Chakparrat. Una storia vera
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Chakparrat. Una storia vera
Se vi apprestate a leggere quanto segue vuol dire che, chiunque voi siate e non importa in quale futura data, avete trovato queste tre tavolette, apparentemente fitte di disegni colorati, in effetti glifi della nostra scrittura azteca, che ho depositato in una nicchia del corridoio della mia villa sul mare.
Colpa di quel maledetto Tepeyollotl, il Dio dei terremoti, che si è accanito sulla mia casa, obbligando me e il mio schiavo (è lui che ha tutta l’attrezzatura per scrivere, io non ne ho mai avuto bisogno), a nasconderci nel luogo all’apparenza più sicuro e cioè il corridoio scavato parzialmente nella roccia che conduce dalla cucina al deposito dell’acqua e del cibo. La temperatura è sempre costante e conserva bene. Spero lo faccia anche per noi che però siamo completamente bloccati qui. Solo una crepa nel soffitto ci permette di distinguere tra giorno e notte. Per me non ce la caviamo! Non abbiamo nulla per scavare e finite le provviste: o io mangio lui o lui mangia me per sopravvivere ancora un po’ ma dopo… che Mictlanteculhtli, ci accolga nel suo regno d’oltretomba.
Su quelle tavolette gli ho fatto scrivere un pezzo della mia storia, tanto per far capire chi sono. Magari non frega niente a nessuno! Di lui senz’altro ma di me… io so di essere un imprenditore di successo e che la mia storia sia da scrivere.
Mi auguro siate capaci di interpretare correttamente le tavolette. Non è facile nemmeno per noi quindi chissà per voi.
Le prime due raccontano l’anno in cui iniziò la mia fortuna, mentre nella terza ho allegato un nostro calendario, regalatomi dall’imperatore Motēcuhzōma stesso, che mostra questa nostra era che termina il giorno dodici del mese dodici dell’anno duemiladodici. Mi auguro possiate farne un buon uso fino a quella seppur lontanissima fine annunciata.
Ma cominciamo.
Provengo dalla famiglia dei Chakparrat e non posso dire di non essere stato fortunato nella mia lunga vita che però diviene molto più interessante solo a partire dall’anno millecinquecentoventi in cui io ho già trentasei anni compiuti.
Questo se seguissi il calendario xiuhpohualli, che si adegua a quello degli spagnoli, in uso da sempre anche dai nostri contadini e che ha un anno di trecentosessantacinque giorni divisi in dodici mesi, mentre invece il nostro tonalpohualli, in modo molto meno demenziale, calcolando venti trecene di dodici giorni all’anno, dà un chiaro risultato di duecentosessanta giorni belli tondi, senza alcun resto da sistemare qua e là. Vuoi mettere come tutto diventa così molto più semplice!
Però io sarei ancora più anziano … aspetta che devo fare due calcoli a parte, non son mica Yachilutecuhtli, il nostro Dio dei mercanti, che è bravissimo coi numeri … perché sarei nel millecinquecentosettanta e avrei un po’ più di cinquant’anni. Sarei perfino vecchio invece di anziano. Anzi un sopravvissuto.
Nel nostro impero infatti si muore molto prima. A trenta/quaranta anni, secondo lo xiuhpohualli, uno non serve quasi più a niente.
Certo, questo succede per il popolo perché ai piani alti è tutta un’altra storia.
E io vengo dai piani alti, anzi altissimi: quelli della piramide di Chichén Itzá, la più elevata del nostro impero e destinata alle cerimonie più importanti.
Roquiitz, mio padre, era il “Primo Rotolatore” al servizio del Tlatoani Motēcuhzōma. Il suo compito consisteva, una volta decapitato, squartato, tolto il cuore e altri organi e smembrato per distribuire la deliziosa carne del sacrificabile al popolo, di lanciare la sua testa giù dalla scala della piramide, cercando di farla rotolare fino in fondo dove sarebbe stata raccolta su di una picca a forma di croce per essere poi esposta sulla piazza principale della nostra capitale Tenochtitlàn.
Un gioco a testa e croce all’apparenza facile ma invece tutt’altro. Se per qualsiasi ragione la testa non avesse raggiunto quella croce, cadendo magari fuori dalla scalinata, era quella del rotolatore a prendere il suo posto. Inoltre, se uno crede che in un giorno rotolassero giù poche teste, non aveva che da andare a vedere, in quella piazza, la rastrelliera che le collezionava. In un anno discreto si raggiungevano i venticinquemila crani. Ci fu però un anno, si era ancora sotto il Tlatoani Ahuitzotl che, guerreggiando a destra e a manca si era procurato una quantità enorme di materiale umano, in cui si dovette effettuare d’urgenza il raddoppio di quella rastrelliera per fargliene contenere sessantamila. Di sicuro un record! Ma una faticaccia per mio padre e i suoi quattro accoliti che furono impegnati a far rotolare le teste di quei prigionieri diventati schiavi: uomini, donne, bambini e anche neonati. E fu proprio con uno di quest’ultimi, ma non in quell’occasione, parecchi anni dopo, che mio padre sbagliò la mira e… vabbè potevo sempre andare a trovarlo in quella piazza.
Lui però lo aveva previsto e forse aveva ragione quando, a casa, si lamentava che non gli permettevano d’allenarsi. Di teste così piccole non ce n’erano molte in giro con cui fare esperienza. Comunque questo non sembrò rattristare mia madre Coptil. Aspettate! Ve lo traduco io il suo nome in spagnolo, l’unica altra lingua che conosco, così non fate troppa fatica col suo glifo: Luciérnaga. Un nome azzeccato per una donna come lei.
Era la Grande Sacerdotessa dedicata alla dea Tecciztecatl. Al solo nominarla sembra un secco sternuto, utilissimo a espellere i fluidi maligni, mentre invece è uno dei vari nomi dati a quella misteriosa luce argentata che, montando e calando regolarmente sul cielo notturno ammantato di meravigliose costellazioni, aveva permesso ai nostri astronomi di creare quel calendario più semplice dell’altro. Massì dai! Quella che voi chiamate Luna.
Volevo fare un po’ di poesia ma… potrei solo sprecare il mio tempo!
Mia madre quel posto l’aveva ottenuto per la sua intima amicizia, diciamo così, col Grande Sacerdote dedicato a Huitzilopochtli, che oltre essere Dio del Sole lo era anche della guerra. Dicevano fosse pure ben dotato. Se il mio scriba ha scritto bene il glifo dovreste capire che si riferisce al Sacerdote e non al Dio. Scusate ma la traduzione non deve dare adito a dubbi.
