Le urla provenienti dalla camera di Wendy li aggredirono sulla veranda della vecchia fattoria. I due amici sorseggiavano birra nazionale, cercando di tenere vivi col ricordo i bei tempi andati.
Peter appoggiò la lattina sulle assi malandate del portico e si passò le mani tra i capelli bianchi sempre più radi. Scosse la testa e rimase come incantato a guardare il tramonto incendiare il campo di zafferano che si estendeva davanti ai suoi occhi, una suggestiva nebulosa violacea collassata giù dallo spazio profondo.
«Fa sempre così?» chiese Mike con una smorfia di disagio.
«Sempre. Sono più di tre mesi ormai, mattina, pomeriggio e sera. Oddio, durante la mattinata è un po' più calma, ma dal tramonto sino alle prime luci dell’alba è un delirio senza fine.»
«E i dottori cosa dicono?»
«Hanno detto che c’è poco da fare, si tratta di una malattia degenerativa. In pratica non c’è più con la testa. Sarà sempre peggio.»
Peter socchiuse le palpebre, si alzò a fatica dalla comoda poltrona tappezzata di un vivace verde smeraldo e, strascicando i piedi, raggiunse la moglie. Le grida e le imprecazioni gli attorcigliarono le budella e gli gelarono il sangue nelle vene.
«Cazzo, che male! Le gambe, Pete, mi fanno un male cane, porca puttana!»
Peter si avvicinò a Wendy, abbassò la coperta e iniziò a massaggiarle gli arti con delicatezza.
«Ahi! Piano, vecchio coglione. Fai piano.»
L’uomo guardò l’espressione della moglie, trasfigurata in una maschera allucinata. Tutta colpa dei medicinali che era costretta a prendere per lenire gli acciacchi della vecchiaia, pensò. Gli occhi, che erano sempre stati grandi e profondi, ora sembravano due spilli neri e assenti, occhi d’insetto inglobati in un viso decrepito. Pareva fosse invecchiata in un botto di oltre vent’anni e lo stesso poteva valere anche per lui. Nonostante l’amore che aveva provato e che ancora provava per quella donna, desiderò trovarsi da tutt’altra parte. Distolse lo sguardo per provare ad arginare il senso di smarrimento che sempre lo avvolgeva quando metteva piede in quella stanza. La sua Wendy non aveva mai sopportato la volgarità, non diceva parolacce e disprezzava chi ne faceva un uso indiscriminato, eppure da qualche tempo da quella bocca non facevano che uscire sconcezze di ogni tipo.
«Cristo, che male. Smettila con quei massaggi, sembra che stai a macellare un fottuto maiale. Dammi le pillole per il dolore, svelto!»
Pete prese tre pasticche e le mise in bocca alla moglie che iniziò a sbriciolarle con avidità, poi le porse un bicchiere pieno d’acqua. Wendy bevve tutta l’acqua e si azzittì per qualche istante. Lui si augurò che almeno quella notte potesse procedere tranquilla, che la sua donna potesse riposare senza sentire troppo dolore, ma non ci sperava troppo.
Fece per uscire dalla camera da letto, ma lei riattaccò la cantilena delle ultime settimane.
«Hei, dove cazzo vai? Torna qui, non voglio morire da sola come un lurido cane pulcioso, cazzo.»
«C’è Mike in veranda. Lo vado a salutare.»
«Chi, Mike Hanson? Non lo voglio in casa mia, quel puttaniere. Sbattilo fuori a calci nel culo! Subito!»
Peter riapparve sulla veranda con altre due birre ghiacciate nelle mani. Guardò Mike con l’espressione mortificata. Mike Hanson era il suo migliore amico e abitava a poche miglia dalla sua proprietà. Si conoscevano da una vita ed erano tra i più vecchi agricoltori della Contea di Sonoma, i primi che avevano fiutato l’affare e riconvertito parte dei lori terreni dalla coltivazione della vite a quella dello zafferano.
«Scusala» disse passandogli la lattina.
«Non fa niente, non ti preoccupare.»
