- Dopotutto non è affatto male questo posto, - dico.
Il clacson di un carro attrezzi fermo accanto al distributore ci fa alzare la testa.
- Lo conosci ? Chiedo dubbioso a Jessica la benzinaia.
- Sì, è ”lo scemo.” Suona sempre la stessa canzone.
C’è qualcosa di nervoso e provocante nei tiri di sigaretta di Jessica. L’ululato di Perry, il suo cagnetto, si aggiunge agli altri rumori, comincia a grattare l’aria con le zampe anteriori, lo conosce pure lui.
Jessica comincia a agitarsi e a cambiare posizione sulla sedia. Non riesco a immaginare un uomo che si avventi su di lei, e sottoporre a un immaginario test di fedeltà una donna che ha il doppio della mia età mi sembra alquanto ridicolo. Domani dall’università le porterò un sacchetto di cioccolatini.
La prima volta che ho visto Jessica ho pensato : ecco una che ha il compagno benzinaio e per avvalorare la tesi ha indossato la sua tuta senza lavarla
- Che hai fatto oggi, Andrea?
- Oggi ho annaffiato le piantine di zafferano, ma prima o poi mi ci butto dentro a quel pozzo.
-Tu sei qui soprattutto per l’università, pensa a studiare, fare il contadino deve restare una passione, un allenamento per non diventare robusto.
- Faticavo meno nella palestra di boxe. Pure studiare diventa sempre più complicato, ogni volta che mi metto a farlo sotto la veranda, passano vicino tutti i tir del mondo.
Il campo di zafferano lo curo tutti i giorni, quando ci torno dentro per eliminare le infestanti le piantine di zafferano mi arrivano ai polpacci, con quei colori tropicali ho pure la sensazione che un pesciolino venga a sbattermi contro le ginocchia, è il mio piccolo oceano, e somiglia a una poesia, quel campo.
Ora Jessica accarezza Perry il suo cagnolino meticcio, i benzinai non hanno troppa fortuna nella scelta della razza. Io sono a destra ancora sotto la veranda, mi lavo le mani in un umile lavandino esterno che odora di benzina. Giro il caffè del distributore in un bicchiere di cartone con un cucchiaino di cartone.
E’ opera mia il paesaggio alle spalle. Prima c’era un bosco opaco, scuro di abbandono, un insieme deteriorato che avrebbe spinto qualsiasi buon coltivatore al suicidio.
Jessica esce fuori solo se serve, un gabbiotto è la sua cabina di pilotaggio, anche se quell’aereo è fermo sulla pista da anni, o sarebbe meglio dire da un matrimonio fallito.
Lei, ora, è una donna serena, senza nemmeno un dramma.
Non le ho mai chiesto cosa controlli su quei tabulati che ha spesso davanti, la mia curiosità si fa bastare di vedere le sue gambe accavallate. Raccontata così la situazione può farmi apparire come un maniaco assatanato, ma ho le mie attenuanti: lì intorno non c’è altro da vedere, la noia deve aver sterminato le belle ragazze.
Jessica fa funzionare tutto da sola in questa copia sfocata di un autogrill e quando mi vede arrivare nel primo pomeriggio il suo viso si illumina. Per prendermi in giro dice che sono il suo alberello della felicità, ma se mi avvicino troppo le mie foglie appuntite le accecano un occhio.
Il nostro è un rapporto amichevole e spontaneo, lei è molto ospitale.
La cosa che la rende attraente ai miei occhi è la stessa che rende sbagliata questa specie di amicizia: la differenza di età. A volte mi bacchetta come una maestrina.
Un giorno che l’ho vista più nervosa del solito, le ho detto:
- Devo portarti un amico.
- Per farmelo conoscere?
- Per far spostare il tuo odio su di un altro.
E mi sono messo a ridere.
I raggi di uno smodato sole di gennaio rimbalzano sulle scocche delle automobili che si stanno rifornendo al self. A distanza le chiedo una sigaretta. La sua gonna corta mostra gambe magre, particolarmente provocanti, e fanno pensare che in questo posto, grazie a loro, abbondi il peccato.
Mi manda a quel paese, poi pentita arriva. Prima di accenderla mi prendo un altro caffè dal distributore, ma solo per ripassare bene i suoi occhi neri. Quando non so che dire parlo della mia coltivazione, l’argomento che conosco meglio.
- Papà dice che i bubi dello zafferano mangiano come i bambini.
- Piantala di pensare sempre a quello che dice tuo padre.
Il suo modo scorbutico mi sorprende. Di solito a lei piacciono le cose che racconto del mio piccolo universo passato. Mi viene da pensare che in qualche modo sia stata delusa da papà.
Rasserenata mi fa una mezza carezza e dice che ho il sorriso timido di mio padre, ma lo dice solo per farsi perdonare.
Jessica è diventata parte importante della mia vita, soprattutto perché qui le altre parti non saprei proprio dove cercarle, per fortuna il mese di Gennaio, freddo e umido, accatasta e rimanda ogni desiderio.
