Una notte a Gavrilu
Fame...
La strada del buio porta a valle e nebbia avvolge il carro e ruote girano nel fango.
Piove a sprazzi dalle nuvole e misti sono i sapori e gli odori, ho fame, apro gli stipiti della madia.
Un dipinto sulle scale scende con la tela imbrattata.
L'ultimo mio pasto, immagino.
Ho fame e il temporale bagna l'ingresso al castello, aspetto ospiti che non verranno.
Chiamo la domestica sorda e faccio cenno al maggiordomo cieco, nel frattempo suonano alla porta e cade la statua sul tetto.
Ho fame: “Aprite!”
Non ci sono più i servitori d'una volta.
Mi siedo nel salone delle feste e il tavolo segna dodici alla sedia, sono solo e ho fame, apro una bottiglia di vino.
Passa un topo e ci faccio lo spuntino, spolpo le zampette e succhio poi la coda con risucchio di acqua, il resto lo mangio al sangue con due olivette.
Un brodo che non è brodo nella padella vuota.
«Prego accomodatevi la cena è tra mezzora, mettetevi a vostro disagio»
Ho fame e la compagnia di nessuno mi stufa, lo stuzzichino mi ha stuzzicato la fame, mangerò qualche larva del legno, mi procuro un bastoncino e passerò il tempo alla ricerca di qualche tenera prelibatezza fresca.
Il castello è illuminato dai candelabri e il tempo peggiora d’ora in ora, in paese nessuno vuol sentire nominare il luogo: “Gavrilu”
Peggio per loro, intanto ho finito le larve ma ho ancora fame, trovata geniale: un coltello nel culo del maggiordomo, parte tenera e molle e poi amo la carne arrosto.
Beh, non è stato difficile.
Non si trova un coltello decentemente affilato in questo castello. Ecco finalmente, giusto per tagliare quello che devo tagliare, ho fame e mangio, ma non sono cannibale, ho solo fame...
Quanto pesa questo maggiordomo, ma quanto cazzo mangiava?
Lo metto sul tavolo di marmo della cantina.
Comincio dai piedi, direi di strappargli le unghie... Le metto con l'acqua a lessare… Un bel taglio longitudinale lungo la gamba sinistra e trovo la safena.
«Plic, slurp, slurp»
Buono questo sangue, “Burp” Sono pieno, meglio assaggiare i muscoli, incido con tagli scelti la pelle e la sfilo via facilmente: sono un esperto. Metto la pelle delle gambe nella pentola con le unghie, poi si vedrà. Domani brodino, naturalmente ho provveduto prima a depilare il corpo, intanto mi seziono i polpacci da fare arrosto, conserverò i tendini da spolpare in seguito.
Le parti intime non mi attirano: taglio e butto via e, siccome sono schizzinoso, non mi interesso nemmeno delle interiora, budella, stomaco, fegato, tutti buoni per il cane che con il suo continuo miagolare mi ha rotto i timpani.
Il resto lo impacchetto con la carta d'alluminio e lo metto in frigo: dovrei avere, nascosto da qualche parte, un libro di ricette… domani se ne riparla.
Ha un bel culetto questo maggiordomo: lo mangio domenica.
Però questa pioggia e questa aria frizzante mi hanno messo fame, esco a fare una passeggiata verso il paese, mi tengo in forma e cerco qualche cosa particolarmente golosa.
Ma sì, oggi ho sentito suonare le campane a morto.
Si va al cimitero.
Dunque vediamo... «qua abbiamo il morto fresco, non mi va, uhm, si questo è morto qualche anno fa.»
Un bel piatto ceneroso e muffico ci sta, bei tempi quando andavo in cerca di funghi nel bosco.
Bene, bene, questo tipo ha un aspetto tra il consunto e la muffica, ci sono pure le costolette da succhiare.
Intanto porto la bara al sicuro dove smanducare tranquillo, accidenti, mi fanno male le spalle. Quanto pesa, sto diventando vecchio.
Che buoni questi lembi di pelle attaccati alle ossa della mano, che buon sapore.
«Volete assaggiare? Beh, sapete che vi dico, me lo gusto un po' per volta. Oh, ci sono pure i vermetti per contorno! Accidenti che mangiata, basta per oggi, me ne torno al castello.
Un attimo, non guardate per favore sono timido. Ah, che pisciata… »
Nel quadrante del cielo le nuvole facevano a gara nell'inseguirsi, un vento tempestoso accarezzava le cime degli alberi e le vie di campagna che portavano al castello non si distinguevano più, l'acqua scorreva in rigagnoli che parevano canali e i tuoni illuminavano a lampi i campi.
Forse erano i lampi che illuminavano i campi e che qualcuno da loro ci scampi, un cipresso pareva nei rami depresso e i rumori della pioggia, che batteva sugli occhi, spaventavano persino gli spaventapasseri.
Perché parli al passato, sono stanco e poi il temporale mi mette paura, mia madre aveva ragione quando mi diceva che non ero degno di discendere i discendenti, vado a dormire è quasi l'alba.
«James, maledetto imbecille dove ti sei cacciato? Apri questa porta, non vedi che sono fradicio»
Fame...
