La falesia sulla quale era posto il monastero spiccava tra le altre della meteora fino a pungere il cielo turchese. La roccia frastagliata e bruna, con un gioco di luci e ombre, creava un particolare effetto ottico che aveva le sembianze di un volto di donna. Nelle giornate più cupe il viso pareva cambiare espressione, mostrando un ghigno potente, beffardo e presuntuoso.
La struttura a picco sulla roccia fu abbandonata dai monaci molto tempo fa, tant’è che il muschio ricopriva a chiazze le pareti sgretolate delle costruzioni e le tegole dei tetti, sconnesse, creavano anfratti irregolari diventati il nido ideale dei volatili della zona.
Tutto era avvolto dal silenzio della natura selvaggia e incontaminata e soltanto al crepuscolo una tenue luce illuminava le finestre quadrate nella dimora principale della vecchia badia.
Kyros era un giovane di bell’aspetto, alto e dalle braccia forti, che fino a quel momento della sua esistenza aveva passato il tempo a spaccarsi la schiena nel piccolo podere che coltivava insieme ai suoi genitori. Una famiglia di contadini che aveva vissuto in una sorta di bolla antica, dove la modernità faceva fatica a trovare spazio. Eppure, il ragazzo s’era aperto al mondo da autodidatta: dopo la scuola dell’obbligo, la sua curiosità e interesse per la conoscenza l’avevano portato ad appassionarsi a svariati argomenti, un lavoro mentale e un passatempo che avevano affinato un’intelligenza innata. Una passione pura che lo faceva ragionare di continuo, anche sulla propria vita di tutti i giorni, mantenendo i piedi ben saldi al terreno: ecco come aveva constatato, dopo averci pensato a lungo, che con il suo piccolo podere, una volta che i suoi genitori fossero passati a miglior vita, avrebbe campato ben poco.
Seduto al caffè del borgo dove abitava, lesse un annuncio sul quotidiano locale. La nuova proprietaria del monastero di Aghia cercava un giardiniere specializzato che potesse mandare avanti il giardino e coltivare l’orto della casa.
“Non credevo che ad Aghia abitasse qualcuno” disse fra sé. Giunse infondo all’annuncio e strabuzzò gli occhi. Sorpreso dalla cifra della paga che veniva offerta bevve un sorso del caffè dimenticandosi del fondo depositato, cosa che lo fece tossire per qualche minuto, come se avesse ingoiato sabbia.
Era un’occasione che non poteva perdere. Non poteva di certo definirsi un giardiniere specializzato, ma senz’altro era un contadino evoluto, che sapeva ben trattare le piante di un orto, potare gli alberi da frutta e maneggiare con destrezza gli attrezzi da lavoro. Quanto ai fiori e alle piante ornamentali, della cui cura sapeva poco e niente, non si preoccupava, il tempo e gli errori sarebbero stati i suoi maestri.
Ciò che più lo rendeva dubbioso circa quell’offerta di lavoro, era il fatto che non ci fosse un numero di telefono da contattare per concordare un colloquio. “Presentarsi presso il monastero di Aghia prima del crepuscolo e soltanto in caso di tempo sereno. No perditempo” recitava l’ultima parte dell’annuncio.
“La padrona di casa soffrirà il caldo” pensò. “Col tempo buono, un bel giardino e un orto che si rispetti si presentano meglio” si disse ancora sorridendo.
Il giorno seguente, al crepuscolo, Kyros era alle pendici della rocca sulla quale si trovava il monastero. Davanti a lui, lo aspettava una ripida salita fatta da centinaia di gradini scavati nella roccia, stretti e scivolosi. Non era tipo da spaventarsi facilmente ma quell’ambiente lo inquietava. Si sentiva osservato.
