inarrestabile potenza di una valanga del Ben Nevis. Mio padre era in prima fila per combattere contro quegli invasori e spesso mi raccontava che nei loro occhi, quando i loro sguardi si incrociavano sui campi di battaglia, non c’era né odio né crudeltà, ma disperazione, pura e vacua disperazione. Era come se qualcosa avesse costretto queste persone a fuggire dai loro territori di origine, qualcosa di così oscuro e terribile da far preferire loro la morte per il viaggio o per i combattimenti piuttosto che restare nei luoghi in cui avevano vissuto in pace e prosperità per secoli.»
Mentre il vecchio parlava con trasporto del suo passato e della storia dei suoi predecessori, il giovane Galahad ascoltava attentamente quelle tristi vicende che, nonostante fossero così distanti da lui nel tempo e nello spazio, lo riguardavano da vicino per via della sua infelice condizione di esule forzato la cui vita tranquilla, sebbene non esattamente retta e onesta, era stata squassata come un terremoto da un giorno all’altro, e proprio come dopo una tremenda esondazione si era ritrovato a non possedere più nulla, a dover ricominciare da zero in un luogo straniero.
«In ogni caso,» proseguì il vecchio, lievemente commosso da quei ricordi, «se non è un problema per te, giovane Galahad, preferirei non dilungarmi oltre su questo argomento perché, come immagino tu possa comprendere: malgrado sia passata molta acqua sotto i ponti, il dolore e l’amarezza sono ancora vivi e non c’è giorno in cui la mia mente non pensi a cosa sarebbe potuto succedere se quell’orda impaurita non si fosse mai abbattuta su di noi. Comunque, Galahad, ora che ti ho raccontato il mio triste passato e che ti ho accolto nel mio squallido presente, penso che sarebbe molto cortese da parte tua se mi narrassi delle tue vicende e vicissitudini.» Galahad trasalì all’udire la richiesta del vecchio nobile decaduto: sapeva fin troppo bene che non avrebbe potuto rivelare il suo passato da mascalzone, altrimenti era certo che il vecchio non avrebbe più voluto ospitarlo. Decise così di raccontare una storia per la maggior parte inventata, spiegando che era nato in una famiglia di boscaioli, che era dovuto scappare per l’arrivo dei Normanni che avevano sterminato la sua famiglia (cosa peraltro falsa, ma era necessario per lui creare un legame emotivo con Mordecai) e che la sua fidata ascia, che aveva ricevuto in dono da suo padre (ma che in realtà aveva sottratto ad un guardacaccia ubriaco), era l’unico oggetto che era riuscito a mettere in salvo. Mentre i due discutevano seduti al tavolo sgangherato del vecchio, la sera calò placida sulla tranquilla vallata scozzese. Mordecai quindi, interrompendo con garbo la narrazione del suo giovane ospite, si avvicinò alla cassapanca per prendere una candela e due pietre focaie per illuminare un briciolo l’ambiente. Riportata la luce nella piccola casupola, il giovane si apprestava a riprendere da dove si era interrotto quando, tutto d’un tratto, i suoi occhi attenti come quelli di un falco individuarono uno strano riflesso metallico proveniente dal collo di Mordecai.
«Perdonate l’impertinenza, potrei chiedervi cosa portate al collo?»
«Ti riferisci a questa?» domandò il vecchio, tirando fuori dalla sua logora tunica una collana composta da sette sbarrette rettangolari di metallo che si facevano via via più lunghe da destra verso sinistra, come le canne di una siringa. «Vedi Galahad, questo è l’ultimo ricordo tangibile dei fasti di un tempo, l’unico gioiello della mia casata che sono riuscito a conservare: una collana di puro argento che mio padre aveva commissionato al più illustre orafo di questa parte di Scozia. Come ti ho già detto, però, non mi sento di dilungarmi oltre sul mio passato, anche perché è piuttosto tardi e ho molto sonno, visto pure lo sforzo che ho dovuto sostenere per trascinarti dentro.»