Qui mi sento in dovere di fare una piccola disgressione per voi che mi sta leggendo. Non fate caso a questi nomi così lunghi. Son solo fonetici perché come vedete la nostra scrittura è composta da glifi che racchiudono dei disegni colorati e ciascuno rappresenta, nello spazio e nel tempo in cui è descritto, il suono e il nome di ciò che vogliamo dire, altrimenti non mi basterebbero queste tre tavolette che senz’altro avete già trovato e interpretato, se no… non ci sarebbe nemmeno questa mia storia.
Mi sono intavolettato.
Sono un anziano calzolaio io (dite spoiler anche voi?), mica un docente di letteratura e allora proseguo.
Dopo la morte di mio padre, ai primi del millecinquecentoventi, quando passavo da quella piazza, la sua testa tuttora fresca mi guardava fisso con quei suoi profondi occhi spalancati e sembrava rimproverarmi che non avessi ancora un mestiere col quale mantenere anche mia madre, la sua adorata Coptil.
Beato lui che non aveva mai saputo che lei se la spassava col Grande Sacerdote e che ora che il corpo del marito le era inutile, oddio lo era anche in vita ma mai pensare male dei morti, si era messa fissa con quello là diventando così una Grande Put… Ma no dai, lo so che il glifo presta a confusione ma qui vuol dire proprio Sacerdotessa! Comunque sia: lei si era quasi dimenticata di me, obbligandomi a cavarmela da solo. Magari proprio da solo no. Un po’ mi aveva aiutato anche lei ma non anticipiamo!
Io non me l’ero sentita di seguire le orme di mio padre. Mica per la crudeltà di quel suo mestiere. Quella non era nemmeno da prendere in considerazione. I sacrifici erano estremamente necessari per ingraziarsi tutti i nostri Dei e ingozzare il nostro famelico popolo.
Io di ciò me ne fregavo alla grande. In verità era che non me la sentivo di fare su e giù per quelle dannate scale dagli alti e ripidi gradini anche più di una dozzina di volte al giorno. Certo! Così tante. Vi ricordate che su quella rastrelliera, in quell’anno di grazia, c’erano finiti più di sessantamila teschi? Fate un po’ i conti voi di quanti erano in un giorno e, usate pure il calendario che credete, comunque son sempre un’enormità di gradini da scendere e salire! Io, che fino a quel momento non avevo mai lavorato, avrei preferito un posto a bottega. Magari un bel lavoro sedentario che non m’impegnasse poi tantissimo. Nell’amministrazione pubblica manco a parlarne. Lì, un banale errore e zac: giù la testa. Coglione! Però tra tutti quelli che c’erano nel privato non me ne piaceva nessuno e così me ne sono inventato uno.
Non che fosse proprio un mio personale guizzo di genio ma avevo visto che i soldati di Hernan Cortés, quel Dio pallido e barbuto che era tornato a visitarci così come previsto da una nostra antica profezia, proteggevano i loro piedi con alte coperture in pelle. Le chiamavano “botas” nel loro idioma. In battaglia difendevano anche i loro corpi usando delle corazze argentate ma quello a me non interessava. Sul campo i nostri soldati avevano delle chiare fasi d’ingaggio. Prima: urlavano insulti agli avversari che a loro volta rispondevano. Seconda: mostravano i propri genitali e aspettavano di vedere quegli degli avversari. Terza: attaccavano correndosi incontro con lance e spade di legno. Perché appesantirsi con una corazza?
Non m’interessava nemmeno, tanto mio padre era già morto, che Cortés volesse proibirci tutti quei sacrifici umani invece necessari ad allontanare calamità naturali, malattie, carestie e quant’altro gli Dei malefici ci inviavano di continuo. Incredibile quanto fosse ignorante quel rozzo spagnolo!
Però quei piedi protetti avrebbero potuto anche diventare di moda. Magari solo tra i ricchi e potenti che poi erano anche quelli che avrebbero potuto pagarmi. Fin ad allora solo loro, il popolino andava giustamente scalzo, avevano ai piedi delle specie di suole in fibra vegetale intrecciata che poi si legava intorno alla caviglia. Una semplice protezione ma anche nemmeno tanto. Con la pioggia diventava sdrucciolevole. Molti si erano involontariamente immolati su quelle maledette scale delle piramidi, e noi di queste ne avevamo parecchie, dove, chissà perché, sulle loro cime si fissavano sempre tutti gli appuntamenti più importanti.
Avevo personalmente sentito Cortés, costretto nel peso della sua lucente armatura, bestemmiare il proprio Dio a causa di tutti quei gradini che doveva salire, non ricordo di quale, senz’altro una delle quattro piramidi della nostra capitale, per un incontro con Motēcuhzōma, il giorno che aveva deciso di sottometterlo alla propria volontà. Anzi quella volta voleva addirittura arrestarlo ma alla fine addivennero a un compromesso: l’azteco avrebbe dato ordine di fermare i seppur utili sacrifici e lo spagnolo l’avrebbe lasciato libero di governare. In altri loro successivi incontri tentò pure di convertirlo al cattolicesimo ma senza successo. A Motēcuhzōma di poter bestemmiare un solo dio non interessava, lui ne aveva più di un’ottantina a sua disposizione! Non ci credete? Ve ne presento una che vi stupirà così sistemiamo anche questo una volta per tutte: Itzpapalotl, la dea scheletrica delle donne morte di parto. Mica ce l’avete voi. Bè noi sì e la bestemmiamo come ci pare.
Ma lasciamo perdere questi futili fatti anche perché siamo rinchiusi qui da vari giorni e il tempo stringe. I viveri son quasi finiti e anche l’acqua della cisterna. Anche le due fiaccole sono esaurite e possiamo solo vederci di giorno con la luce che proviene da quella crepa. Da questo corridoio non si può uscire. Ci siamo un po’ adattati al buio e siamo sicuri che nessuno ci cerca. Forse il terremoto ha ucciso tutti.
Questo è un glifo del ritorno a capo perciò...
Io sarei dunque diventato un calzolaio. Anziano per causa d’età ma giovane esordiente in un nuovo campo. Chiesi a mia madre che era amica d’infanzia di Malinche, l’amante azteca e interprete di Cortés, di sottrarre un paio di botas appartenenti al condottiero. L’operazione andò a buon fine e mi furono consegnate. Dopo averle destrutturate (è un glifo in uso ai nostri giorni e vuol dire smontate), avevo perfettamente capito come avrei potuto fabbricarle.
A dire il vero, come al mio solito, io non avrei fatto proprio un bel nulla.
Mia madre aveva ottenuto in regalo, credo di sapere come ma non lo so, da un ricco commerciante in pietre da costruzione, un vasto locale nella piana davanti alla grande piramide di Chichén Itzá e, con qualche schiavo, senza i rituali sacrifici ce n’erano parecchi che pur di sopravvivere erano disponibili a qualsiasi tipo di lavoro, avevo iniziato la mia nuova professione. Non c’era nemmeno un glifo per descriverla e allora un tlacuilo, uno scrittore emergente dei miei tempi, me ne aveva confezionato uno nuovo nuovo che si poteva pronunciare così: Fer’agamocatlchitl. Bellissimo. Spero venga tramandato ai posteri.