Mike aveva perso la moglie da pochi anni e Pete sapeva per certo che l’amico non l’aveva mai tradita: idolatrava quella donna, sicuro come l’esistenza del diavolo. Lui invece qualche scappatella se l’era concessa, specialmente nel passato. Si domandò se Wendy ne fosse a conoscenza. Si sedette sulla poltrona verde smeraldo e tornò a osservare i fiori viola del campo che stavano per essere inghiottiti dal crepuscolo.
«Mancano pochi mesi alla fine del mandato di Biden» disse Peter dopo una bella sorsata, così, per rompere il silenzio che si era creato. «Tu che ne pensi, Mike? Ci sarà un secondo mandato o sarà la volta di un repubblicano?»
«Sai come la penso, rossi o blu sempre nel culo ce lo mettono. Dipendesse da me sceglierei un repubblicano, sono più passionali.»
Peter sputò la birra che stava ingerendo e scoppiò a ridere. L’amico si unì a lui.
«Da quanto hai ripreso a bere?» gli chiese Mike.
Già, da quanto? Semplice, da quando la sua vecchia aveva cominciato a dare di matto. I primi due mesi aveva resistito, ma nell’ultimo aveva cominciato a stordirsi per bene. L’immagine che gli rifletteva lo specchio ogni mattina lo deprimeva, con quelle rughe profonde sulla fronte, le guance, gli angoli della bocca, e un reticolo inestricabile di capillari a deturpargli gli occhi. Ma che poteva farci? Dormiva poco e male e mangiava anche peggio se possibile. L’alcol rappresentava l’unico sollievo da quella situazione del cazzo.
«Da poco, qualche settimana. Forse un mese. Quindici anni da astemio buttati nel cesso, eh?»
Mike non disse nulla e scrollò le spalle.
«Devi credermi, amico, ho provato a resistere» riprese Peter, «ma adesso che Wendy è allettata è un inferno. Da quando non cammina più la devo portare in bagno, anche tre volte per notte e oramai mi avvicino agli ottanta. Gli ho proposto di prendere un’infermiera, ma cosa credi che mi abbia risposto? Col cazzo! Non voglio nessuna stronza infermiera in casa mia, così mi ha risposto. Non ce la faccio più amico. Davvero, non ce la faccio.»
Peter si prese la testa tra le mani e cominciò a fare strani rumori, cercando di trattenere le lacrime. Mike si alzò dalla sedia e si avvicinò per consolarlo, ma appena gli fu vicino Wendy riprese la litania.
«Porca puttana, vecchio stronzo bastardo, vieni dentro. Fanculo, vieni da me.»
I due amici si guardarono negli occhi, entrambi tristi. Mike diede una pacca sulla spalla di Peter, lo salutò e salì sul suo pick-up marrone. Mentre lo guardava allontanarsi, Pete gettò un’occhiata ai campi di zafferano. Per un istante, solo per un momento, gli parve di scorgere un’ombra più scura che si stagliava contro il buio. Strizzò gli occhi, ma non riuscì a scorgerla più: solo nero, tanto nero della stessa tonalità.
«Stupido vecchio» si disse, mentre serrava la porta.