Così detto, il vecchio si andò a coricare nel punto in cui si trovava al risveglio di Galahad, mentre quest’ultimo si accomodò sul pagliericcio, dove però non riusciva a prendere sonno. Egli rimase disteso su quel cumulo di spighe secche per diverso tempo, rimuginando su un terribile dilemma: uccidere il vecchio e prendere la sua collana, oppure desistere da questi istinti e iniziare una nuova vita da onesto scozzese? In passato egli aveva sì rubato e truffato uomini e donne di ogni età e ceto sociale, ma mai si era spinto così in là sulla strada della disonestà e della malvagità, mai aveva anche solo sfiorato l’idea di sottrarre la vita di una persona per appropriarsi indebitamente di un bene che non gli apparteneva. Eppure ora era diverso, ora aveva lì di fronte la possibilità di poter vivere di rendita, di poter avere il denaro necessario per avviare un’attività e non dover trascorrere più la sua vita come un uccello di bosco, braccato giorno e notte dalle guardie e dalle sue vittime. Una migliore vita lo attendeva, un nuovo speranzoso inizio era lì ad un passo, tutto ciò che voleva dalla vita era lì a portata di mano, e tutto ciò che doveva fare era impugnare la sua ascia e vibrare un colpo secco al collo di quel vecchio sprovveduto. Un semplice gesto che valeva tutto. Un solo attimo per avere tutto. E non se lo fece sfuggire. Mordecai non ebbe nemmeno il tempo di emettere un rantolo, un ultimo singulto di vita, che già l’affilata lama dell’ascia affondava nelle sue carni fino a recidergli la trachea. Inorridito dalla scena e spaventato da sé stesso, Galahad si ritrasse per allontanarsi dal cadavere ma così facendo si portò dietro l’arma grondante di sangue peggiorando oltremodo il suo stato di rimorso e terrore poiché sul collo del vecchio era comparso un inquietante sorriso, una bocca innaturale da cui zampillavano fiotti di rosso vermiglio. Il giovane viandante rimase rannicchiato sul pavimento per circa cinque minuti, coprendosi convulsamente gli occhi con le sue mani sporche di sangue che gli inzaccheravano il volto, marchiandolo agli occhi del mondo come un vile assassino.
«Non è vero, non è possibile. Io non sono questo, io non sono un mostro!» farfugliava convulsamente Galahad in preda ad un attacco di panico. Egli era profondamente dispiaciuto per quale che aveva fatto e non c’era nessuna cosa al mondo che desiderasse di più che tornare indietro e impedire a sé stesso di uccidere il povero vecchio, tormentato e devastato com’era dall’essere sceso nei più bassi livelli dell’umana crudeltà; ma ormai quel che era fatto era fatto e non gli rimaneva altra scelta se non quella di andarsene il più in fretta possibile dal luogo del delitto e proseguire la sua marcia. Galahad quindi uscì dalla casupola impregnata dall’odore ferruginoso del sangue di Mordecai e si incamminò verso la foresta con la collana per cui si era dannato nella mano e una nuova e sinistra sensazione nel cuore: Galahad aveva conosciuto la violenza e l’avarizia nella loro forma più pura e queste lo stavano trasformando nell’animo, corrodendolo e corrompendolo fino al punto di giustificare l’assassinio di un vecchio inerme.
«Forse non è poi così grave aver ucciso quell’eremita, dopotutto non ha nemmeno sofferto, anzi proprio per questo gli ho fatto un favore: almeno non morirà di solitudine o di stenti e finalmente potrà ricongiungersi con i suoi cari nell’altro mondo. In fondo è il ciclo della vita: la pianta vecchia che non dà più frutto viene abbattuta per far posto ad un giovane virgulto che dai resti decomposti del suo predecessore trarrà il nutrimento necessario per il suo futuro sviluppo. Sì sì, non c’è dubbio che il mio istinto avesse ragione, se me ne fossi accorto prima mi sarei risparmiato quella scenata da bambino impaurito nella catapecchia di quello sprovveduto!».
La sua anima stava diventando nera come la notte ammantata su quella non più pacifica vallata, una notte rischiarata a malapena da una pallida luna che emanava una luce grigiastra, quasi cadaverica. Un sinistro presagio di morte. Galahad intanto si era addentrato in un bosco distante circa nove stadi dalla casa di Mordecai. Grazie alla sua vista fenomenale non aveva problemi ad orientarsi fra i larici e gli abeti e questo gli permetteva non solo di proseguire spedito ma anche di sentirsi al sicuro dagli agguati delle belve o dei briganti. Tuttavia, tale prodigiosa vista si rivelò una lama a doppio taglio: egli faceva affidamento solo su tale senso e, complice l’essere assorto nei suoi pensieri di futura ricchezza, non riuscì a sentire né a percepire una presenza che lo stava pedinando come un’ombra, una presenza furibonda, silenziosa, perfida che gli si avvicinava lentamente e implacabilmente, sempre più inquietante, sempre più furiosa, sempre più vicina, e che all’improvviso lo colpì con violenza sulla nuca. Galahad svenne all’istante, senza nemmeno avere il tempo per comprendere quanto gli era accaduto.
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Ultima modifica di Martin Della Cappa il Ven Feb 19, 2021 6:57 pm, modificato 4 volte (Motivo: : Correzione di errori)