In pochissimo tempo sono diventato famoso.
I miei stivali li volevano tutti.
Bè certo i pipiltin, cioè quelli considerati nobili e non degli incontinenti come si presterebbe una traduzione istintiva, li richiedevano con una chiodatura in oro mentre i comandanti dell’esercito con una in ferro. Solo con i loro ordini divenni ricco ma i miei forzieri iniziarono a riempirsi veramente quando cominciai a fabbricare dei bassi stivaletti chiodati per i soldati. Una richiesta che mi arrivò direttamente dal grande Tlatoani Motēcuhzōma, poco prima che lui morisse. In quell’occasione, macchè della morte, vabbè che il glifo è un leggermente malandato perché fatto alla luce di una fiaccola ma, impegnandosi un pochino, si può leggere “della consegna”, gli donai un personalissimo paio di stivali in pelle, appena tolta dalla schiena di una schiava vergine della tribù dei Tepanechi. Le suole invece erano composte di vari strati di pelle di cane tenuti insieme da speciali chiodini in oro. Pietre preziose adornavano il gambale e raffiguravano le due più conosciute costellazioni celesti disegnate dai nostri famosi astronomi.
Il grande Tlatoani alla sua morte volle essere cremato, come di spettanza, sulla Cuauhxicalcocon, calzato con quegli stivali. La sua volontà non fu completamente rispettata: diventò cenere sì ma a piedi nudi. Inoltre non si seppe nemmeno dove fosse andato a finire tutto quell’oro che gli avevano fatto colare in bocca soffocandolo fino a che Mictlanteculhtli, non se lo portò con sé nel profondo degli inferi dove regnava con la moglie Mictecacihuatl.
Dopo la sua dipartita ero indeciso se imbarcarmi su uno di quei brigantini spagnoli che tornavano nella loro patria, per andare a visitare la terra da dove erano arrivati quei pallidi barbuti che, seppure in numero molto limitato, erano riusciti a sottometterci e a impadronirsi di una gran parte del nostro oro, oppure trasferirmi a oziare sulla costa della nostra magnifica penisola dello Yucatan dove risiedevano i nostri cugini Maya.
Decisi per la seconda opzione e credetti di far bene, data la mia presente situazione.
Nel dodicesimo mese del millecinquecentoventi creai dal nulla un villaggio a cui diedi il mio nome. Mi chiedo se al momento della lettura di questo mio racconto sia ancora esistente.
E ora vi saluto com’è nostra usanza e, se siete arrivati fino a qui, saprete anche di sicuro cosa voglia dire quest’ultimo glifo: Tlalcualiztli.
KanKun Chakparrat 2-10-1540
Forse vi interessa sapere che ho deciso di farmi uccidere dal mio scriba così che sia lui a dover soffrire la morte per fame e sete.
Questo è il mio ultimo glifo e perciò se ne trovate altri non sono miei.
KanKun non era così cattivo!
Peccato che non fosse veramente grasso!
Ieri finalmente Tlaloc si è deciso a scaricare acqua dal cielo e la pioggia scrosciante di un paio di giorni ha allargato l’uscita nel soffitto.
Me ne vado. Se qualcuno arriverà qui troverà solo uno scheletro. E non è il mio. Ahahah!
Tlalcualiztli anche da me.
Different Staff- Admin
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Racconto carino, che gioca gran parte della sua simpatia nel sovrapporre slang e termini moderni alla cultura azteca nella quale viene ambientato. Complimenti all’autore per il grande studio su questo popolo e questo periodo storico anche se, forse, risulta proprio il suo stesso limite: la narrazione della vita del calzolaio scorre via bene ma senza particolari guizzi, raccontata senza essere narrata in modo specifico. I paletti sono tutti usati molto sapientemente, senza forzature e risultano permeanti nel racconto. La scrittura non presenta errori ma la vedo leggermente avara di punteggiatura, soprattutto le virgole talvolta languono. Nel complesso ho gradito questo racconto ma credo che potesse dare di più con qualche istantanea viva su alcuni particolari.
Nellone- Younglings
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Mi è piaciuta quell'ironia sui nomi. Bè io sono milanese e quel tuo Chakparrat l'ho tradotto subito in Chapàrat che a Milano è quando si manda a quel paese qualcuno. L'ironia c'è ma probabile non sia al livello della comicità. Vetta difficilissima da raggiungere.
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
se devo essere sincero, non mi è piaciuto più di tanto.
anche in questo caso, l'idea è buona e lodevole, ma il risultato lascia a desiderare.
c'è qualche frase a effetto, ma niente di particolare che sia stato in grado di strapparmi una risata o, perlomeno, di divertirmi.
potrebbe essere un mio problema, naturalmente, e di ciò sono consapevole.
però, al momento, la mia opinione non è positiva.
anche in questo caso, l'idea è buona e lodevole, ma il risultato lascia a desiderare.
c'è qualche frase a effetto, ma niente di particolare che sia stato in grado di strapparmi una risata o, perlomeno, di divertirmi.
potrebbe essere un mio problema, naturalmente, e di ciò sono consapevole.
però, al momento, la mia opinione non è positiva.
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Mi dispiace, autore, ma esco dalla seconda lettura del tuo racconto con un gran senso di confusione in testa.
Tutto fila bene nell’incipit, poi si precipita in un vortice di informazioni e nomi aztechi.
Ti faccio i complimenti per il tuo lavoro di documentazione sugli dei e sulla cultura aztechi.
Anche da questo però ho tratto un elemento di confusione. Hai inserito la piramide di Chichén Itzà come era richiesto dal contest, ma, da quanto ho capito, la cultura di Chichén Itzà era maya, non azteca. Ho chiesto aiuto a internet, che mi ha confermato che è maya.
Elemento confermato dall’inserimento della conquista da parte di Cortés.
Quindi tutto il racconto parla di cultura azteca, con una piramide maya in mezzo. Mi chiedo perché. Secondo me, avresti potuto tranquillamente trasferire tutto all’interno della cultura Maya, anche se mi rendo conto che quella azteca forse era più accattivante.
Il problema è che questo particolare mi ha fatto “sganciare” dal racconto, da questo punto in poi. Mi sono sentita in un’altra storia, una scritta tutta in versione azteca in cui è stata per forza messo un nome Maya perché necessario.
Detto questo, le gag sono simpatiche, anche se non mi fanno arrivare alla risata. La struttura appare un po’ “a quadri distinti”, come appunto una serie di scenette umoristiche montate in sequenza.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Ciao Autor
un testo mattacchione che “pretende” una lettura attenta. Niente appare lasciato al caso le informazioni storiche contenute e sono sciorinate e trattate con grande ironia e sono così tante che se non si sta attenti non si riesce a coglierle tutte tanto il ritmo della narrazione è serrato e denso.
