Non appena il comandante ebbe dato l’annuncio dell’inizio della discesa, Don Paolo abbandonò lo stato di torpore e si trovò con tutti i sensi all’erta; come tutti coloro poco avvezzi a volare era terrorizzato in particolare da decollo e atterraggio e, superato indenne il primo, ora era arrivato il momento del secondo.
Contrasse le mani sui braccioli e guardò fuori dal finestrino: Creta si estendeva sotto di lui, ma il vero spettacolo erano le coltivazioni ininterrotte di zafferano che coprivano la maggior parte del territorio non urbano.
La scoperta che il virus potesse essere limitato nei suoi effetti devastanti dal consumo regolare di zafferano risaliva a quasi otto anni prima ed aveva permesso di porre fine all’escalation di morti legati alla pandemia in tutto il mondo.
Creta era stata la più lesta a convertire le proprie coltivazioni e nel giro di pochi anni era diventata una delle potenze economiche mondiali.
Tra coloro che avevano colto al volo l’opportunità, c’era Mario, compagno di infanzia di Don Paolo nel paesino perso tra le montagne della bergamasca e imprenditore di successo nella Milano dei primi due decenni del nuovo millennio.
Mario era stato una delle prime vittime del virus che nel giro di pochi mesi gli aveva portato via Giovanna, l’amore della sua vita, lasciandolo solo con la piccola Vanessa di dieci anni; quando, due anni dopo, si era sparsa la voce che lo zafferano potesse arrestare le morti per virus, grazie al suo fiuto imprenditoriale sommato all’impossibilità di continuare a vivere nella città dove tutto gli ricordava la moglie, Mario aveva colto la palla al balzo ed era volato a Creta.
Don Paolo ripensò a tutti i momenti che aveva condiviso con Mario, dalle passeggiate spericolate sui monti da bambini prima e ragazzini poi, ai momenti più importanti della vita di Mario a Milano, la celebrazione del matrimonio con Giovanna e il battesimo di Vanessa.
Erano passati otto anni dall’ultima volta che si erano visti, all’aeroporto di Malpensa, dove, due uomini alla soglia dei cinquant’anni, gli occhi lucidi, avevano a stento trattenuto le lacrime; poi solo tante lettere, come se la tecnologia e il progresso per loro due non fossero mai arrivati; e ora, finalmente, stavano per rivedersi, riabbracciarsi proprio grazie al maledetto virus!
Se era vero che lo zafferano aveva interrotto la lunga serie di morti, quello che non era riuscito a fare era bloccare la circolazione del virus e, soprattutto, gli effetti collaterali una volta guariti: ci volevano in media dai trenta ai quaranta giorni per riprendersi completamente, giorni di quasi assoluto riposo per recuperare un po’ alla volta le forze.
Stavolta era stato Don Paolo a cogliere la palla al balzo per andare a trovare il caro amico a Creta: avrebbe potuto riposare e allo stesso tempo godere della compagnia di Mario e dell’ormai diciottenne figlia Vanessa.
Guardò ancora fuori dal finestrino e sorrise, i pensieri lo avevano distratto per il tempo necessario all’aereo per atterrare senza che lui dovesse ricorrere a un extra di preghiere.
Nell’istante esatto in cui l’aereo di Don Paolo lasciò la pista di decollo, a poco più di millecento miglia di distanza Vanessa si svegliò preda di una strana inquietudine, una sensazione che non riuscì a definire subito con chiarezza, ma che le sembrò molto simile al turbamento.
Si alzò dal letto e si avvicinò allo specchio, attratta da una forza che le parve venire da dentro di lei; rimase qualche istante a osservare il suo volto, poi passò con sensualità la lingua intorno alle labbra.
Con lentezza deliberata si sfilò la camicia da notte rimanendo con i soli slip; i seni le sembrarono più grossi, più “adulti”, i capezzoli erano turgidi, si sentì eccitata come non le era mai accaduto.
