Vivo in una gabbia buia e minuscola, in quella che gli umani chiamano Fattoria della bile.
Insieme ad altri orsi, trascorro le mie giornate con un oggetto metallico infilato nell’addome.
Nessuno si cura della nostra agonia.
La porta si apre.
Stanno venendo a prelevare la bile.
Oggi è il turno di una donna mai vista prima.
Insieme a lei ci sono due persone.
«Accendi la telecamera» dicono.
La donna allunga la mano verso di me, io infilo la zampa tra le sbarre e la sfioro.
«Presto sarai libero, ti porteremo in un santuario» dice «lì potrai rinascere.»
Non so cosa sia un santuario, ma ha un bel suono.
Insieme ad altri orsi, trascorro le mie giornate con un oggetto metallico infilato nell’addome.
Nessuno si cura della nostra agonia.
La porta si apre.
Stanno venendo a prelevare la bile.
Oggi è il turno di una donna mai vista prima.
Insieme a lei ci sono due persone.
«Accendi la telecamera» dicono.
La donna allunga la mano verso di me, io infilo la zampa tra le sbarre e la sfioro.
«Presto sarai libero, ti porteremo in un santuario» dice «lì potrai rinascere.»
Non so cosa sia un santuario, ma ha un bel suono.