Prima di tutto mi è piaciuta molto l’idea del terremoto, così appare ben giustificata il racconto destinato ai posteri.
Ci sono trovate molto divertenti per esempio il nome del dio dell’ oltretomba Mictlanteculhtli
Oppure la la Grande Sacerdotessa dedicata alla dea Tecciztecatl.
Spassoso, geniale e macabro il testa o croce
di lanciare la sua testa giù dalla scala della piramide, cercando di farla rotolare fino in fondo dove sarebbe stata raccolta su di una picca a forma di croce per essere poi esposta sulla piazza principale della nostra capitale
e che dire di tlacuilo, uno scrittore emergente dei miei tempi? A me fa ridere e ricorda proprio un taccuino.
C’è anche il calzolaio più famoso Fer’agamocatlchitl un antenato del nostro Ferragamo
Insomma io ho trovato il racconto molto divertente. Complimenti.
un testo mattacchione che “pretende” una lettura attenta. Niente appare lasciato al caso le informazioni storiche contenute e sono sciorinate e trattate con grande ironia e sono così tante che se non si sta attenti non si riesce a coglierle tutte tanto il ritmo della narrazione è serrato e denso.
Prima di tutto mi è piaciuta molto l’idea del terremoto, così appare ben giustificata il racconto destinato ai posteri.
Ci sono trovate molto divertenti per esempio il nome del dio dell’ oltretomba Mictlanteculhtli
Oppure la la Grande Sacerdotessa dedicata alla dea Tecciztecatl.
Spassoso, geniale e macabro il testa o croce
di lanciare la sua testa giù dalla scala della piramide, cercando di farla rotolare fino in fondo dove sarebbe stata raccolta su di una picca a forma di croce per essere poi esposta sulla piazza principale della nostra capitale
e che dire di tlacuilo, uno scrittore emergente dei miei tempi? A me fa ridere e ricorda proprio un taccuino.
C’è anche il calzolaio più famoso Fer’agamocatlchitl un antenato del nostro Ferragamo
Insomma io ho trovato il racconto molto divertente. Complimenti.
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Il racconto è carino e strappa anche qualche sorriso, ma l'ho trovato un po' troppo lungo e dispersivo.La comicità, già non proprio preponderante, risulta parecchio diluita fra informazioni non necessarie e una sequela di nomi che penso nascondano dei doppi sensi... Ma li nascondono davvero bene.
Probabilmente l'autore si è documentato sulle civiltà precolombiane che hanno vissuto in Messico. Quindi non mi è chiaro perché parli di aztechi e non di maya o toltechi. Né risulta chiara la location, visto che tutta la storia sembra si svolga fra Chichén Itzá e la capitale Tenochtitlàn (dove oggi sorge Città del Messico). Ai giorni nostri, passare da un luogo all'altro non sarebbe un gran problema; ma all'epoca dei fatti (scegliete voi il calendario) non mi sembra poi così facile e tranquillo intraprendere un viaggio di quasi 1200 chilometri. Eppure il padre del narratore fa rotolare le teste giù dalla piramide del tempio (che, dal contesto, si presume sia quello di Chichén Itzá), teste che saranno poi esposte "sulla piazza principale della nostra capitale Tenochtitlàn".
Non sto a dilungarmi oltre e poi magari sono io che faccio confusione, ma non sono rimasto affatto convinto.
Grazie
M.
Probabilmente l'autore si è documentato sulle civiltà precolombiane che hanno vissuto in Messico. Quindi non mi è chiaro perché parli di aztechi e non di maya o toltechi. Né risulta chiara la location, visto che tutta la storia sembra si svolga fra Chichén Itzá e la capitale Tenochtitlàn (dove oggi sorge Città del Messico). Ai giorni nostri, passare da un luogo all'altro non sarebbe un gran problema; ma all'epoca dei fatti (scegliete voi il calendario) non mi sembra poi così facile e tranquillo intraprendere un viaggio di quasi 1200 chilometri. Eppure il padre del narratore fa rotolare le teste giù dalla piramide del tempio (che, dal contesto, si presume sia quello di Chichén Itzá), teste che saranno poi esposte "sulla piazza principale della nostra capitale Tenochtitlàn".
Non sto a dilungarmi oltre e poi magari sono io che faccio confusione, ma non sono rimasto affatto convinto.
Grazie
M.
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Mi sono divertito a leggerti. Non sono certo che sia pura comicità (molto complicata da esprimere in forma scritta), ma certamente è molto ironico. Un plauso in più per l’accurata ricerca. Avevo pensato alla prima lettura che si trattasse di nomi inventati, ma ho scoperto poi che molti di essi sono rigorosamente storici (a parte Chalparrat!).
Molto divertente anche il finale a sorpresa, quando ritenevamo il protagonista già spacciato.
A quest’ultimo esprimo tutta la mia comprensione per non aver scelto la professione del padre. Troppo pericoloso fare il rotolatore di teste!
Per quanto riguarda lo step: ci sono il corridoio e il calzolaio; per il tempo, ci siamo, come pure Chickén Itzà.
Molto divertente anche il finale a sorpresa, quando ritenevamo il protagonista già spacciato.
A quest’ultimo esprimo tutta la mia comprensione per non aver scelto la professione del padre. Troppo pericoloso fare il rotolatore di teste!
Per quanto riguarda lo step: ci sono il corridoio e il calzolaio; per il tempo, ci siamo, come pure Chickén Itzà.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Quando sono approdato su Different, che prima non si chiamava così, la prima cosa che ho imparato è stata che non conviene rivolgersi a un pubblico invisibile di lettori.
Detto questo affermo che il tuo racconto non mi ha coinvolto più di tanto, a tua difesa c'è la scelta del genere umoristico, scelta complicata da quei nomi incomprensibili, assurdi, da sbrogliare per farsi carpire un sorriso. Traduco: la comicità deve essere qualcosa di semplice e immediato. Ecco perché ai miei tempi facevano più ridere Franco e Ciccio di Woody Allen.
L'ho sparata grossa per farti ridere, di me.
Sei nella mia cinquina, amico.
Detto questo affermo che il tuo racconto non mi ha coinvolto più di tanto, a tua difesa c'è la scelta del genere umoristico, scelta complicata da quei nomi incomprensibili, assurdi, da sbrogliare per farsi carpire un sorriso. Traduco: la comicità deve essere qualcosa di semplice e immediato. Ecco perché ai miei tempi facevano più ridere Franco e Ciccio di Woody Allen.
L'ho sparata grossa per farti ridere, di me.
