C’è un sentiero meno battuto di altri a Kryžių Kalnas, dove l’erba prova a spuntare timida e confonde i pochi pellegrini che vi si avventurano. È quello dove croci dimenticate mostrano crepe profonde alla roggia del sud e incrostazioni umide alla chiesa del nord.
Dal braccio di un Cristo senza volto, legata con un rosario arrugginito, pende una bambola sbiadita; la mano di Povilas accarezza la Madonna impolverata. «Ave, Maria piena di grazia, il Signore è con te.»
Con un gesto deciso delle dita, la gamba destra della bambola si spezza a metà della coscia. «E tanto ti dovevo.»
Il lugubre trofeo si perde in un marsupio, grigio come le nuvole della cappa afosa che sovrasta la collina. «Ora vedi di non farmi perdere anche l’altra.»
Povilas gira la sua sedia a rotelle e si allontana in direzione contraria senza nemmeno un segno della croce o un cenno di saluto. La Madonna amputata ha già smesso di oscillare.
Jonas si blocca sulla soglia del salotto. «Cos’hai combinato?» La voce rimbomba nella stanza completamente vuota.
Povilas sparisce in camera da letto. «Mi devo allenare.»
«C’era bisogno di questo casino? Va’ in cortile, no?»
«Fuori è tutto sconnesso, mi serve un parquet.»
Alcuni rumori metallici giungono attraverso il corridoio; poi Povilas riappare con la sedia da gara, entra in salotto e fa’ un’acrobazia sulle rotelle anteriori.
Jonas scuote la testa. «Quello sarebbe fallo, comunque.»
«Fatti i cazzi tuoi!» E ripete l’esibizione.
«Davvero, smettila. Se poi ti viene da rifarlo in gara?»
«E questo?»
Gli basta una spinta per attraversare la stanza da un angolo all’altro, bloccarsi e piroettare su una ruota. Le gomme cigolano e i tonfi rimbombano; Povilas è un fascio di muscoli e nervi.
«Ok, ok. Sei bravo.»
La sedia si blocca davanti a Jonas con un breve fischio.
«Ma i mobili?»
«Li ho regalati a mia sorella; è venuto Petras col suo amico, in mezza giornata han portato via tutto.»
Jonas si massaggia il mento. «Ma ne vale la pena? Dico: il tuo salotto è un fazzoletto, non hai spazio per… niente!»
«Nemmeno per questo?» Esegue di nuovo l’acrobazia vietata.
«Per la miseria, smettila. Ma non ti basta l’allenamento in palestra?»
La ruota della sedia a rotelle fischia e si ferma a pochi millimetri dai piedi di Jonas.
Povilas fulmina l’amico con uno sguardo arrabbiato. «No, che non mi basta! Questo regolamento del cazzo che se vinci la prima partita vai alle Paralimpiadi e se perdi sei fuori, anche se sei la squadra più forte d’Europa… Mi resta qui.» Si indica il pomo d’Adamo.
«Lo sai che non funziona proprio così; e comunque non siamo la nazionale più forte d’Europa.»
«Siamo a tanto così dagli inglesi!» Mostra il pollice e l’indice per significare una breve distanza.
Jonas scuote la testa. «Senti, pensa quello che vuoi; comunque la prima partita è contro la Germania, non c’è…»
Povilas incrocia le braccia. «Dai. Finisci la frase?»
«No, niente.»
«Gliele farò mangiare, le palle, ai tedeschi. Chiaro? Mi costasse la gamba, io a Sidney ci voglio andare.»
Fischio.
Cambio.
Povilas si spinge fuori dal campo bofonchiando qualcosa di irripetibile. Per fortuna i direttori di gara non capiscono il lituano.
Anche il mister bofonchia. «Tieni quelle cazzo di ruote sul parquet, come te lo devo dire? In svedese?»
Povilas risponde urlando una parolaccia in russo, che attira l’attenzione di un arbitro. «Calma, per favore.» Lo ammonisce in inglese.