A Deruta, il paese vicino, c’è un buon albergo e qualche volta ho avuto la tentazione di passarci la notte e invitare Jessica per provare la gioia infantile di essere accudito da qualcuno almeno per la notte. Ma poi quando faccio suonare le tasche mi rendo conto che non mi posso permettere piacevoli divagazioni.
Dopo averglielo confessato, la mattina mi sono ritrovato davanti una tazza di caffè istantaneo fumante, marmellata e fette biscottate su un piattino con il cerchio d’oro.
Mi sono sentito un re, e nel ringraziarla l’ho fatta commuovere.
Mi ha baciato sulle labbra, come si bacia un fidanzato, mica sulla guancia.
Un bacio umido e profondo, un surrogato di altri parti umide di lei che istantaneamente ho desiderato.
E mi sono spostato dalla veranda con lentezza, proprio per non farmi vedere turbato.
Lei si è allontanata di poco con la scusa di annaffiare i cespugli delle margherite nelle ciotole.
- La tua unica gioia sembra vedere i cespugli di margherita che crescono, le ho detto.
- Tutti meritiamo di essere felici, no?
Ho sorriso triplo per farle capire che stavo scherzando.
Le ruote delle automobili sull’asfalto sbriciolato accanto alla pompa di benzina sembrano masticare frutta secca quando ripartono. Continuando a osservare Jessica non riesco a decidere se sia una fortuna o una prigione questo posto, ma di sicuro per ora non mi sta annoiando.
- Fino a adesso ho vissuto una vita di merda, caro Andrea.
- Cercherò di essere una buona compagnia, Jess, ma perché ti maltratti così?
- La mia anima è poco armoniosa, mi piace quando mi chiami Jess, sembra il nome di una pistolera, mi fa sentire giovane e pazza come te. E invece di startene seduto a ammirare il tuo meraviglioso campo di zafferano in fiore potresti farmi qualche coccola.
- Sono un contadino disperato e tranquillo, so trasmettere serenità.
- “Disperato e tranquillo” mi piace. Ride.
- Ti vedo meglio, fai bene a mettere in mostra le tue forme, venderai torrenti di benzina.
- Sono pure dimagrita e sto pensando che la mia vita si è semplificata da quando ronzi da queste parti, e che quel campo di zafferano fosse stato pure di sedano o di cipolle, con te sarebbe stato interessante.
- Grazie, Jess, caffè pagato a Perugia.
- Ma tu sei l’uomo migliore del posto, o mi stai rifilando una fregatura? Ride.
- Se ci sono solo io, nel posto. Hai poco da scialare.
Ci scambiamo uno sguardo tenero e falsamente sconsolato. Lei scrolla le spalle, rimbalza il suo seno.
Mi riempio il bicchiere del vino rosso locale che ci ha regalato un amico comune, poi passo la bottiglia a Jessica.
- Scusami, non ho preso un bicchiere per te, sono proprio un rozzo zappaterra.
- Fammelo assaggiare dal tuo bicchiere il vino.
Si avvicina, siamo buffi e umani messi uno accanto all’altra, lei è magra e maneggevole come un’adolescente.
- Ho ventiquattro anni, Jess, l’altipiano delle piantine azzurre non mi basta proprio.
- Aiutami a sistemare questa maledetta veranda, ti passeranno i brutti pensieri.
- Non hai una domestica?
- Preferisco un domestico, Andrea io sto ricominciando da capo la mia vita, sono curiosa di provare cose fresche, nuove.
- E io potrei far parte dell’esperimento?
-Tu sei l’esperimento.
Jessica brancola in cerca di una ragione che giustifichi quello che sta per accadere. Appoggia la guancia sopra la mia felpa colorata e chiude gli occhi.
Abbandonata ogni precauzione la spingo dietro il cartellone della pubblicità di un antigelo.
Le nostre convinzioni fisiche e morali coincidono. Le sbottono la tuta. La mia faccia ispida di barba sprofonda tra il suo seno. La prendo, le mie spinte impetuose fanno vibrare la latta dei lubrificanti.
Perry chiuso nel gabbiotto esprime una specie di latrato convinto che io stia facendo del male alla sua padrona. Jessica aggrappata a me con le gambe spalancate si contrae in un orgasmo.
Cadono due lattine d’olio e rotolano fino al parcheggio. La stazione è deserta.
- Niente male i vocalizzi di Perry, vero? Dico con ancora il sudore caldo sulla fronte.
- Me l’ero dimenticato.
- Perry?
- No , tutto questo
Ora basta la voce di Jessica per farmi affluire il sangue all’inguine, nemmeno servono le sue caratteristiche fisiche. Ci togliamo da sotto la veranda, il gemito dei freni dì un tir si allontana.
Senza darmi il tempo di pensare, di fumare, di grattarmi un occhio, Jessica mi prende per mano e la scena sta per ripetersi dentro il gabbiotto.
La batto in velocità per andare in bagno. Mi sciacquo il viso, mi specchio.