Sei nella mia cinquina, amico.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
"Qui mi sento in dovere di fare una piccola digressione per voi che mi sta leggendo"
"Qui mi sento in dovere di fare una piccola digressione per voi che mi state leggendo"
"Fin da allora solo loro, il popolino andava giustamente scalzo, avevano ai piedi delle specie di suole in fibra vegetale intrecciata che poi si legava alla caviglia. Una semplice protezione ma anche nemmeno tanto."
Ho riportato il periodo per intero poiché la parte in grassetto non l'ho capita. Mi scuso con l'Autore.
Detto questo, credo che i difetti di questo racconto siano due: primo, l'utilizzo di nomi propri così complicati, da fare invidia a @Midgardsormr. Secondo, il rivolgersi direttamente al lettore, tra l'altro un lettore non contemporaneo alla storia, nemmeno post moderno, ma attuale. Il connubio ci poteva stare, ma non in questa misura: poteva essere il lettore, il protagonista contemporaneo a scavare nel passato e raccontarci questa storia.
Dato che thriller non è, di certo una comicità labile, non universale.
Devo essere sincero, non mi è piaciuto. Forse è uno dei racconti che più soffre dei paletti imposti.
Grazie
"Qui mi sento in dovere di fare una piccola digressione per voi che mi state leggendo"
"Fin da allora solo loro, il popolino andava giustamente scalzo, avevano ai piedi delle specie di suole in fibra vegetale intrecciata che poi si legava alla caviglia. Una semplice protezione ma anche nemmeno tanto."
Ho riportato il periodo per intero poiché la parte in grassetto non l'ho capita. Mi scuso con l'Autore.
Detto questo, credo che i difetti di questo racconto siano due: primo, l'utilizzo di nomi propri così complicati, da fare invidia a @Midgardsormr. Secondo, il rivolgersi direttamente al lettore, tra l'altro un lettore non contemporaneo alla storia, nemmeno post moderno, ma attuale. Il connubio ci poteva stare, ma non in questa misura: poteva essere il lettore, il protagonista contemporaneo a scavare nel passato e raccontarci questa storia.
Dato che thriller non è, di certo una comicità labile, non universale.
Devo essere sincero, non mi è piaciuto. Forse è uno dei racconti che più soffre dei paletti imposti.
Grazie
Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
La prima cosa che mi è saltata all'occhio, leggendo, è che Chichén Itzà era una città appartenente al popolo Maya e non agli Aztechi. Questa strana (e non so quanto voluta) imprecisione mi ha tolto un po' il gusto su tutti gli altri pur validi riferimenti storici, e ce ne sono veramente tantissimi.
Forse troppi?
Alla fine è davvero illogico che un morituro desideroso di lasciare una storia della propria vita si concentri così tanto su dettagli, informazioni, aspetti secondari, e così poco sulla sua vicenda personale, che è davvero solo abbozzata nei suoi tratti salienti. Certo, è un racconto umoristico e non realistico.
Ma proprio per questo ho trovato un po' un autogoal spendersi così tanto in nomi e nozioni.
Il tutto infatti mal si sposa con la comicità, che ne risulta labile e congegnata in modo strano, quasi bizzarro.
Avresti avuto molti più spunti comici se la narrazione di Chak si fosse concentrata su episodi e storie di vita: potevi sbizzarrirti e andare a briglia sciolta.
Argomento nomi: è vero, quasi sicuramente contengono dei riferimenti divertenti, dialettali?
Ne ho colti pochissimi, forse il solo nome del protagonista, che mi ricorda il piemontese ciaparàt, una delle parole più buffe della mia terra. Che però mal si sposa con il protagonista, che alla fine non è così tanto ciaparàt, anzi, è uno che la fortuna se l'è costruita con sagacia.
Il non aver colto gli altri ha contibuito a far perdere mordente all'umorismo.
Molto curata, fin maniacale, la forma e l'impostazione del racconto.
Sembra soffrire però degli stessi identici problemi di un altro che ho letto oggi: ossessiva ricerca del dettaglio a scapito della comicità, che fa sì sorridere in qualche passaggio, ma non riesce a essere incisiva quanto avrebbe potuto.
Forse troppi?
Alla fine è davvero illogico che un morituro desideroso di lasciare una storia della propria vita si concentri così tanto su dettagli, informazioni, aspetti secondari, e così poco sulla sua vicenda personale, che è davvero solo abbozzata nei suoi tratti salienti. Certo, è un racconto umoristico e non realistico.
Ma proprio per questo ho trovato un po' un autogoal spendersi così tanto in nomi e nozioni.
Il tutto infatti mal si sposa con la comicità, che ne risulta labile e congegnata in modo strano, quasi bizzarro.
Avresti avuto molti più spunti comici se la narrazione di Chak si fosse concentrata su episodi e storie di vita: potevi sbizzarrirti e andare a briglia sciolta.
Argomento nomi: è vero, quasi sicuramente contengono dei riferimenti divertenti, dialettali?
Ne ho colti pochissimi, forse il solo nome del protagonista, che mi ricorda il piemontese ciaparàt, una delle parole più buffe della mia terra. Che però mal si sposa con il protagonista, che alla fine non è così tanto ciaparàt, anzi, è uno che la fortuna se l'è costruita con sagacia.
Il non aver colto gli altri ha contibuito a far perdere mordente all'umorismo.
Molto curata, fin maniacale, la forma e l'impostazione del racconto.
Sembra soffrire però degli stessi identici problemi di un altro che ho letto oggi: ossessiva ricerca del dettaglio a scapito della comicità, che fa sì sorridere in qualche passaggio, ma non riesce a essere incisiva quanto avrebbe potuto.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Mi ha stufato un po'.
Troppe digressioni: date e calendari, divinità, nomi lunghi da giustificare.
Usare termini moderni (imprenditore, record e altri) in un racconto storico, non mi fanno impazzire.
Mi ha confuso, anche nel mix tra Atzechi e Maya.
Alla prossima.
Troppe digressioni: date e calendari, divinità, nomi lunghi da giustificare.
Usare termini moderni (imprenditore, record e altri) in un racconto storico, non mi fanno impazzire.
Mi ha confuso, anche nel mix tra Atzechi e Maya.
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FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Questo è davvero un racconto strano, diverso e senz'altro inaspettato.
L'idea di base mi piace molto e mi convince, però ci sono alcune pecche che non lo fanno brillare come avrebbe dovuto. Credo che l'abbondanza di nozioni sia una di queste, dove i molti fatti e scene zavorrano un po' il testo, aggiungendo un velo di pesantezza che non giova al racconto.
Eppure la lettura è stata frizzante e scorrevole, allegra come un torrente che scende giù dal monte e rimbalza sulle rocce.