Arrivò in cima alla scalinata affannato e con la fronte madida di sudore. Il cancello d’entrata in ferro battuto era arrugginito e le colonne che lo sorreggevano erano vestite di rovi. Il sole, non ancora sceso dietro il pendio, gli sbatteva in faccia non permettendogli di vedere troppo oltre il cancello. Non c’era un campanello, né una campana a corda.
“C’è nessuno?” gridò timidamente. Solo un corvo gli rispose da uno dei tetti sopra al chiostro. Si fece coraggio e spinse il cancello che subito s’aprì scricchiolando.
Lo chiuse dietro di sé e prima di girarsi verso il cortile una voce di donna lo fece sobbalzare: “Dovrai dargli un poco d’olio oltre a riverniciarlo tutto.”
“Buonasera!” esclamò Kyros con voce sorpresa. Deglutì.
“Mi scuso se ti ho spaventato, non era mia intenzione. Mi chiamo Stygio e da qualche tempo sono la padrona di questa casa” disse la donna che aveva di fronte. Il suo volto aveva un pallore cadaverico, penetranti occhi di ghiaccio e lunghi capelli neri. Indossava una tunica color porpora, fasciata in vita da un cinturone di cuoio. Nonostante l’abbigliamento insolito, almeno così parve al giovane contadino, quella che aveva di fronte era una donna di una bellezza smisurata, d’altri tempi.
Kyros era imbarazzato ma rispose deciso: “Non mi ha spaventato” deglutì ancora, “sono qui per il posto da giardiniere.”
“Ti aspettavo. Se vuoi gentilmente seguirmi, ti mostrerò quali saranno i tuoi compiti” disse la donna.
Kyros fece un passo indietro: “Signora, devo considerarmi già assunto?”
“Sei l’unico che si è presentato da due settimane a questa parte e, come vedrai, ho una certa fretta di sistemare il giardino e l’orto. Li ho trascurati troppo ultimamente.”
Gli edifici del monastero circondavano un grande cortile al centro del quale si ergeva un battistero ottagonale. I sentieri che delimitavano le aiuole erano tracciati da ghiaia finissima. Oltre il battistero c’era l’orto, meglio esposto alla luce solare. Tutto era secco e quel poco di verde che si vedeva era sbiadito. L’incuria la faceva da padrona. Ciò che saltava all’occhio, unica nota di colore in quella desolazione, erano dodici fiori, d’un viola acceso e splendente, che si trovavano su un’aiuola dell’orto più alta, come se dominasse tutte le altre, incolte e abbandonate..
La signora procedeva davanti a Kyros senza proferire parola. Non sembrava che camminasse. La tunica strisciava sulla ghiaia e Kyros non vedeva i piedi né sentiva il loro peso far rumore sul terreno.
“Da quel che vedo, signora, c’è un bel po’ di lavoro da fare” disse il giovane con tono conciliante.
“Sei qui per questo”, fece una pausa, “e avrai carta bianca” aggiunse.
“La ringrazio, ma” fu interrotto prima di concludere.
“Vorrei che piantassi delle siepi e che potassi gli alberi. Mi piacciono le rose, adoro le ortensie e le bouganville. Nell’orto potrai seminare ciò che vuoi, a tuo piacimento” concluse la padrona.
“Quei fiori viola la infondo però”
“Quelli non li devi toccare!” gridò Stygio e, abbassando subito il tono di voce, “è l’unica aiuola che non ti è permesso di toccare. Dimenticala, fa’ come se non esistesse” ribadì decisa.
Kyros, stranito, annuì con un cenno del capo.
“Ti prego di seguirmi in veranda per definire i dettagli della nostra collaborazione” disse Stygio accennando un sorriso.
La veranda s’affacciava sull’ingresso della casa principale, al piano terreno. Era un porticato di tre lati chiuso da doppie tende legate da corde alle estremità inferiori che creavano, in pieno giorno, una timida e piacevole penombra. Un tavolo colmo di volumi datati fungeva da scrivania, poco distante un ampio divano rotondo con diversi cuscini. Il grande portone d’ingresso della casa socchiuso.
