Batteva i tacchi degli scarponi sui gradini della veranda per staccare la terra ghiacciata, quando vide arrivare la ragazza. L'enorme cappotto rosso, il cappello calcato sugli occhi, le trecce bionde che dondolavano al ritmo del passo cadenzato. Teneva il bambino per mano e quasi lo tirava a forza, perché quello s'incantava a ogni cosa che vedeva: ai ghiaccioli sui rami, ai campi spolverati di nebbia, alle bacche rosse che macchiavano come una malattia i rovi lungo il corso del fiume.
Yuri salì i gradini e si sedette sul dondolo accanto alla porta di casa. La ragazza non mollava il passo neppure nel leggero tratto di salita che portava allo sterrato dove si fermavano i bus diretti a Vovčans'k. Yuri si accese una sigaretta e cominciò a dondolarsi. Non si preoccupava di farsi notare mentre li guardava, dopotutto a Ohirtseve bene o male ci si conosceva tutti, una faccia nuova era un avvenimento e un po' di curiosità era d'obbligo.
La ragazza raggiunse lo sterrato, che stava a non più di dieci metri da casa di Yuri, e si piazzò sotto al palo della fermata, con le mani sui fianchi e gli occhi al cartello degli orari. Il bambino intanto si mise a calciare le pietre e a correre in cerchio, tenendosi con le mani il paraorecchie di pelo per non farlo cadere. Gli colava un rivoletto di muco dal naso, aveva gli occhi a mandorla e la carnagione scura. La ragazza invece era pallida, pareva di porcellana. Si mise a battere il piede con impazienza e a sbuffare, creando piccole nuvolette di vapore che salivano verso il cielo bianco.
Yuri spense la sigaretta e si batté le mani sulle cosce, prima di alzarsi. L'assito della veranda scricchiolò sotto i suoi passi. Si affacciò, tenendo i gomiti poggiati sulla ringhiera di legno dipinto, le dita intrecciate. Qualche fiocco cominciò a cadere e gli si sciolse sui guanti.
Il bambino si accorse della neve, tirò fuori la lingua e tenendo gli occhi chiusi alzò il viso al cielo.
"Il bus non arriverà prima di questa sera" disse Yuri. La ragazza si girò a guardarlo e per la prima volta poté vederla bene in viso. Aveva degli enormi occhi verde scuro, come uno stagno profondo, irrequieti, che sulla pelle chiara risaltavano come mosche agonizzanti in una tazza di latte. Poteva avere sedici anni al massimo; un viso stretto e delicato, con gli zigomi alti, arrossati dal freddo. Era bella, pareva finta. Yuri si passò la lingua sulle labbra.
"Lo vedo da me" disse la ragazza, indicando il cartello. Non aveva inflessione e parlava con una dizione perfetta, come un'attrice che fa una televendita.
"Quattro ore, su per giù" aggiunse Yuri, facendo finta di controllare l'orologio, "e fra due sarà buio pesto."
Il bambino riaprì gli occhi e lo fissò. Gli si fece più vicino, lasciando lo sterrato e camminando per qualche passo nel sentiero che portava fino ai gradini della veranda. Ogni passo era come se rompesse del vetro sottile, per via del velo di fango ghiacciato che ricopriva la strada. Si fermò così vicino che Yuri poté quasi contare le lentiggini che gli punteggiavano il viso, nere sulla carnagione scura, come una un cielo stellato al negativo. Il piccolo si mise ad annusare l'aria, arricciando il naso. Schiuse le labbra e piano un sorriso sbilenco gli si dipinse in viso. Annuì soddisfatto.
Non doveva avere tutte le rotelle a posto, pensò Yuri.
"Perché non venite dentro" disse, "sta cominciando a nevicare, tra non molto si ghiaccerà."
La ragazza si diede un'occhiata in giro: la strada era deserta. Le case, tutte in fila sul lato sinistro della carreggiata, parevano vuote. Sulla destra il fiume e i campi dissodati, grigi di brina, che si estendevano per centinaia di metri, fino a dove la nebbia permetteva di vedere. Oltre la nebbia, il confine russo e gli aloni di luce degli accampamenti dei soldati, fumo colorato nella foschia, come nebulose interstellari.