Si gira. «Quello ce l’ha con me.»
Il compagno non distoglie lo sguardo dal campo. «Dai, concentrati sulla partita.»
«No, dico sul serio; ce l’ha con me. È sempre lui che mi dà fallo.»
Grida secche e cigolii di ruote accompagnano l’azione in corso. «Dà fallo a tutti, dai; è un arbitro.»
Contropiede della Lituania. «Ma a me lo dà sempre.»
Andrius arriva sotto canestro e segna in scioltezza. Urla di gioia.
«Meno nove! Mister, buttami dentro; buttami dentro adesso.»
L’allenatore, senza voltarsi, fa cenno a Povilas di aspettare.
«Ha ragione; riposati, che sei appena uscito.»
Fa oscillare un paio di volte la sedia a rotelle. «Non ce la faccio. Ormai è quasi finita, possiamo farcela se mi butta dentro.» Si morde la mano.
Pochi minuti dopo torna in campo. La squadra lituana è ancora a meno nove dalla Germania. Con poco spazio di manovra in un’azione stanca, Povilas prova il tiro da tre punti.
Fallo.
Povilas si dirige secco verso l’arbitro, sempre quello, parlandogli in russo. «Spiegatemi che cosa ho fatto, adesso. Forza.»
L’allenatore e i compagni provano a fare barriera, ma è inutile.
«Guardate. Guardatela la mia gamba. È morta.» Solleva l’arto ciondolante e lo scuote. «Che fallo posso aver mai fatto?»
L’arbitro osserva impassibile la scena, mentre il giocatore viene allontanato dai membri della sua stessa squadra.
Cambio.
Imprecazioni in lituano.
Vince la Germania.
Povilas apre la porta e fa accomodare l’amico in casa.
Jonas mostra orgoglioso due bottiglie di Kalnapilis. «Fresche di frigo!»
Si accomodano in salotto.
«Oh. Almeno il tavolo è tornato.»
«Fa schifo perfino a mia sorella. Dammi qua.»
Si fa consegnare le bottiglie e ne apre una con i denti, poi si ferma e fissa l’amico negli occhi. «Va’ pure.»
Povilas apre anche l’altra e la restituisce a Jonas. Entrambi mandano giù un lungo sorso.
Il televisore è appoggiato sul videoregistratore che, a sua volta, è su una cassa di legno. Sullo schermo c’è un fermo immagine.
«Ancora lì che lo guardi?»
«L’ho appena acceso, poi hai suonato e sono venuto ad aprirti. È un caso.»
«Dai, fa’ play!»
«Tieni.» Gli porge il telecomando.
Jonas schiaccia il pulsante. «Visto? Hai sollevato il culo dalla sedia.»
«Dai, è un’illusione ottica! Impossibile.»
Torna indietro e fa rivedere la scena. «Ma è ciò che ha notato l’arbitro.»
Povilas rutta. «Quello mi dava fallo per ogni cretinata. La gamba è morta e lo sai.»
«Che poi potevi fare a meno d’incazzarti, tanto la palla mica è entrata.»
Fa spallucce. «Questione di principio.»
«Comunque sono qui per un motivo. Volevo dirti che si è liberato un posto in delegazione.»
«Karolis?»
I due si guardano in un lungo silenzio.
«Mi stai proponendo di prendere il posto di un morto?»
Jonas sospira. «Guardala da un altro punto di vista. E poi non è ancora morto…»
«Visto? Non ci credi neanche tu.»
«Sarà ciò che Dio vuole. Però tu prendila come un’opportunità.»
«Perché io?»
«Perché so che ci tieni.»
«O forse perché sono l’unico abbastanza stronzo da accettare?»
Jonas sorride. «Sì, anche.»
Povilas impreca e butta giù il resto della bottiglia. «Ruolo?»
«Vice del vice dirigente sportivo; praticamente non devi fare altro che firmare scartoffie.»