Quella notte Wendy fece la pazza come non mai. Grida, pianti isterici, discorsi deliranti, bestemmie. Peter dovette alzarsi anche cinque volte per portarla in bagno. Oddio, non che pesasse tantissimo, era sempre stata magra e poi adesso non mangiava quasi niente. Le sue settantasei primavere però iniziavano a farsi sentire, nonostante fosse un robusto contadino dell’alta California. Erano le tre del mattino quando scelse di trasferirsi nella camera degli ospiti. Chiuse la porta, deciso a concedersi qualche ora di sonno. Si addormentò quasi subito. Al risveglio rimase steso sul letto, gli occhi fissi sul soffitto buio, una sensazione di gelo nelle ossa. Aveva fatto un sogno strano. Inquietante. Probabilmente aveva sognato il terremoto, perché aveva il ricordo vivido del letto che si muoveva. Ma non era proprio così, non era stato il letto a muoversi, bensì il materasso. Sì, era così, era stato il materasso a sollevarsi e a fargli fare le montagne russe su e giù per la camera. Rimase steso sul letto ancora qualche minuto, il cuore che gli martellava nel petto, gli occhi pigri che ancora non si erano abituati all'oscurità. Allungò la mano verso l’interruttore della luce in preda a una strana paura. Protese le dita, senza riuscire a trovare il muro. Solo aria. Con l’ansia che aumentava si alzò a sedere e sbatté i denti contro qualcosa di duro. Improvvisamente si sentì prigioniero del vuoto, disorientato, i punti di riferimento della stanza non esistevano più. Si mise in ginocchio, una mano sul materasso e l'altra protesa in avanti, alla ricerca di ostacoli. Avanzò piano, come al rallentatore, col respiro che si faceva sempre più difficoltoso. Pesante. Poi udì un lamento in lontananza. Rimase in attesa, cercando di capire di cosa si trattasse. Gli sembrò di udire la voce di Wendy. Ma certo! Era la sua voce. Avanzò lentamente in direzione del suono, sempre carponi. La porta doveva essere là. Procedette timoroso, col braccio proteso in avanti, sino a quando incontrò una superficie. Tastò con frenesia il pannello in legno, alla disperata ricerca della maniglia. Quando riuscì a trovarla la strinse, così come un naufrago si sarebbe stretto a una boa o al bordo di una zattera e lentamente si tirò su. Spalancò la porta ma nessuna luce filtrò dal corridoio, solo la voce sguaiata di Wendy.
«Devo pisciare, stronzo. Pete, gran figlio di puttana, me la sto facendo addosso!»
Peter tastò nervosamente il muro alla sua destra alla ricerca dell’interruttore e quando il click generò la luce, quello che vide lo sconvolse. Il materasso giaceva fuori dal telaio del letto, in fondo alla
stanza, vicino alla sedia dove aveva appoggiato i vestiti. Si toccò la bocca, pensando alla botta che aveva dato e vide il sangue colorare di rosso i polpastrelli. Con le gambe tremanti raggiunse la camera di Wendy, quasi alla ricerca di un conforto. Lei era lì, seduta sul letto, le gambe gonfie che giocavano col lenzuolo. Un rivolo di bava nera le colava dalla bocca, gli occhi due freddi spilli da ragno.
«Me la sono fatta addosso, sono tutta bagnata. Adesso mi devi cambiare. Puliscimi!» gli disse, ridendo come un’indemoniata.
Peter si appoggiò al muro, poi crollò in ginocchio. La sveglia sul comò segnava le quattro meno un quarto. Non era trascorsa neppure un’ora da quando aveva cercato sollievo nella stanza degli ospiti.
La mattina e il pomeriggio li passò nei vigneti, raccogliendo l’uva per la vendemmia assieme ai dipendenti o guidando il trattore trai i filari.
Cercò di non pensare a ciò che era accaduto la notte, ma si sentiva ancora scosso. Provò a scaricare la tensione prendendosela con la manovalanza, un eterogeneo mix di stagionali e irregolari messicani.