"Perché no" disse la ragazza.
La neve cominciò a cadere più fitta.
Yuri sorrise, seguì con gli occhi lucidi la ragazza che gli veniva incontro, che prendeva per mano il bambino, che faceva gli scalini della veranda. Non poteva credere che fosse stato così semplice convincerla. Il cuore accelerò di qualche battito, la bocca gli si riempì di saliva.
Li fece salire sulla veranda e poi entrare in casa, dove si accomodarono in cucina. Nella stufa il fuoco languiva. Era stato fuori parecchio, in giro per i campi e a controllare le buche, e logicamente sua madre, ormai invalida, non aveva potuto aggiungere legna.
Riattizzò il fuoco e andò nella stanza accanto alla cucina, dove sua madre dormiva con la bocca spalancata.
Richiuse la porta della camera e si sfregò le mani.
"Vi andrebbe del tè?" chiese, sistemando il bollitore sul fuoco.
La ragazza annuì e si tolse il cappotto. Vestiva un maglioncino a coste, nere e bianche, e una gonna pesante, lunga fino alle caviglie. Si mise comoda sul divano, mentre il bambino curiosava in giro, fermandosi un poco a battere col dito sul vetro della palla del pesce rosso o schiacciando qualche tasto a caso del vecchio pianoforte a muro che torreggiava sotto la finestra.
"Mi chiamo Yuri" disse intanto il padrone di casa, allungando una grossa mano verso la ragazza, che la strinse, ma non disse nulla. "E voi… i vostri nomi?" la incoraggiò Yuri.
"No" disse infine lei, mentre strizzava gli occhi per vedere fuori dalla finestra.
Yuri piegò il capo, incerto su come continuare la conversazione.
"Ma se non…" balbettò.
"Si stanno per muovere" lo interruppe la ragazza, indicando col mento la finestra, "le truppe sovietiche."
Yuri si grattò il mento.
"Sono più di un anno che stanno fermi là" disse.
"Li abbiamo sentiti. Si muoveranno all'alba. Domani."
"Certo, come no" ridacchiò Yuri.
"La strada dal confine passa proprio qua vicino. Non hai paura?"
Yuri alzò le spalle.
"Ho paura che passino dai campi, certo, quelli che vedi, dal fiume fino a quel boschetto, poco prima del confine, quelli sono i miei. Miglio, sorgo e zafferano. E quel casolare, là, anche quello è mio, è dove tengo i mezzi agricoli. E sì, se dovessero passare da là di sicuro mi causerebbero dei danni."
"Presto arriverà la fine del mondo e tu sei preoccupato per un trattore?"
"La guerra è un problema solo per chi ha una morale" bofonchiò Yuri, ritornando verso il bollitore, che aveva iniziato a fischiare.
"Hai ragione" annuì convinta la ragazza, "per gli altri, gli immorali, ci sono solo opportunità da cogliere. Per questo siamo qua."
Yuri scosse il capo. Quella ragazzina che parlava come un'adulta cominciava ad annoiarlo. Versò il tè e ci mischiò mezza bustina di sonnifero.
Lo servì sul tavolino rotondo al centro della cucina. Il bambino afferrò la tazza e buttò giù il tè bollente senza respirare, in un'unica sorsata. Sorrise, mostrando una fila di dentini storti e gialli, poi tornò a disturbare il pesce rosso.
La ragazza invece aggiunse tre zollette di zucchero al suo e cominciò a girarlo con calma.
Yuri si mise seduto nella poltrona con un caffè amaro e gli occhi socchiusi, in attesa.
“Da dove venite?” chiese, “se non sono indiscreto.”
“Posso suonarlo?” disse invece la ragazza, indicando il piano con il cucchiaino.
“Certo” rispose Yuri, “sarà un po’ scordato, lo suonava mia madre. Ma bevi, altrimenti si fredda…” aggiunse, sforzandosi di sorridere.
Fuori, il sole stava calando e tutto si faceva cobalto e azzurro scuro.