Sentì un fremito tra le gambe e si tolse anche gli slip rimanendo nuda: tremava ma non per il freddo.
Osservò ancora per un attimo il suo corpo, i suoi fianchi, le gambe lunghe e muscolose, poi si girò e si stese nuovamente sul letto; dopo qualche istante cominciò ad accarezzarsi con dolcezza come non aveva mai fatto.
«Sono davvero contento di vederti Mario, ti trovo bene»
«Sono sereno Paolo, se è questo che vuoi sapere; felice no, ho smesso di esserlo il giorno in cui il virus si è portato via la mia Giovanna»
«Forse quella di venire qui è stata la decisione migliore, l’unica che avresti potuto prendere in quel momento»
«Ne sono convinto, è stata la scelta migliore anche per Vanessa; devi vederla come è diventata bella, è la vera regina della casa, sarà lei a prendersi cura di te in questo periodo»
«Non ti manca proprio nulla della vita di Milano?»
«Sinceramente no, qui ho potuto mettere le mie capacità imprenditoriali al servizio di quella parte di me che è rimasta da sempre al paese, la nostra parte contadina se mi capisci»
«Oh, certo, ti capisco eccome! È la parte di me che più mi manca in certi momenti; sono i momenti di difficoltà, di buio interiore, questi dieci anni sono stati durissimi»
«Non dirmi che hai perso la Fede…»
«Quella no, ma ti confesso che in qualche momento ho pensato anch’io che il demonio fosse tornato sulla Terra per sfidare l’umanità»
«Se ti può far stare meglio, posso dirti che qui a Creta ho saputo riavvicinarmi in qualche modo alla Fede… È stata Vanessa ad aiutarmi molto in questo senso»
«Ci speravo, ma non avevo il coraggio di chiedertelo»
«Siamo arrivati, quello è il viale che porta all’ingresso; ti piacerà la casa, lo so già, è molto semplice ma non manca di nulla»
«Puoi starne certo»
“Ma soprattutto vedrai che bella la veranda, è la parte che amo di più della casa, mi sono ispirato alle grandi case che vedevamo nei film del vecchio west»
«Non vedo l’ora di sedermi all’imbrunire a fare quattro chiacchiere con te, prendere il fresco sorseggiando una birra gelata… purché non sia allo zafferano» concluse Paolo lasciandosi andare a una bella risata contagiosa.
Niente era stato come lo aveva immaginato, invece.
La risata contagiosa di Don Paolo si spense presto lasciando il posto a un turbamento via via crescente e la causa era soltanto una: Vanessa.
In casa durante tutta la giornata c’erano solo loro due e la presenza della ragazza gli provocava un turbamento nuovo, mai provato prima, del quale non riusciva a spiegarsi il motivo.
Non poteva essere solo il fatto che girasse per casa mezza nuda, spesso coperta solo da minuscole canottiere che nulla nascondevano del seno prosperoso e da mini short che lasciavano ben poco all’immaginazione.
C’era qualcosa in lei che non riusciva a capire; aveva provato più volte a parlarle, a entrare nella sua mente e nel suo cuore ma Vanessa lo fissava con quegli occhi pieni di malizia che lo sfidavano a posare i suoi, di occhi, proprio dove lei sapeva che lui non avrebbe voluto.
Aveva anche pensato di parlarne con Mario la sera ma, lui che era abituato a predicare ogni giorno davanti alla platea di fedeli in chiesa, si sentiva imbarazzato, non trovava le parole per cominciare e così sera dopo sera si limitavano a passare un paio d’ore a ricordare i bei tempi andati.
Prima delle dieci Mario lo salutava, la vita dei campi lo stancava parecchio e la mattina alle sei era già in piedi.
Paolo rimaneva ancora a lungo in veranda a leggere, scrivere, riflettere; ma soprattutto passava molto tempo a pregare il suo Dio affinché lo aiutasse a trovare la strada per penetrare il cuore apparentemente indurito di Vanessa.