La strada del buio porta a valle e nebbia avvolge il carro e ruote girano nel fango.
Piove a sprazzi dalle nuvole e misti sono i sapori e gli odori, ho fame, apro gli stipiti della madia.
Un dipinto sulle scale scende con la tela imbrattata.
L'ultimo mio pasto, immagino.
Ho fame e il temporale bagna l'ingresso al castello, aspetto ospiti che non verranno.
Chiamo la domestica sorda e faccio cenno al maggiordomo cieco, nel frattempo suonano alla porta e cade la statua sul tetto.
Ho fame: “Aprite!”
Non ci sono più i servitori d'una volta.
Mi siedo nel salone delle feste e il tavolo segna dodici alla sedia, sono solo e ho fame, apro una bottiglia di vino.
Passa un topo e ci faccio lo spuntino, spolpo le zampette e succhio poi la coda con risucchio di acqua, il resto lo mangio al sangue con due olivette.
Un brodo che non è brodo nella padella vuota.
«Prego accomodatevi la cena è tra mezzora, mettetevi a vostro disagio»
Ho fame e la compagnia di nessuno mi stufa, lo stuzzichino mi ha stuzzicato la fame, mangerò qualche larva del legno, mi procuro un bastoncino e passerò il tempo alla ricerca di qualche tenera prelibatezza fresca.
Il castello è illuminato dai candelabri e il tempo peggiora d’ora in ora, in paese nessuno vuol sentire nominare il luogo: “Gavrilu”
Peggio per loro, intanto ho finito le larve ma ho ancora fame, trovata geniale: un coltello nel culo del maggiordomo, parte tenera e molle e poi amo la carne arrosto.
Beh, non è stato difficile.
Non si trova un coltello decentemente affilato in questo castello. Ecco finalmente, giusto per tagliare quello che devo tagliare, ho fame e mangio, ma non sono cannibale, ho solo fame...
Quanto pesa questo maggiordomo, ma quanto cazzo mangiava?
Lo metto sul tavolo di marmo della cantina.
Comincio dai piedi, direi di strappargli le unghie... Le metto con l'acqua a lessare… Un bel taglio longitudinale lungo la gamba sinistra e trovo la safena.
«Plic, slurp, slurp»
Buono questo sangue, “Burp” Sono pieno, meglio assaggiare i muscoli, incido con tagli scelti la pelle e la sfilo via facilmente: sono un esperto. Metto la pelle delle gambe nella pentola con le unghie, poi si vedrà. Domani brodino, naturalmente ho provveduto prima a depilare il corpo, intanto mi seziono i polpacci da fare arrosto, conserverò i tendini da spolpare in seguito.
Le parti intime non mi attirano: taglio e butto via e, siccome sono schizzinoso, non mi interesso nemmeno delle interiora, budella, stomaco, fegato, tutti buoni per il cane che con il suo continuo miagolare mi ha rotto i timpani.
Il resto lo impacchetto con la carta d'alluminio e lo metto in frigo: dovrei avere, nascosto da qualche parte, un libro di ricette… domani se ne riparla.
Ha un bel culetto questo maggiordomo: lo mangio domenica.
Però questa pioggia e questa aria frizzante mi hanno messo fame, esco a fare una passeggiata verso il paese, mi tengo in forma e cerco qualche cosa particolarmente golosa.
Ma sì, oggi ho sentito suonare le campane a morto.
Si va al cimitero.
Dunque vediamo... «qua abbiamo il morto fresco, non mi va, uhm, si questo è morto qualche anno fa.»
Un bel piatto ceneroso e muffico ci sta, bei tempi quando andavo in cerca di funghi nel bosco.
Bene, bene, questo tipo ha un aspetto tra il consunto e la muffica, ci sono pure le costolette da succhiare.
Intanto porto la bara al sicuro dove smanducare tranquillo, accidenti, mi fanno male le spalle. Quanto pesa, sto diventando vecchio.
Che buoni questi lembi di pelle attaccati alle ossa della mano, che buon sapore.
«Volete assaggiare? Beh, sapete che vi dico, me lo gusto un po' per volta. Oh, ci sono pure i vermetti per contorno! Accidenti che mangiata, basta per oggi, me ne torno al castello.
Un attimo, non guardate per favore sono timido. Ah, che pisciata… »
Nel quadrante del cielo le nuvole facevano a gara nell'inseguirsi, un vento tempestoso accarezzava le cime degli alberi e le vie di campagna che portavano al castello non si distinguevano più, l'acqua scorreva in rigagnoli che parevano canali e i tuoni illuminavano a lampi i campi.
Forse erano i lampi che illuminavano i campi e che qualcuno da loro ci scampi, un cipresso pareva nei rami depresso e i rumori della pioggia, che batteva sugli occhi, spaventavano persino gli spaventapasseri.
Perché parli al passato, sono stanco e poi il temporale mi mette paura, mia madre aveva ragione quando mi diceva che non ero degno di discendere i discendenti, vado a dormire è quasi l'alba.
«James, maledetto imbecille dove ti sei cacciato? Apri questa porta, non vedi che sono fradicio»