Credo che un'altra cosa che non mi ha convinta del tutto siano state le molte incursioni dell'autore e le sue considerazioni: i glifi davano indicazioni precise e poco colorate, il linguaggio del testo invece comprende molte sfumature intraducibili e che forse a fine lettura arrivano un po' forzate. L'ironia che pervade il racconto invece è ben gestita, sempre presente tanto da delineare in maniera decisa il carattere dell'uomo, lanciando al tempo stesso una frecciatina (nemmeno tanto -ina...) alla società dell'epoca.
Ho molto apprezzato le descrizioni di fatti ed eventi precise e accurate: questo credo che sia il valore aggiunto dell'opera.
L'idea di base mi piace molto e mi convince, però ci sono alcune pecche che non lo fanno brillare come avrebbe dovuto. Credo che l'abbondanza di nozioni sia una di queste, dove i molti fatti e scene zavorrano un po' il testo, aggiungendo un velo di pesantezza che non giova al racconto.
Eppure la lettura è stata frizzante e scorrevole, allegra come un torrente che scende giù dal monte e rimbalza sulle rocce.
Credo che un'altra cosa che non mi ha convinta del tutto siano state le molte incursioni dell'autore e le sue considerazioni: i glifi davano indicazioni precise e poco colorate, il linguaggio del testo invece comprende molte sfumature intraducibili e che forse a fine lettura arrivano un po' forzate. L'ironia che pervade il racconto invece è ben gestita, sempre presente tanto da delineare in maniera decisa il carattere dell'uomo, lanciando al tempo stesso una frecciatina (nemmeno tanto -ina...) alla società dell'epoca.
Ho molto apprezzato le descrizioni di fatti ed eventi precise e accurate: questo credo che sia il valore aggiunto dell'opera.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
I difetti di questo racconto sono due: troppo nozionistico, troppo prolisso.
Questi due difetti compromettono enormemente la lettura che è molto simpatica. Ma ovviamente necessitava qualcosa di più leggero. Invece ci troviamo di fronte a un mattone che ogni tanto strappa una risata.
La cosa dei nomi io me l'ero persa del tutto, cioè non ci ho trovato nessun'attinenza, ma quello è un problema mia quindi non lo prendo come un difetto. Se vuoi però che sia d'effetto forse dovresti rendere i nomi veramente comprensibili per tutti. Questo è solo un consiglio.
Io da semplice utente ti invito a rivedere questo testo e alleggerirlo, perché l'anima comica è veramente spiccata.
Questi due difetti compromettono enormemente la lettura che è molto simpatica. Ma ovviamente necessitava qualcosa di più leggero. Invece ci troviamo di fronte a un mattone che ogni tanto strappa una risata.
La cosa dei nomi io me l'ero persa del tutto, cioè non ci ho trovato nessun'attinenza, ma quello è un problema mia quindi non lo prendo come un difetto. Se vuoi però che sia d'effetto forse dovresti rendere i nomi veramente comprensibili per tutti. Questo è solo un consiglio.
Io da semplice utente ti invito a rivedere questo testo e alleggerirlo, perché l'anima comica è veramente spiccata.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Dal mio racconto, per renderlo più morbido, veritiero e di piacevole lettura, ho tolto date e riferimenti storici, con il risultato legittimo di non farlo accettare dal comitato di lettura.
Bene hai fatto a mantenere le tue scelte, essere imprecisi non paga e se hai esagerato un po', va bene così.
Bene hai fatto a mantenere le tue scelte, essere imprecisi non paga e se hai esagerato un po', va bene così.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Comincio dal titolo: sono di origini pavesi, l’assonanza di Chakparrat con “Va a ciapà i ratt” (Vai a prendere i topi, togliti dai piedi…sinonimo di “Gira l’ulanda” per gli intenditori) non è stata immediata ma poi si è fatta strada. Grande.
Però scambiare al cultura Maya con quella Atzeca… peccato non proprio veniale. Svarione o voluta? Alla fine i Maya arrivano, ma come lontani cugini presso cui rifugiarsi, facendo entrare il paletto luogo, per cui sorge il dubbio che una volta capito l’errore… rifare il tutto sarebbe stato complicato. Magari la Penna ci spiegherà l’arcano di questa scelta strana.
Con i nomi delle divinità, la funzione dimmi di word ha lavorato, più che altro perché, dopo il titolo, volevo capire se era l’atzechizzazione di qualche modo di dire dialettale o meno. Si impara sempre, qui in Rooms.
Un racconto simpatico, con questo stile che fa “trafilare” usanze e leggende antiche nel linguaggio moderno. Ho detto in altro commento che mi piace quando un autore mi parla direttamente, è uno stile particolare che non deve essere esagerato. In questo caso è stato come trovarsi in salotto con un amico che non vedi da anni, che ti deve raccontare proprio ma proprio tutto quello che gli è accaduto nel frattempo, saltando di palo in frasca di mano in mano che ricordi e dettagli si incrociano, per non perdere niente. Oppure assistere a uno spettacolo di Gino Bramieri (gli stagionati capiranno) o di Bergonzoni. Arrivi alla fine che ti sei divertito ma non ricordi quasi niente.
Un lavoro che penso sia stato faticoso comporre per cui complimenti per la fantasia.
Non ho rilevato refusi o inciampi particolare, salvo che mi sono segnata “Su quelle tavolette”, avendo usato queste prima, andrebbe riproposto uguale
Però scambiare al cultura Maya con quella Atzeca… peccato non proprio veniale. Svarione o voluta? Alla fine i Maya arrivano, ma come lontani cugini presso cui rifugiarsi, facendo entrare il paletto luogo, per cui sorge il dubbio che una volta capito l’errore… rifare il tutto sarebbe stato complicato. Magari la Penna ci spiegherà l’arcano di questa scelta strana.
Con i nomi delle divinità, la funzione dimmi di word ha lavorato, più che altro perché, dopo il titolo, volevo capire se era l’atzechizzazione di qualche modo di dire dialettale o meno. Si impara sempre, qui in Rooms.
Un racconto simpatico, con questo stile che fa “trafilare” usanze e leggende antiche nel linguaggio moderno. Ho detto in altro commento che mi piace quando un autore mi parla direttamente, è uno stile particolare che non deve essere esagerato. In questo caso è stato come trovarsi in salotto con un amico che non vedi da anni, che ti deve raccontare proprio ma proprio tutto quello che gli è accaduto nel frattempo, saltando di palo in frasca di mano in mano che ricordi e dettagli si incrociano, per non perdere niente. Oppure assistere a uno spettacolo di Gino Bramieri (gli stagionati capiranno) o di Bergonzoni. Arrivi alla fine che ti sei divertito ma non ricordi quasi niente.
Un lavoro che penso sia stato faticoso comporre per cui complimenti per la fantasia.
Non ho rilevato refusi o inciampi particolare, salvo che mi sono segnata “Su quelle tavolette”, avendo usato queste prima, andrebbe riproposto uguale
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Ti sei divertito, vero? Di' la verità!