Provò anche, un giorno, a raggiungere Mario nei campi, gli sarebbe piaciuto aiutare l’amico a zappare, seminare, concimare, irrigare e, finalmente, raccogliere i frutti del duro lavoro; ma si dovette rendere ben presto conto che era ancora troppo debole e che il caldo lo privava di ogni forza sicché rinunciò il giorno stesso.
Le giornate trascorrevano lente, inesorabilmente uguali l’una all’altra, il suo mondo era ristretto alla grossa sedia in vimini sulla veranda dove leggeva e scriveva per lunghe ore.
Vanessa era una presenza discreta ma continua, trovava spesso una scusa o l’altra per avvicinarlo, stuzzicarlo, tentarlo…
Un pomeriggio, era trascorso ormai un mese dal suo arrivo, dopo aver riposato le solite due ore nella sua camera, scese in veranda per sedersi come sempre a leggere.
Vanessa era lì, stesa su una sdraio a prendere il sole, coperta solo da minuscoli slip.
«Cosa stai facendo?» le chiese con voce dura
«Non lo vedi? Ti stavo aspettando» rispose lei in maniera esageratamente sensuale.
«Non fare la sciocca! E copriti, per favore» stava perdendo la pazienza, ma con sé stesso perché quello che vedeva gli piaceva e non riusciva a nasconderselo.
«Uff, come sei noioso! Come vuoi che prenda il sole se mi copro». E così dicendo si stiracchiò allungando le braccia sopra la testa.
«Dai siediti qui vicino a me» continuò, poi «non ti faccio niente, mica mordo…»
«Vanessa, perché ti comporti così, cosa speri di ottenere?» la sua sembrava quasi un’implorazione.
«In realtà vorrei solo che mi spalmassi la crema, non vorrei proprio scottarmi; ecco, qua, proprio sulle tette, vedi come sono bianche?»
«Vanessa, ora basta, rivestiti e vattene di sopra, per favore! Non mi piace affatto questo gioco.»
«Ehi prete, ma chi ti credi di essere?» ora la voce di lei era cambiata, era improvvisamente dura, diversa «guarda qua, lo so che ti piace; non ho bisogno di te per divertirmi» e così dicendo si infilò una mano nello slip cominciando ad accarezzarsi mentre con l’altra si strizzava un capezzolo.
Don Paolo si accorse di essersi eccitato, rimase come impietrito a guardare per qualche secondo, poi se ne andò accompagnato dalla risata sguaiata di Vanessa.
Quella notte il sonno di Paolo fu assai inquieto.
Un sogno, in particolare, lo turbò, ficcandosi con forza nella sua mente e nella parte più profonda del suo essere e finendo per non abbandonarlo per tutta la giornata successiva.
Si trovava in mezzo a un’immensa distesa di zafferano della quale non si vedeva la fine da nessuna parte.
Percepiva una voce, dolce, sensuale che lo chiamava e lui se ne sentiva allo stesso tempo attratto e terrorizzato.
La voce sembrava avvolgerlo tanto da non fargli capire esattamente da che parte provenisse.
Si muoveva in cerchi concentrici sempre più larghi finché i suoi piedi inciamparono in qualcosa; abbassò lo sguardo e la vide, Vanessa stava distesa, completamente nuda ai suoi piedi, immersa nello splendido viola dei fiori. Voleva scappare ma non riusciva a togliere lo sguardo da quel corpo nudo che lo attirava sempre più verso di sé.
Si accorse che anche lui era nudo, eccitato e mentre si piegava su quel corpo così attraente, mentre con le mani cominciava ad accarezzarla sui seni, con la coda dell’occhio intravide un serpente che usciva dal sesso di Vanessa.