Ho una stravagante voglia improvvisa di andarmene da quel posto obliquo, dove cado sempre addosso a Jessica.
Non fuggire, andarmene e basta. Lei è una partner sicura dei suoi desideri e quella sicurezza mi annienta.
Voglio gente diversa da lei, i miei amici, i vecchi del posto che parlano di malanni e di funghi nel bosco.
Voglio chiunque, senza nemmeno arrabbiarmi su questo desiderio.
Lo so, sono un uomo disonesto. E matto.
Il gabbiotto è claustrofobico. Faccio finta di ridere, ma sono imbarazzato, mi ci vorrebbe un passaggio segreto per tornare all’aperto e prendere una boccata di aria fresca.
- Andrea, tutto quello che sai darmi non c’è da nessun’altra parte, e piantala con il lavoro nei campi, sembri uno strofinaccio.
- Vero, ti guardo troppo, dovresti dormire a pancia in giù per non sciuparlo.
- Per non sciupare cosa?
- Il tuo “dietro”, è troppo bello.
- Una donna devi guardarla negli occhi se la vuoi, non dove piace a te.
Sto zitto, minuti zitto, faccio qualche scarabocchio con la Bic sulla copertina di una carta geografica usata.
- Eccolo lì, si è offeso.
- Resto ancora immobile nell’attesa di una piccola pace, la riserva di compassione per me stesso è ancora intatta, posso resistere.
Jessica è diventata più sottile e più dolce, sorride e ha uno sguardo che lascia trapelare una nuova considerazione.
- Quando sei venuto a abitare qui vicino mi sono detta: guarda che bel ragazzo. Poi nei giorni successivi ho pensato di non essere stata troppo fortunata, e cercavo con gli abiti di nascondere il materiale enorme del mio seno.
- Pazza! Nascondevi la tua cifra migliore, la mia era solo timidezza.
- Si poi l’ho capito, grazie.
Si accosta a me, l’ambiente minimale è favorevole agli avvicinamenti, le sue mani accarezzano le mie mentre parla, un modo arbitrario e gentile di avere il mio consenso su tutto.
- Sei l’unico che non mi ha messo subito le mani in mezzo alle gambe, - dice con una risatina provocante.
- Se sono stati in molti a farlo qualcuno che non lo abbia fatto ci vuole.
Mi bacia mentre abbassa la tapparella dell’unica finestra. Si spoglia da seduta, la sua pelle è candida e io ho perso l’espressione fasulla precedente.
Ho il respiro in subbuglio, non me la immaginavo così potente la sua figura nuda.
Devo fare le cose con calma, potrebbe essere l’ultima volta che lo facciamo.
Voglio entrare in lei e nel mondo del piacere nel modo più consapevole possibile.
Il gabbiotto, sigillato, ha l’odore delle auto nuove.
Più si contorce e più mi sento stordito, Jessica accende tutte le mie perplessità e pure tutte le mie luci.
La stufetta elettrica infuocata emana calore vecchio, per nulla sgradevole.
Il duemilaventitre appena iniziato è già diventato l’anno della riscossa. Tutto ricomincia. Pure questo.
Mi sento stordito e stanco. Il nostro rapporto è stato intenso, oltre ogni aspettativa.
Il paesaggio riservato della stanza è sottosopra, anche se, indubbiamente, Jessica non ha opposto resistenza.
Fuori l’aria è rimasta quella di gennaio, fredda, umida, rassegnata e triste.
Torniamo sotto la veranda come se nulla fosse accaduto. Alle mie spalle una voce melodiosa chiede:
- Che c’è Andrea?
Raggiungiamo il distributore del caffè ovattato dalle decalcomanie del Natale passato.
Senza averlo premeditato, Jessica mi bacia e dice:
- Andrea, non sentirti obbligato.
- D’accordo.
- D’accordo e basta?
- Sì.
-Le mie labbra sono rigide come la diamonica che suonavo da bambino.
- Cosa c’è ? Non voglio apparire come una che si approfitta di un ragazzo.
Comincia a somigliare a quei vecchi fotoromanzi che leggeva mia madre il nostro dialogo: frasi brevi e intense accompagnate da espressioni esagerate e silenzi.
- Chi vuole difficoltà le trova, dico.
- Andrea non rinuncerei a te per nulla al mondo, ma non voglio angosciarti.
La tristezza la fa apparire più vecchia della sua età.
Rientriamo nel gabbiotto. Senza preoccuparsi di nascondere le sue parti più belle si tuffa sul piccolo divano.
Perry innervosito dal nostro celere ritorno mastica un avanzo nella ciotola.
Jessica scuote la testa, ha capito che la mia è solo gelosia. Mi sbottona i pantaloni, con la punta dei piedi scalcia le scarpe lontano un metro. Si piega su di me tenendo con una mano le ciocche dei capelli.
Non sono un distratto calpestatore di cuori, è solo colpa del mio carattere fasullo il mio atteggiamento di prima.
L’effetto erotico di quello che accade amplifica l’odore di un Arbre Magique.
Attaccato sul vetro.