“Permesso” sussurrò Kyros.
“Passo qui molte ore della mia giornata” disse Stygio senza guardarlo, “i miei studi mi assorbono totalmente per cui non ti disturberò durante il tuo lavoro.”
“Se mi posso permettere, signora, la paga sarà veramente quella che ho letto sull’annuncio?” chiese il giovane.
“Giusto!” esclamò lei voltandosi di scatto con una busta in mano che forse custodiva da sempre sotto la tunica, “ecco la prima mensilità in anticipo.”
Kyros non volle credere ai suoi occhi. Allungò il braccio, guardando negli occhi quella donna bellissima. Si sentì improvvisamente appagato da un indefinibile piacere, saziato da una indefinibile libagione. Si accorse di tutto questo, della manipolazione mentale che stava subento e per un istante la sua mano si ritrasse. Di fronte al sorriso ammaliante di Stygio però, nulla poté.
Kyros si risvegliò disteso sul divano rotondo della veranda. Era nudo come un verme, non aveva più neanche il suo orologio. Provò ad alzarsi di scatto, ma invano. Poteva muovere solo il capo, eppure non era legato.
“Dove sono finito!” esclamò in preda al panico maledicendosi di essere andato in quel luogo.
Stygio si era materializzata davanti a lui e lo guardava passandosi continuamente la lingua sulle labbra carnose.
“Lasciami andare!” urlò il giovane contadino con gli occhi iniettati di rabbia e paura.
“Nessuno ti sentirà” rise la donna.
“Mi verranno a cercare!”
“Nessuno ti verrà a cercare” rispose lei. E aggiunse: “Hai sete?”
“Voglio che mi lasci andare. Adesso!” Kyros era disperato. Da molte ore probabilmente era prigioniero, la notte era già calata da un pezzo, anche i grilli avevano smesso di cantare.
Stygio, levitando a qualche centimetro da terra, s’avvicinò al divano, sciogliendo la cintura di cuoio. Scoprì il suo corpo nudo, dal seno prominente con i capezzoli umidi che brillavano alla luce delle candele. Fianchi stretti, pancia piatta, una bellezza fisica che convogliava tutta al centro delle sue gambe, glabro e altrettanto umido. Le cosce erano perfettamente affusolate, le ginocchia rotonde, i polpacci proporzionati alle caviglie e ai piedi che non sembrava avere.
“Una dea” furono le uniche parole che Kyros riuscì a pronunciare prima di trovarsi una delle mammelle in bocca. Non avrebbe voluto, ma era impotente di fronte a quella donna. Il grosso seno sgorgava latte come quello di una mucca. Un nettare dolce e piacevole. Stygio godeva allattando Kyros.
“Grazie” disse lui appena la donna staccò il seno dalle sue labbra. Lei sorrise portandosi l’indice della mano destra alla bocca, facendo segno al giovane di non parlare. Kyros sorrise e provò a rispondere. Il panico era passato, ora non pensava più di essere stato sequestrato ma che avrebbe passato una notte di fuoco con la sua datrice di lavoro. Non riusciva più a parlare.
Stygio avvicinò le labbra a quelle del giovane e le leccò, ma senza baciarlo. Lo baciò invece sul collo e con la lingua arrivo fino alla gola, e giù verso lo sterno, passò lo stomaco, circumnavigò l’ombelico e si fermò. Con le sue mani lisce iniziò a massaggiare lo scroto leccandolo di tanto in tanto. Kyros non riuscì più a trattenersi. Il suo sangue bollente confluì rapidamente gonfiando il suo pene che prontamente Stygio iniziò a maneggiare con movimenti sussultori con le mani e la bocca.
Kyros s’abbandonò all’estremo piacere, sconfitto da quella donna che lo stava violentando. Una violenza che però era disposto ad accettare. Si riebbe per un istante soltanto quando Stygio, senza fermare la fellatio, infilò il dito medio della mano sinistra nell’ano di Kyros, aumentando ancora di più il suo piacere.