Si svegliò di soprassalto, bagnato fradicio di sudore, ma ciò che lo turbò fu di scoprirsi bagnato tra le gambe laddove l’eccitazione non era ancora affatto scomparsa.
Il giorno dopo Paolo si alzò presto e convinse Mario che ormai sentiva forze sufficienti per accompagnarlo nei campi.
«Tra una settimana devo tornare in Italia ed è bene che io verifichi prima come sto veramente» disse per convincere l’amico.
Voleva metter quanto più spazio possibile tra sé e Vanessa, sentiva che quella ragazza era pericolosa, aveva paura di non potersi più fidare soltanto della sua forza di volontà.
Fu una giornata faticosissima, in più di un momento dovette cercare riparo all’ombra, sedersi e riprendere fiato, ma arrivò fino in fondo e la sera alle dieci stravolto di stanchezza si ritirò come l’amico.
Il giorno dopo andò un po’ meglio e poi sempre di più così da riuscire a rendersi utile e trascorrere gli ultimi dieci gironi di permanenza a Creta accanto all’amico a coltivare la terra e a ritrovare quella serenità che gli era sembrato di aver perso.
La sera, tornati a casa, dopo la doccia, lui e Mario si concedevano una birra prima di cena sonnecchiando in veranda e altrettanto facevano subito dopo cena; Vanessa sembrava ignorarlo quasi ostentatamente e a lui, tutto sommato, la cosa non dispiaceva affatto.
Il giorno prima della partenza lo trascorse a preparare i suoi bagagli e le cose per il viaggio e Vanessa non si fece vedere se non per la mezz’ora che trascorsero pranzando in religioso silenzio.
Dormivano tutti e Paolo si sedette per l’ultima sera sulla sua sedia a godersi il fresco della veranda sotto un magnifico cielo stellato.
Provò a pensare a quello che lo aspettava al suo rientro a Milano, a organizzare mentalmente il lavoro dei giorni successivi ma gli occhi e, forse, il suo cuore erano pieni di Vanessa.
Dopo il sogno della settimana prima continuava a immaginarla nuda e a provare il desiderio di stringerla tra le braccia; la osservava quando credeva di non essere visto, la sbirciava nella scollatura, si sentiva come un adolescente che scopriva per la prima volta i segreti del sesso.
Immerso nei suoi sogni non si accorse dei passi che si avvicinarono fino a che non sentì le mani di lei appoggiarsi alle sue spalle.
Rimase un attimo senza fiato e poi si voltò, Vanessa era in piedi dietro di lui, scalza, coperta solo da una sottile camicia da notte trasparente.
«Vanessa non possiamo…» sussurrò, più a sé stesso che alla ragazza.
«Don Paolo! Non possiamo… cosa?»
Si alzò e provò ad allontanarsi da lei, da quel corpo che lo attraeva con una forza irresistibile.
Vanessa lo guardava, i suoi occhi sembravano ancora più grandi del solito, le labbra semi aperte chiedevano solo di essere baciate.
Paolo si girò e chiuse gli occhi per scacciare quella visione ma lei lo abbracciò da dietro e lui sentì i suoi seni appoggiati alla schiena.
«Vattene Vanessa, ti prego. Io non posso…»
«Non puoi o non vuoi?» gli alitò lei nell’orecchio mentre con le mani lo accarezzava sul torace.
«Vanessa, sono un sacerdote, lo sai.»
«È proprio questo che mi eccita tantissimo, nessuno lo verrà mai a sapere.»
In un ultimo sforzo di volontà si staccò da lei e allontanandosi le disse «vado a dormire, Vanessa, buonanotte.»
Per tutta risposta lei lasciò cadere la camicia da notte e con voce improvvisamente dura sibilò: «dimmi che non ti piace quello che vedi e io ti lascio andare.»
Paolo si sentì sopraffatto da quel corpo nudo che gli si offriva senza difese e cedette.