Scherzi a parte, un racconto davvero particolare. Un gioco che l'autore fa con i lettori. E in alcuni passaggi funziona, diverte.
In altri un po' meno. Forse troppi nomi, forse troppo lungo. Rischia di rendere meno diretta la lettura, meno piacevole.
Questo mix di nomi reali e nomi inventati, questo utilizzo di termini moderni in un contesto arcaico, mi ha portato a immaginare il tuo protagonista come il personaggio di un Asterix d'oltreoceano. (Asterix e i Maya, chissà, forse una prossima uscita).
La chiusa è forse un po' telefonata ma molto ben fatta.
Un buon lavoro. Mi ha convinto totalmente? Forse no, ma apprezzo molto l'idea e lo sforzo. Chissà se ci rivedremo nella cinquina.
Complimenti.
Grazie.
Scherzi a parte, un racconto davvero particolare. Un gioco che l'autore fa con i lettori. E in alcuni passaggi funziona, diverte.
In altri un po' meno. Forse troppi nomi, forse troppo lungo. Rischia di rendere meno diretta la lettura, meno piacevole.
Questo mix di nomi reali e nomi inventati, questo utilizzo di termini moderni in un contesto arcaico, mi ha portato a immaginare il tuo protagonista come il personaggio di un Asterix d'oltreoceano. (Asterix e i Maya, chissà, forse una prossima uscita).
La chiusa è forse un po' telefonata ma molto ben fatta.
Un buon lavoro. Mi ha convinto totalmente? Forse no, ma apprezzo molto l'idea e lo sforzo. Chissà se ci rivedremo nella cinquina.
Complimenti.
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Ultima modifica di CharAznable il Ven Mar 24, 2023 9:47 am - modificato 1 volta.
CharAznable- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Ciao autore, il tuo racconto risulta brillante per alcuni aspetti, ma lo hai sporcato, passami il termine, e ora sta là, un po' opaco. Lucidarlo è comunque possibile, tipo: asciuga i numerosi riferimenti alla cultura atzeca, levarli no, verrebbe meno il quid comico, ma di sicuro devi renderli più agili, perché i tempi comici sono troppo frenati allo stato attuale. Altra sporcatura è la confusione tra Maya e Atzechi. Ti confesso che se avessi letto questo racconto un mese fa non lo avrei notato, ma il fatto di essermi dovuto documentare per questo step mi ha reso un "esperto" di culture precolombiane e quindi l'errore mi ha colpito in faccia come uno schiaffo, facendomi perdere attenzione. Altra nota dolente sono i nomi, che passano da punto di forza potenziale a debolezza nel momento in cui ti accorgi che sono solo lunghi e non sono un gioco di parole. Ti confesso che a un certo punto mi si stavano annodando la lingua e ho iniziato a saltarli.
La brillantezza del tuo testo è data invece dalla costruzione della storia, come l'hai progettata e il finale, che mi ha davvero divertito, e nel tono colloquiale che hai scelto, con l'inserimento di termini moderni e il rivolgerti a un futuro lettore (cioè io) che mi ha permesso di entrare con facilità nella storia e nella psicologia del personaggio. Menzione d'onore per la comicità macabra, che adoro. A rileggerci!
La brillantezza del tuo testo è data invece dalla costruzione della storia, come l'hai progettata e il finale, che mi ha davvero divertito, e nel tono colloquiale che hai scelto, con l'inserimento di termini moderni e il rivolgerti a un futuro lettore (cioè io) che mi ha permesso di entrare con facilità nella storia e nella psicologia del personaggio. Menzione d'onore per la comicità macabra, che adoro. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Il ritmo è sicuramente buono, ma sinceramente ho capito poco.
Mi sfuggono le battute, troppi calcoli di date, forse perché ho scarsa dimestichezza con la matematica.
Riconosco però il valore della scrittura e il tentativo di strappare una risata.
Sono convinta che, tra nomi inventati e calcoli azzardati, tu ti sia divertit- molto a scrivere questo racconto.
Alla fine è questo che conta.
Mi sfuggono le battute, troppi calcoli di date, forse perché ho scarsa dimestichezza con la matematica.
Riconosco però il valore della scrittura e il tentativo di strappare una risata.
Sono convinta che, tra nomi inventati e calcoli azzardati, tu ti sia divertit- molto a scrivere questo racconto.
Alla fine è questo che conta.
Resdei- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
La difficoltà principale di questo step, indubbiamente, è stata rappresentata dal genere, entrambi non semplici da scrivere e da portare all'attenzione del lettore e anche questo racconto non fa eccezione.
la scelta è caduta sul genere comico ma per quanto mi riguarda purtroppo non è stata centrata in pieno o, per lo meno, a me la comicità non è arrivata.
qualche raro sorriso strappato, certamente, ma nulla di più per un racconto che alla grande fantasia, grosso pregio, unisce una pesantezza di fondo eccessiva causata, tra le altre cose, dai nomi lunghi e impronunciabili degli dei.
Una delle trovate migliori resta quella delle teste rotolate acanto al continuo scalare e discendere la priamide ma devo anche dirti che, purtroppo, problema sicuramente mio, l'immagine della testa del neonato mi ha un po' infastidito.
Dove non c'è nulla da dire è sulla scrittura che, a parte i nomi degli dei, come già detto, è molto brillante, corretta e scorrevole, molto precisa nell'evocare le immagini di ciò che viene descritto; il tutto praticamente senza errori e refusi (ti segnalo solo questa frase)
la scelta è caduta sul genere comico ma per quanto mi riguarda purtroppo non è stata centrata in pieno o, per lo meno, a me la comicità non è arrivata.
qualche raro sorriso strappato, certamente, ma nulla di più per un racconto che alla grande fantasia, grosso pregio, unisce una pesantezza di fondo eccessiva causata, tra le altre cose, dai nomi lunghi e impronunciabili degli dei.
Una delle trovate migliori resta quella delle teste rotolate acanto al continuo scalare e discendere la priamide ma devo anche dirti che, purtroppo, problema sicuramente mio, l'immagine della testa del neonato mi ha un po' infastidito.
Dove non c'è nulla da dire è sulla scrittura che, a parte i nomi degli dei, come già detto, è molto brillante, corretta e scorrevole, molto precisa nell'evocare le immagini di ciò che viene descritto; il tutto praticamente senza errori e refusi (ti segnalo solo questa frase)
Un paio di pignolerie: non sono sicuro che allora si usasse già il termine "imprenditore"; non ho capito come si arrivi a duecentosessanta giorni calcolando venti trecene di dodici giorni.Qui mi sento in dovere di fare una piccola disgressione per voi che mi state leggendo
______________________________________________________
paluca66- Maestro Jedi
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Bella l'idea del terremoto che costringe il protagonista a una prigionia forzata nel corridoio. Ho trovato altri spunti interessanti (il testa e croce, la mamma di facili costumi, il finale) e la scrittura è piacevole. Un pò noiosi ii nomi, come fatto notare in precedenza, i giochi di parole finiscono per togliere più che aggiungere, forse potevi limitarti ai più esilaranti. Alla fine il racconto risulta un pò strano, forse un pò lungo, non proprio comico (per me), ma sicuramente ci hai passato il tuo divertimento nello scriverlo, e visto i paletti, non è poco. Complimenti e grazie!