«Mi farò odiare da tutti.»
«Che ci devi fare a Sidney? Ne vale la pena?»
Povilas rutta. «Sì, penso di sì.»
Non è facile per Povilas girare nell’estrema periferia di Sidney, dato che parla l’inglese poco e male. Il tassista l’ha scaricato a diversi isolati dalla sua destinazione proprio perché non ha compreso bene l’indirizzo. I palazzi in stile contemporaneo non sono poi così diversi dalle strade dei quartieri nuovi di Vilnius; solo la gente è diversa: varie etnie si mescolano e anzi gli europei sembrano in minoranza nel viale dove le persone si assembrano dentro e fuori dai negozi.
La bottega dove Povilas deve entrare ha un gradino da superare. «Ehi, per favore, mi portate uno scivolo?»
Un ragazzino si affaccia; saluta, comprende il problema, scompare e poi riappare con la rampa di metallo. Senza chiedere il permesso, si mette dietro la sedia a rotelle e spinge Povilas all’interno.
«Ok. Bene. Lascia, per favore.»
Un incenso brucia sul tavolino appoggiato alla parete opposta alla vetrina. Alcuni espositori di amuleti e pietre grezze ostacolano il passaggio. Il ragazzino è già sparito. Povilas è l’unico cliente.
Il gestore è un aborigeno sui cinquant’anni. Fa spazio tra la merce in vendita, scusandosi per la confusione.
Povilas attraversa la corsia improvvisata. Rovista nel marsupio grigio, estrae la gamba di plastica e la appoggia sul bancone. «Mi fa male qui.»
Il negoziante osserva il feticcio senza toccarlo. «Dove, esattamente?»
«Dappertutto. A volte qui, poi qui, qui, qui…»
«E la gemella?»
«È morta; non si muove, non la sento.»
L’uomo scuote la testa. «Non posso fare niente. Mi dispiace.»
«Un olio? Una pietra?»
«Vuoi curare il sintomo? O vuoi curare la malattia?»
«La malattia, se possibile.»
Il negoziante estrae un barattolo artigianale da sotto il bancone. «Questo non cura. Questo aiuta.» Finge di aprire il barattolo e inizia a mimare. «Tu respiri. Trattieni. Espiri. Respiri. Trattieni. Espiri. Questo pulisce il cervello dalle distrazioni. Aiuta. Ma non dà la risposta.»
«E a cosa serve?»
«Se fai pulizia nel cervello forse trovi la risposta. Oggi, domani, in un mese, in un anno. Oppure mai.»
Povilas scuote la testa. «Ok, ho capito. No, grazie.»
Gira la sedia e lo sguardo si fissa su un amuleto che ricorda vagamente la forma di una gamba. Si avvicina all’espositore e lo indica. «Questo?»
«Solo robaccia per turisti.»
«Bene; io sono un turista e mi piace la robaccia.»
C’è un sentiero meno battuto di altri a Kryžių Kalnas, dove l’erba prova a spuntare timida e confonde i pochi pellegrini che vi si avventurano. Dal braccio di un Cristo senza volto, legata con un rosario arrugginito, pende una Madonna senza la gamba destra.
Povilas accarezza la bambola di plastica. «Ave, Maria piena di grazia, il Signore è con te.»
Accenna il gesto di spezzare la gamba rimasta, poi si ferma. «Alla fine ti sei presa anche l’altra, eh?»
Dal marsupio grigio estrae un souvenir dall’Australia. «Un pensierino per te.»
Si assicura che l’oggetto sia ben fissato al rosario; forse, se qualcuno guardasse da lontano, potrebbe pensare che si tratti della gamba originale.
«Aveva ragione l’arbitro, quella volta: ho sollevato il culo dalla sedia a rotelle. In fondo le mie gambe non erano poi così morte come credevo.»
Camminando sui monconi delle cosce, Povilas si gira e si allontana senza nemmeno un segno della croce o un cenno di saluto.