«Oh Vanessa, che cosa mi fai fare» disse quasi rivolto al cielo mentre la stringeva tra le braccia baciando finalmente quella splendida bocca.
La baciò, sentì le sue labbra che si schiudevano, sentì le loro lingue intrecciarsi, sentì che era eccitatissimo.
Poi lei lo spinse sulla sedia, la sua sedia, gli tolse la maglietta, e cominciò a baciarlo sulle spalle, sul torace, giù fino all’ombelico.
Paolo chiuse gli occhi e si abbandonò definitivamente al piacere.
Vanessa gli abbassò gli slip e nel momento in cui si chinò su di lui, Paolo aprì gli occhi e la vide: dalle labbra della ragazza usciva una lingua biforcuta che stava per avvolgergli il sesso.
«Vade retro Satana! …
… ho gridato con quanto fiato avevo in gola spingendo via Vanessa mentre saltavo in piedi e mi rivestivo in tutta fretta.
Un attimo prima di rientrare in casa mi sono voltato e l’ho vista: era a terra, rannicchiata, piangeva; si copriva come se improvvisamente si vergognasse a farsi vedere nuda, era una Vanessa che non avevo ancora conosciuto in quei giorni. Era giovane e indifesa, mi sono avvicinato, l’ho aiutata a rialzarsi e a coprirsi con la camicia da notte. In lei non c’era più traccia di sensualità, di malizia era una ragazzina in cerca di aiuto.
Vede, Monsignore, credo davvero che il demonio, il tentatore sia tornato e abbia approfittato della figlia del mio amico per mettermi alla prova.»
«Paolo, fai attenzione che la superbia è un peccato grave; pensi davvero che il maligno sceglierebbe uno come te per manifestarsi dopo due millenni?»
«Anch’io ci ho pensato e mi sembrava impossibile, ma poi ho messo insieme i pezzi come in un puzzle.»
«Sentiamo, che figura è emersa dal tuo puzzle» chiese il Monsignore sospirando.
«Ho pensato ai quaranta giorni, ho pensato al deserto delle mie giornate cretesi, ho pensato che Vanessa mi ha messo alla prova in tre occasioni, anche se una volta in sogno…».
«Paolo, la fantasia ti ha portato lontano, sei sicuro di non aver un po’ colorato tutta la storia per giustificare il tuo cedimento sessuale?» ora il Monsignore lo stava guardando in modo strano; se non avesse conosciuto fin troppo bene chi aveva davanti, Paolo avrebbe giurato di vedere della malizia nel suo sguardo.
«Monsignore, non saprei, sicuramente ero e sono tutt’ora, molto confuso; vorrei che mi aiutasse a capire, a dare un senso a tutta questa vicenda» Paolo stava chiedendo aiuto.
«Vedi Paolo, non dobbiamo mai dimenticarci che siamo uomini prima che sacerdoti ed è normale che ogni tanto la carne reclami la sua parte; e ti dirò di più, non ci sarebbe niente di male se ogni tanto tu cedessi e ti lasciassi andare. Paolo, le donne non sono il male.»
Paolo non osava guardare il Monsignore negli occhi, aveva paura di ciò che ci avrebbe visto, fece per alzarsi e per congedarsi.
«Farò tesoro dei suoi consigli, Monsignore» disse inchinandosi. «Ora, se permette, vorrei congedarmi, sono molto stanco».
«Vai Paolo, riposati. E segui il tuo istinto ogni tanto…»
Poi, mentre Paolo apriva la porta, aggiunse «e chi l’ha detto che il demonio non esiste» concludendo con una risata che suonò terrificante alle orecchie di Don Paolo.
Era già mezzo fuori dalla stanza quando cedette all’impulso di voltarsi, il Monsignore stava ancora ridendo, i suoi occhi erano rossi, fiammeggianti, ma ciò che colpì Don Paolo fu la coda che spuntava da sotto la veste e si attorcigliava alla gamba della sedia.