La ragazza diede due sorsate al tè e si alzò, lisciandosi la pesante gonna di panno con due colpi secchi delle mani. Aveva dita lunghe e affusolate.
Il bambino intanto aveva smesso di giocare col pesce rosso. Yuri lo seguì con la coda dell’occhio e lo vide avvicinarsi al crocifisso appeso a destra dell’uscio. Gli sembrò ringhiasse, non lo vedeva in viso, ma sentiva un sibilo, un grattare gutturale. Chissà che problemi aveva, povera creatura.
Nel frattempo la ragazza si era accomodata nello sgabello del pianoforte e si era buttata le trecce dietro la schiena. Iniziò a suonare, forse una Polacca di Chopin o qualcosa di simile. Una melodia triste, in ogni caso.
“Non veniamo da un posto preciso” disse, senza smettere di suonare, “stiamo sempre in giro. Nomadi. Una parola che ci identifica potrebbe essere nomadi.”
“Siete parenti?” urlò Yuri, per farsi sentire sopra la musica.
“In un certo senso” annuì la ragazza e smise di suonare.
Il bambino intanto aveva iniziato a barcollare e a sbadigliare.
“Il piccolo ha sonno” disse Yuri, “posso farlo riposare nella camera di mia madre, c’è un letto singolo.”
La ragazza annuì, si rimise a sedere sul divano e accavallò le gambe, scoprendo le caviglie.
Yuri deglutì e accompagnò il bambino nella stanza della madre. La vecchia grugnì quando entrarono, ma non si svegliò, né cambiò posizione. C’era una fitta penombra nella camera, era accesa solo una lucina sul comodino, e odore di disinfettante e muffa. Il bambino si mise a sniffare l’aria, come un cane. E come un cane fissò la donna addormentata, socchiudendo gli occhi e snudando i denti. Yuri lo mise a letto e lo coprì con due pesanti coperte di lana grezza.
“A dopo” gli disse. Uscì e chiuse la porta a chiave.
Quando tornò in cucina trovò la ragazza sdraiata sul divano, con le gambe raccolte e la testa sul bracciolo. Da fuori si sentivano rumori sordi, come schiocchi di frusta.
“Si muovono, come avevo detto” disse la ragazza, indicando la finestra, “i russi.”
“Già, i russi, che Dio li fulmini” annuì Yuri. Sua madre era sovietica, mentre suo padre ucraino. E sì, aveva tutto il diritto di odiarli, i russi.
“Dio…” bofonchiò la ragazza, “questa è buona…” e ridacchiò, chiudendo gli occhi.
Yuri si pulì le labbra con il dorso della mano, perché una leggera bava aveva cominciato a colare dagli angoli della bocca. Sentiva il cuore accelerare e l’eccitazione salire, le narici dilatate, le mani umide. Si costrinse ad aspettare ancora un poco. Diede da mangiare al pesce rosso e come sempre faceva assaggiò qualche fiocco di mangime, che sapeva di alto mare e lische dimenticate al sole.
Si prese tutto il tempo che gli serviva, non aveva fretta: quando per tutta la vita devi stare dietro ai ritmi lenti della natura impari il valore e la gioia dell’attesa.
Si inumidì le labbra e si inginocchiò davanti alla ragazza distesa. Piano, con le dita tozze, piene di calli e geloni, le fece scorrere la gonna sulle gambe, fino a scoprire le cosce. Le sfiorò le ginocchia, che sembravano di madreperla, le sottili vene azzurre in trasparenza, la baciò, inspirò il suo odore, che era fresco, di sottobosco umido.
Dovette asciugarsi gli occhi, che si erano riempiti di lacrime. Si era commosso, si commuoveva sempre, non sapeva perché.