Marcog- Padawan
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Il racconto fin dall’inizio toglie qualsiasi possibilità di credibilità, e ci fa capire che si tratta di un gioco più che di un racconto quando ci spiega che quei segni che ovviamente sembrano segni colorati sono in realtà i glifi aztechi, e poi prosegue con questo mix di linguaggio moderno e pseudo-mesoamericano che a me ha distaccato molto dall’immersione della lettura. Poi la confusione tra Maya e Aztechi mi ha allontanato ancora di più.
Però ho apprezzato i nome aztechi: all’inizio pensavo che fossero veri. Ho provato anche a interpretarli ma l’impresa era ardua. Anche i sessantamila teschi: chissà se era vero o frutto della fantasia.
Così, tra riferimenti moderni, spiegazioni pseudostoriche, nomi verosimili ma strampalati, invenzioni varie, il racconto si fa leggere con un sorriso.
Però ho apprezzato i nome aztechi: all’inizio pensavo che fossero veri. Ho provato anche a interpretarli ma l’impresa era ardua. Anche i sessantamila teschi: chissà se era vero o frutto della fantasia.
Così, tra riferimenti moderni, spiegazioni pseudostoriche, nomi verosimili ma strampalati, invenzioni varie, il racconto si fa leggere con un sorriso.
SuperGric- Padawan
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Re: Chakparrat. Una storia vera
Ciao, Penna.
Chichén Itzá era una città maya, non atzeca. Quindi non ho capito cosa c'entra, se non per ficcarci dentro uno dei paletti.
Alcuni nomi, in particolare gli Dei, sembrano di fantasia, per pigrizia non sono andato a controllare. Se sono veri, tanto di cappello, ma se sono di fantasia purtroppo non sono riuscito a decifrarli se non qualcuno.
Tante informazioni sono buttate lì e non mi sono sembrate utili per il racconto e nemmeno per tirare fuori un sorriso.
Però i complimenti te li faccio lo stesso, per aver provato a cimentarti nel genere comico. Piaciuti in particolare i riferimenti ai glifi, mi hanno sempre tirato fuori un sorriso.
Gli altri paletti ci sono senza forzature, ho trovato l'anziano calzolaio e il 1520. Mi ha fatto sorridere anche il "non riferimento" al docente di letteratura, anche se non è di letteratura italiana. Anche il corridoio ci sta.
Grazie e alla prossima.
Chichén Itzá era una città maya, non atzeca. Quindi non ho capito cosa c'entra, se non per ficcarci dentro uno dei paletti.
Alcuni nomi, in particolare gli Dei, sembrano di fantasia, per pigrizia non sono andato a controllare. Se sono veri, tanto di cappello, ma se sono di fantasia purtroppo non sono riuscito a decifrarli se non qualcuno.
Tante informazioni sono buttate lì e non mi sono sembrate utili per il racconto e nemmeno per tirare fuori un sorriso.
Però i complimenti te li faccio lo stesso, per aver provato a cimentarti nel genere comico. Piaciuti in particolare i riferimenti ai glifi, mi hanno sempre tirato fuori un sorriso.
Gli altri paletti ci sono senza forzature, ho trovato l'anziano calzolaio e il 1520. Mi ha fatto sorridere anche il "non riferimento" al docente di letteratura, anche se non è di letteratura italiana. Anche il corridoio ci sta.
Grazie e alla prossima.
______________________________________________________
Re: Chakparrat. Una storia vera
Il rotolatore ha un che del giocatore di bowling e i gifli che si prestano a confusione sono divertenti.
Il corridoio è una scusa per scrivere o far trascrivere le proprie memorie e il racconto è un po' strampalato, va a rotta di collo senza preoccuparsi troppo delle formalità e gioca sulle parole, sul loro suono, sulle assonanze.
Ogni tanto si incarta un po' ma ha dell'inventiva, il che dispone comunque il lettore a chiudere un occhio e ad abbondare fin dalle prime righe qualunque pretesa di realismo.
Direi che è un gioco, non si prende sul serio, ma è molto godibile e come umorismo è meno triviale è un po' più macabro e fantasioso rispetto ad altri racconti.
Insomma a me non è spiaciuto affatto.
Il corridoio è una scusa per scrivere o far trascrivere le proprie memorie e il racconto è un po' strampalato, va a rotta di collo senza preoccuparsi troppo delle formalità e gioca sulle parole, sul loro suono, sulle assonanze.
Ogni tanto si incarta un po' ma ha dell'inventiva, il che dispone comunque il lettore a chiudere un occhio e ad abbondare fin dalle prime righe qualunque pretesa di realismo.
Direi che è un gioco, non si prende sul serio, ma è molto godibile e come umorismo è meno triviale è un po' più macabro e fantasioso rispetto ad altri racconti.
Insomma a me non è spiaciuto affatto.
______________________________________________________
Asbottino- Cavaliere Jedi
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Località : Torino
Re: Chakparrat. Una storia vera
Molli Redigano ha scritto:"Qui mi sento in dovere di fare una piccola digressione per voi che mi sta leggendo"
"Qui mi sento in dovere di fare una piccola digressione per voi che mi state leggendo"
"Fin da allora solo loro, il popolino andava giustamente scalzo, avevano ai piedi delle specie di suole in fibra vegetale intrecciata che poi si legava alla caviglia. Una semplice protezione ma anche nemmeno tanto."
Ho riportato il periodo per intero poiché la parte in grassetto non l'ho capita. Mi scuso con l'Autore.
Detto questo, credo che i difetti di questo racconto siano due: primo, l'utilizzo di nomi propri così complicati, da fare invidia a @Midgardsormr. Secondo, il rivolgersi direttamente al lettore, tra l'altro un lettore non contemporaneo alla storia, nemmeno post moderno, ma attuale. Il connubio ci poteva stare, ma non in questa misura: poteva essere il lettore, il protagonista contemporaneo a scavare nel passato e raccontarci questa storia.
Dato che thriller non è, di certo una comicità labile, non universale.
Devo essere sincero, non mi è piaciuto. Forse è uno dei racconti che più soffre dei paletti imposti.
Grazie
Grazie della citazione
Ps per lo scrittore: quando osi con nomi così poco ordinari, osa su tutto. Fuori da tutto, ma a me è piaciuto il racconto.
Midgardsormr- Padawan
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