Dispensò a tutti i suoi epiteti preferiti: stronzo, bastardo, cabron, senza fare favoritismi. Una volta rimasto solo, a fine giornata, raggiunse il campo di zafferano, l’unico angolo della tenuta che sembrava placare il suo spirito. Dalla casa provenivano attutite le urla di Wendy, improperi rivolti a Lisa Sullivan, una volontaria della Chiesa Episcopale della città di Santa Rosa. Peter scosse la testa, domandandosi come facesse quella grassona a sopportare per tutto il tempo gli strepiti della moglie. Mentre percorreva gli stretti sentieri circondati di fiori si bloccò, realizzando all’improvviso che per l’inizio di novembre quel fascinoso oceano viola sarebbe stato prosciugato. Si chinò e prese un fiore tra le mani. Corrugò la fronte: gli stimmi rossi al centro del fiore non erano immobili, ma si contorcevano in modo osceno. Li toccò per saggiarne la consistenza e subito ritrasse le dita per il ribrezzo. Erano viscidi e oleosi. Come vermi, pensò. Gettò un occhio agli altri fiori e vide il campo oscillare, una distesa rossa e nera di lombrichi sguscianti. Un olezzo nauseabondo gli aggredì le narici, un tanfo acido che gli ricordò il fetore di piselli andati a male, come la volta in cui si era rotto il freezer. Spalancò la bocca non riuscendo a contrastare un conato di vomito ed espulse un grumo biancastro. Cercò di riportarsi in posizione eretta, ma la suola degli stivali da lavoro scivolò sopra al tappeto bicolore, organismo unico e senziente formato da miliardi d’invertebrati. Volse lo sguardo al portico, distante poche decine di metri, giusto in tempo per vedere Lisa Sullivan uscire di corsa dalla porta. Strisciò carponi, le mani affondate a raspare nella marea gelatinosa, poi finalmente riuscì a rimettersi in piedi e corse verso la salvezza. Non ebbe neppure il tempo di rifiatare, appena poggiò il piede sul primo gradino della veranda Wendy iniziò a torturarlo con le sue parole senza senso.
«Pete, ho fame! Ho voglia di aglio, cipolla e testa di capra. Al sangue la testa di capra.» Wendy rise, una risata rauca, catarrosa, poi intonò con voce limpida l’inizio di Stand by me.
«Quando viene la notte, e la terra è buia, e l’unica luce che vedremo sarà la luna, no, non avrò paura, non avrò paura, finché tu sarai con me, sarai con me…»
Peter crollò sulle assi della veranda, il respiro corto, il cuore che pompava sangue a un rimo esagerato. Strisciò verso la parete e si mise a sedere. Guardò il campo col viso trasfigurato, ma i vermi non c’erano più, al loro posto la familiare distesa viola. E una donna. Aveva i capelli rossi e ricci, tenuti prigionieri da un’anacronistica fascia da hippie. Portava un lungo cappotto di pelle marrone, col colletto di pelo grigio, troppo pesante per la stagione. Sotto indossava solo un paio di jeans, il busto era completamente scoperto e i grossi seni ballonzolavano grevi a ogni passo. Anche i piedi erano nudi. Salì i due gradini della veranda e si accomodò sopra una vecchia sedia.
«Posso sedermi, Pete?» disse la rossa.
Peter la guardò, ma non disse nulla. Lei sapeva il suo nome ma lui non la conosceva. Il cappotto, quello sì aveva qualcosa di familiare, ma non ricordava perché.
«Bello, eh?» disse lei, aprendo bene il soprabito e tirando fuori dalla tasca interna una sigaretta e un fiammifero.
I seni ora erano bene in mostra, due meloni maturi, l’areola frastagliata e scura, il capezzolo turgido. Peter li osservò, come in estasi.
«Sei il solito ragazzaccio» disse la donna, strizzandosi un capezzolo e facendo colare giù un liquido denso e nero.
Peter cacciò un gemito e la femmina rise. Distolse lo sguardo dai seni e fissò per pochi istanti un paio di occhi neri e profondi, due pozzi oscuri affogati in una colata di ombretto turchese.
«Chi sei?» chiese con un filo di voce.
«Tu sì che mi dai soddisfazione, Pete. Hai poca memoria e questo è un bene. Come dice il detto? Fai del male e scordalo.» La donna rise ancora, poi sfregò il fiammifero sulla balaustra del portico e accese la sigaretta.
«New Orleans, 23 febbraio 1969. Avevi ventidue anni quando strangolasti quella puttana nera dopo essertela scopata. Aveva un cappotto come questo, ricordi?»
Peter sgranò gli occhi, perdendosi nel fumo che la donna stava sputando fuori dalle narici. «È stato tanto tempo fa» disse in un sussurro.
Lei annuì. «Lo so, ma è da lì che è partito tutto, vero?»
L’uomo scosse la testa, come a voler scacciare quel pensiero.