Il giovane, inchiodato al divano da chissà quale incantesimo o fattura, s’accorse presto che per lui ancora non c’era stato orgasmo. In realtà ne aveva avuto più d’uno, ma mentale. Ogni volta che pareva essere sul punto d’inondare di sperma la bocca di Stygio, tutto rientrava misteriosamente.
Stygio si staccò dal pene, alzandosi per guardare Kyros. La bava le cadeva ai lati della bocca. Si passò la lingua. Nella mano destra teneva sempre il pene del giovane che non smetteva di stimolare. Gli sorrise.
“Adesso capirai chi è Stygio veramente”, gli disse, scoppiando in una risata sguaiata e isterica. Allargò le gambe, la sua vagina s’aprì in maniera naturale, luccicante per la patina trasparente che la ricopriva e la idratava. Delicatamente si posò sopra al pene eretto di Kyros, lasciò la mano che lo teneva è iniziò a fare su e giù.
Dapprima, gemette quasi sottovoce, poi il volume fu un crescendo continuo. E Kyros vide che era Stygio veramente.
La donna fletteva il capo in avanti e indietro e urlava di piacere, il corpo velato dal sudore. Kyros immobile sotto di lei s’accorse che qualcosa stava accadendo. La donna si fermò di colpo fissando il giovane negli occhi e sputando saliva per il respiro affannato. Sembrava un’altra, negli occhi aveva la luna.
Urlò verso il cielo e la copertura della veranda si dissolse nell’aria scoprendo il cielo stellato illuminato a giorno dal satellite naturale. A ogni gemito gridato la luna s’avvicinava ai due amanti per caso. Intorno a quel disco argenteo Kyros vide cadere più di una stella a ogni grido di piacere che la donna la donna lanciava.
Il godimento del giovane mutò improvvisamente in dolore quando lo squirt di Stygio fece una forte pressione sul pene del ragazzo spingendolo violentemente fuori dal canale vaginale. La donna riprese subito il pene per introdurlo nuovamente nella vagina. Si gettò al collo di Kyros. I loro corpi sudati si toccarono, il seno si adagiò sul torace. Erano guancia a guancia. La luna li guardava.
Stygio ricominciò a godere. Per un istante guardò il partner con i suoi occhi lunari. Kyros, come pilotato, alzò il braccio destro e appoggiò l’ampia mano sul gluteo e, aiutando la spinta, mise il dito nell’ano della donna aumentando all’istante il suo godimento e le sue urla.
Il cielo sopra la veranda scoperchiata fu invaso da nere e minacciose nuvole. Il temporale sopraggiunto non tardò a scaricare fulmini sul monastero, vicino alla veranda e al circolare talamo dei due amanti. Stygio sembrava comandare quel pandemonio, che andava di pari passo al suo piacere. Kyros era terrorizzato, ma ancora una volta impotente di fronte a tutto ciò che stava vivendo.
Stygio lanciò un urlo straziante. Nello stesso istante Kyros riempì la sua vagina di sperma. Un fulmine centrò la coppia in pieno.
Trascorsero così molte altre serate. Kyros era confinato tra le tende della veranda. Si era reso conto di essere sottomesso a qualcuno che non aveva niente a che fare con l’uomo e le sue vanità. Lei non era di questo mondo poiché comandava la natura. E infatti egli non aveva bisogno di mangiare o di dormire, l’unico liquido che assumeva era il latte che succhiava copioso dalle mammelle di lei. I suoi bisogni fisiologici erano scomparsi, il suo orgasmo era pilotato e se ne accorgeva in base all’intensità dei fulmini che s’abbattevano sulla terra. Un supplizio che durava meno durante i loro eterei coiti anali.
