
GiancarloGravilidipinti

Prima o poi si muore
Questa aria leggera
di poche parole
porta ricordi
e poche vocali
e sillabe mal messe.
Il vuoto riempie il vuoto
e si recide lo scricchiolio del tempo.
So cosa fare,
potrei essere male infernale
e invece mi ritrovo come un fiore di campo a godere
dell'aria della sera.
Bella questa vita che se ne va
e poi restano i versi del tuo compromesso.
Io vado dove l'anima è libera e occhi non la vedono.
Quando ogni male par ridere,
il silenzio compare e la tua vita s'avvolge d'ali
e un angelo indica il buio.
Un tempo scrivevo.
Un tempo che sarà altro tempo
mi vedrà anfora antica guardare quel tempo che fu dolore
Ultima lirica di mille altre che verranno
dove l'alba non ha notte
e le oscurità dipinte sono vite vissute.
Non amo i saluti che uccidono i vissuti.
Siamo solo fruscii che lievi lasciano tracce sulle anime,
niente più, niente altro.
E un sogno di ginestra custodirà i petali secchi
d'un'estate lontana che ancora mostra il suo calore
che nessuno potrai mai capire.
Mai ebbi troppe parole per parlare,
solo qualche verso
e quello che scrissi riempì i miei finti mondi
tanto finti da essere veri.
Ora finisce quest'ultimo rigo per tacere sul male ricevuto.
Cassandra senza ascolto
tace nelle voragini dei mostri marini.
Dorme il profumato tiglio
nel piano che cerca le sue note
nel mondo che nella sera si tinge le gote.
Porgo finzioni alle finzioni
brucio nella Ilios ferita dai cavalli Achei
e guardo il limite del mare
dalle terre d’Otranto
dove il tramonto non esiste
se non nel luccichio segreto dell’alba.
Il castello sogna albe e tramonti
divisi dai mari
che indossano gli ossimori per non incontrarsi.
Le corde che penzolano dalle case
impiccano l’aria appiccicata
che sale arrampicandosi sulle finestre
e gechi immobili fissano le pagine d’un diario
attraverso vetri di piombo.
Ricordo solo ora la dolcezza del risciacquo
che accarezzava la sabbia di cotone
e vedo nuovamente quel fazzoletto bianco
che s’agitava alla brezza legato.
Le navi d’Ulisse vagano nel Mediterraneo
e la mia mente scruta un passato sotterraneo
prigioniera degli incanti di Circe
soggiogata dalla giovane visione
del porto vecchio.
Sono vecchio
nel destino dei viali senza ritorno
nelle schermaglie delle battaglie inesistenti
tra le onde dei mari e quelle dei pensieri
tra un passo in salita
e il cerchio della luna preso fra le dita.
Vorrei dire
“cantami o Diva del pelide Achille”
per narrare le mie profondità lignee
per urlare poemi abbandonati
negli scogli degli errori.
Attendo eteree vesti bianche
nel sermone cantato dal tempo
nelle lezioni che queste erte mura danno
mentre appoggio membra distratte
nell’immaginifico orizzonte,
mentre i miei occhi vegliano la notte.
Ecco il vento
e i suoi sussurri leggeri
che ancora vogliono raccontare
le storie…
Ed io mi perdo in distese di prati gialli
lontano dalle acque
lontano da ciò che amo.
Muoio cosi nell’appoggiare il mento
sulla mielosa pietra
stringendo il mio poema
e sono Oriente
e mare
e terra.
In questa Otranto dimenticata
nel cuore d’un agosto
che mai ebbe vita.
«Cantami amata mia musa dei tuoi occhi, io che non vedo, io che per vivere ogni volta devo morire nella sera nei tracciati delle stelle, nei declivi della terra, nelle terre arse e brulle, nelle fronde dei mediterranei pini. Io che come Ulisse viaggio senza tempo per mari inesistenti alla ricerca della mia persa Itaca»