«Voglio dire, ti rendi protagonista di una brutta azione, sì, davvero disdicevole, ma se poi riesci a tacitare i sensi di colpa è come non averla fatta, giusto? E tu sei un maestro nell’annientare i fottuti sensi di colpa, vero Pete?» La rossa tirò una lunga boccata, poi gettò la cicca oltre il portico. Peter iniziò a singhiozzare e lei si avvicinò, mettendogli un braccio attorno alle spalle e accucciandosi accanto a lui. Sentì di nuovo il fetore nauseante di piselli andati a male e si vomitò sui vestiti.
«Come quella volta che hai violentato la moglie del tuo miglior amico, Mike Hanson. L’hai presa con la forza, arrivando a minacciare la vita dei loro figli. Era sveglia la povera Meryl, cazzo se lo era. Sapeva che l’avresti fatto, si è fatta scopare e ha tenuto la bocca chiusa. E quando se n’è andata per sempre tu eri lì, a consolare il povero vedovo cornuto. Fanculo i sensi di colpa. Te l’ho detto, tu mi dai soddisfazione.»
L’uomo incassò la seconda bordata ed esplose in un pianto irrefrenabile, schiacciato dalla potenza della rivelazione a cui era giunto. «Dicono che ogni essere umano veda il diavolo almeno una volta prima di morire» sussurrò quando si riprese. Parlava e sentiva la propria voce distante, troppo lontana. «Sei venuto a prendermi per portarmi all’inferno.»
«Portarti all’inferno?» disse il diavolo, alzandosi in piedi e ridendo rumorosamente. «Ci sei già! Questo è l’inferno. L’inferno è qui sulla terra. L’inferno è ripetizione. Ascolta.»
«Dove sei, brutto cazzo moscio? Voglio le pillole per il dolore e voglio la mia testa di capra.»
Peter girò la testa e vide che Wendy era lì sulla soglia, in piedi, appoggiata al Winchester che adoperava a mo’ di bastone. Nella luce del tramonto sembrava quasi trasparente e una gran bava nera le scendeva dal mento sulla camicia da notte.
«Ti prego, falla smettere. Non ce la faccio più!» implorò Peter fissando il diavolo. I suoi occhi ora non erano più neri, ma gialli, come quelli di un caimano o di una lucertola.
«Non posso. L’inferno è ripetizione, ricordi?»
«Ti scongiuro, falla tacere! Non resisto più.»
«Vuoi farmi credere che un ragazzaccio tosto come te non è in grado di zittire la propria donna? Sai bene cosa devi fare, Pete. Fallo. Ho ancora grandi progetti per te.»
«Chi è quella gran troia, Pete? Prendi il fucile e sparale dritto nelle chiappe!» disse Wendy, porgendogli il Winchester. Sbraitava come un'ossessa, con la bava scura che proseguiva a inzaccherare la parte alta della camicia da notte.
Peter prese l’arma, senza sapere cosa fare, incalzato dalle due voci.
«Dai, bucagli il culo, vecchio coglione.» Wendy.
«Mi fido di te.» Il diavolo.
«Ammazza la bagascia e portami la testa di capra.» Ancora Wendy.
«Fa ciò che bisogna fare.» Il diavolo.
Peter controllò il fucile. Era scarico.
Il diavolo lo guardò e fece l'occhiolino. «È un problema questo?» gli disse, poi si diresse verso il campo di zafferano.
Nel momento in cui lo vide andare via, Peter fu certo che non sarebbe più riuscito a sopportare quella situazione. Prese il fucile per la canna e lo abbatté sulla testa della moglie; l’impatto del calcio sul cranio gli ricordò lo schiocco di un’anguria matura che viene aperta. Continuò a picchiare, con Wendy stesa sulla veranda, morta, la testa fracassata. Sangue, capelli e piccoli frammenti d’osso gli si appiccicarono sul viso, ma lui proseguì, sino a quando il calcio del fucile si spezzò. Esausto ma soddisfatto, sfigurato da un sorriso folle, si voltò a cercare l’approvazione del maligno, ma lui non c’era già più. Al suo posto un campo viola invaso dalle fiamme.