“Avevi ragione,” disse un giorno Kyros a Stygio, “ nessuno è venuto a cercarmi.”
“E nessuno verrà più, mio caro. Ora sei di mia proprietà. Hai capito finalmente che il lavoro di giardiniere era soltanto un pretesto” rispose lei.
“Mi lascerai andare un giorno?” chiese Kyros sospirando.
“Non l’hai detto con disperazione, come se questo sequestro ti piaccia, in realtà”, fece una pausa, “no, non accadrà mai.”
“Chi sei tu?” domandò Kyros stringendo i denti e i pugni, visibilmente irritato.
“Io sono la badessa e tu sei il mio giocattolino” lo schernì lei.
Il giovane contadino afferrò uno dei volumi appoggiati alla scrivania e lo scaglio rabbiosamente nel cortile del monastero. Il libro cadde sull’aiuola dai fiori viola tranciandone due di netto.
Stygio ebbe un sussulto, ma prontamente si ricompose sorridendo al giovane in collera. Non doveva dare troppo nell’occhio, non poteva mostrare segni di debolezza.
Kyros la contemplò per qualche istante, poi volse lo sguardo verso l’aiuola e ancora verso la badessa. Sorrise. Si ricordò di quando da piccolo lanciava i sassi piatti sul letto del fiume che schizzavano via veloci. Si ricordò di quante volte aveva battuto suo nonno, contadino anche lui, a bocce. Prese un altro libro e lo lanciò come un sasso rasente al terreno del cortile, pronto a sbocciare l’aiuola. Fece fuori sei fiori in un colpo solo. Stygio s’accasciò a terra con il respiro affannato, come se improvvisamente avesse perso le forze.
“Ecco il tuo punto debole!” esclamò Kiros raggiante. Con un altro lancio del libro da manuale tagliò altri tre fiori i cui petali si sparsero nelle vicinanze. Stavolta era Stygio ad essere impotente.
“Perché mi fai questo! Non stai bene qui?” disse la donna con un filo di voce. Sangue nero sgorgava dalle orbite oculari e dalla bocca. Esaurendo le ultime energie, si destò alzandosi a un metro da terra, pronta a scagliare tutta la sua maledizione su Kyros.
Il giovane provò d’istinto a scappare e vide che poteva farlo, i poteri e gli incantesimi della badessa si erano di certo indeboliti. Saltò fuori dalla veranda correndo come un cerbiatto verso l’aiuola dei fiori viola per distruggere l’ultimo fiore. Così facendo, avrebbe posto fine all’esistenza di Stygio della quale, suo malgrado, era stato schiavo di piacere. Schivò i fulmini che gli cadevano a fianco come frecce.
Come se stesse per tirare un calcio a un pallone, colpì il fiore con tutta la sua forza, spargendo petali tutt’intorno. Si girò verso la veranda e incrociò lo sguardo di Stygio per l’ultima volta. Sorrideva beffardamente. Poi, in un istante, si dissolse.
Fu il silenzio. Kyros scoppiò in un pianto dirotto inginocchiandosi tra i petali viola dei fiori di zafferano sparsi intorno all’aiuola. Finalmente era libero.
Pensò ancora al suo periodo di prigionia. A tratti, anche se aveva perso tutte le tipiche abitudini umane, era stato bene. Stygio era stata un’amante impareggiabile.
S’avvicinò alla veranda per scorgere i resti della badessa, semmai ce ne fossero stati. Vide soltanto una macchia sul pavimento, tra la scrivania e il divano letto rotondo. Si avvicinò con un po’ di timore. Non capiva bene cosa fosse, per cui sgranò gli occhi.
Un feto.
Si portò le mani alla testa. Strinse i denti. Chiuse gli occhi. Con le braccia penzoloni, barcollando e piangendo, raggiunse il muro di cinta dell’orto a strapiombo sulla falesia. Dal tetto del monastero, il verso di un corvo salutò il suo volo.