Sentì un botto. Silenzio, un altro tonfo. Alzò il viso, si guardò attorno, inquieto. La casa cominciò a tremare, dalle fondamenta, una vibrazione intensa, come un diapason. Un vaso si rovesciò e cadde dalla credenza di legno grezzo. L’acqua nella boccia del pesce rosso si agitò e creò un’onda concentrica. I vetri delle finestre risuonarono di un fischio acuto. Yuri si alzò e faticò a tenere l’equilibrio. Non era una zona di terremoti e non sapeva che fare, forse sarebbe dovuto uscire, andare in strada… Fu allora che la porta della camera di sua madre si crepò, una ferita nel legno, che partì dalla base e si inerpicò fino alla cima. La porta pulsava, come se la stanza stesse respirando, e d'improvviso esplose.
I frammenti e le schegge invasero la cucina, qualcuna colpì il viso di Yuri, che sentì subito il calore del sangue sugli zigomi e sulle labbra.
Infine, tutto si fermò.
Dei passi, leggeri, il bambino uscì dallo squarcio nella porta. Si stava leccando le dita, succhiandole con gusto. Dietro di lui, per quel poco che Yuri riuscì a vedere nella luce fioca della camera, il corpo di sua madre: carbonizzato, disteso rigido e nero sul letto, nudo, le coperte a terra, i gomiti e le ginocchia piegati in maniera innaturale, al contrario.
“Era buona?” chiese la ragazza, che intanto si era rimessa a sedere sul divano.
“Pensavo meglio” disse il bambino, che parlava per la prima volta, con lo stesso tono neutro, privo di inflessioni, della ragazza. “Violenza domestica, tanta, Yuri ne sa qualcosa, ma roba vecchia. Rancida.”
La ragazza annuì e rivolse lo sguardo a Yuri, che si teneva con la schiena al muro. Ansimava, il sangue gli rigava il viso e il labbro spaccato bruciava.
Il bambino gli si avvicinò e allungò una mano. Yuri si scosse, provò a colpirlo con un pugno, ma il piccolo fu svelto, si piegò, sembrò quasi cambiare forma e dimensioni, come fosse di gelatina, alzò un dito, gli sfiorò l’avambraccio e tutto sfumò in una nebbia scura.
Quando riprese conoscenza era legato stretto, mani e piedi, in posizione fetale sul divano. Vedeva offuscato, ma distinse lo stesso la ragazza e il bambino che trasportavano il pianoforte, facendolo strisciare sul pavimento, fino a portarlo fuori dalla stanza, sulla veranda.
“Anche questo” disse il bambino, afferrando la boccia del pesce rosso.
Yuri tossì e cercò di mettersi a sedere. La corda, quella con l’anima d’acciaio che usava per legare i rami degli alberi, era molto stretta e gli lacerava la pelle. Evitò di fare movimenti bruschi, anche perché la testa gli doleva come dopo una sbornia.
"Cosa state facendo?" biascicò. Sentiva la lingua enorme, calda.
"Portiamo fuori le cose che ci dispiacerebbe rompere" rispose la ragazza, come se avesse detto un'ovvietà.
Yuri mugugnò, ingoiò un rigurgito acido e cercò di regolare il respiro.
"Vi prego…" iniziò.
La ragazza lo raggiunse e lo zittì, con un dito sulle labbra.
"No" disse.
In profondità, negli occhi della ragazza, iniziò a muoversi qualcosa, qualcosa di sottile, come tenie. Piano, iniziò a sorridere, sempre di più, snudando i denti, con la bocca sempre più larga, fino a lacerarsi gli angoli, strappandosi la pelle. Qualche goccia di sangue nero le colò fino al mento e lo leccò, con gli occhi allegri.
Il bambino intanto era salito sul divano, si era seduto di fianco a Yuri e gli stava dando delle piccole pacche sulla spalla.
"Su, coraggio" gli stava dicendo.
"Perché…" piagnucolò Yuri.
"Abbiamo fame" rispose la ragazza, alzando le spalle, "e più una persona è malvagia, più è saporita."
Il bambino si mise a sniffare per aria.
"Hanno un buon odore" sentenziò, "l'ho sentito da chilometri, nel vento, il tuo profumo. Dai, facci dare un'occhiata, sono curioso di sapere cosa nascondi."
Si mise in piedi e posò una mano sulla tempia di Yuri, premendo un poco. Si sentì un lieve ronzio, ma Yuri non capì se era nella stanza o solo nella sua testa. Cercò di scostarsi, ma era come paralizzato.
Davanti ai suoi occhi cominciarono a scorrere le immagini della sua vita, non molte a dire il vero, solo alcune, ben selezionate. Come quelle del suo incontro con la bambina di Kiev, Katerina. I suoi ricciolo biondi tra le mani, le sue mani tra le gambe di lei, lei che urlava, lui che urlava… le aveva sbattuto la testa contro il muro, là, dove ora c'era uno specchio. Era stata la prima buca che aveva scavato, dietro il capanno dei mezzi, appena prima del campo di zafferano. Era primavera inoltrata, e quell'odore, così erotico, e tutto quell'indaco…
Poi c'era stata Helena e poi Nadja e poi quella ragazza scandinava, non ricordava il nome, forse non glielo aveva neppure chiesto. Le buche numero due, tre, quattro.
"Ecco perché eri preoccupato che i blindati passassero per i tuoi terreni" annuì la ragazza, "avevi paura che trovassero i corpi."
"Birbantello" disse il bambino, rimettendosi seduto.
Yuri vomitò. Era come disperso in mare, su una zattera in balia delle onde. Tutto cominciò a vorticare e a vibrare. Anche il suo cranio vibrava, sempre più forte. Yuri serrò i denti, ma il tremore aumentò ancora e sentì i molari frantumarsi, le gengive esplodere. La bocca gli si riempì di sangue. Il dolore lo colpì improvviso, nella mascella e poi su fino alle orecchie. S'irrigidì e gridò. Le corde si tesero e gli penetrarono sotto pelle, ma non riusciva a fermarsi, non era più padrone del suo corpo. Al contempo era però lucido e cosciente. Vedeva la cucina, la cara vecchia cucina di casa sua, scossa da vibrazioni fortissime, andare in frantumi, le pareti creparsi, i mobili di legno massello sbriciolarsi, i vetri esplodere. In mezzo a quel delirio gli unici che stavano fermi, come se nulla stesse accadendo, erano la ragazza e il bambino, che si erano sistemati di fronte a lui e lo osservavano, con la bocca dischiusa.
Poi arrivò il calore, dallo stomaco, intenso, atroce. Si sentiva bruciare le budella, i polmoni. L'alito era incandescente e l'odore era quello inconfondibile della carne arrosto. Yuri urlò ancora, ma ormai nessun suono usciva più dalla sua bocca. Stese gli arti, sommerso dal dolore, sentì lacerarsi i tendini e le articolazioni, i muscoli stracciarsi, poi fu solo oblio.
Ed eccola, la fine del mondo.
La ragazza e il bambino furono svegliati dal rumore dei cingoli e dalle urla dei soldati russi. Uscirono sulla veranda, per godersi lo spettacolo.
La ragazza approfittò del fatto che il pianoforte fosse là e si mise a suonare, il bambino si dondolava sulla sedia a dondolo. Il pesce rosso, dimenticato tutta la notte fuori, al gelo, galleggiava rovesciato nella boccia, la pancia a sfiorare il sottile strato di ghiaccio che si era formato sulla superficie dell'acqua.
L'alba, d'un rosa antico, colorava la neve e si rifletteva sugli occhiali da sole dei soldati.
La ragazza scelse di suonare Mozart, come sempre faceva quando voleva festeggiare. Ci sarebbe stato da divertirsi nei giorni a venire.
Un carro scoperto passò a pochi metri dalla veranda, alcuni soldati la videro e la salutarono. Uno di loro fischiò e gli altri risero. Lei si accorse di essere uscita vestita solo con il maglioncino e gli slip. Lei e il bambino avevano dormito seminudi, perché nella casa faceva ancora caldo, così tanto che la neve tutt'attorno si era sciolta, formando ampie pozze fangose. Sorrise sorniona e mandò un bacio verso i militari.
Poco lontano si udirono degli spari e un cane uggiolare. Il bambino scoppiò a ridere.
"Che buon odore" disse.
La guerra, la madre di tutte le scorpacciate.
Sì, li aspettavano degli splendidi e prolifici giorni di caccia.