Giustizia è fatta! Questa sì che è una buona notizia per me, da sempre contrario a seni a palloncino e tette di marmo.
Contrario fin da quando, con gli amici ancora imberbi, si folleggiava e si sognava ai lap dance clubs. Ragazze in topless, su improbabili trampoli luccicanti, ci si strusciavano addosso esortandoci ad infilare, timidi e imbarazzati, una banconota da cinque dollari negli slip e, subito dopo, facevano sobbalzare i loro meloni davanti ai nostri occhi spalancati: movimenti innaturali che sfidavano le più elementari leggi della fisica.
Mi lasciavo coinvolgere anch’io, travolto da quell’atmosfera goliardica e burlesca, ma mi sbagliavo. Erano gli uomini ad amare quelle improbabili mammelle o erano le ballerine ad autoconvincersi di essere più apprezzate dopo un intervento di chirurgia estetica?
Le misure del seno delle ballerine, quelle vere, quelle del Crazy Horse, quelle del Lido, sono ben diverse. E se la leggenda vuole che la perfezione si adatti ad una coppa di Champagne, la forma perfetta pare sia stata effettivamente modellata sul seno di Madame de Pompadour.
La forma… eggià; non è meglio una naturale diversità, con qualche piccolo difetto, rispetto alla perfezione di semisfere sempre sull’attenti? Vogliamo cancellare dal panorama femminile le pupp’a pera, o quelle a goccia, o quelle a punta? Forse, e dico forse, sarei d’accordo per intervenire e portare un poco più in su solo quelle a ciabatta, o a orecchie di cocker che dir si voglia, almeno quando hanno raggiunto il livello dell’ombelico.
Giustizia è fatta! I giudici hanno dato ragione a quelle poverette che hanno speso i loro risparmi mettendo a rischio la salute. Rifarsi il seno provoca più danni che fumarsi un bel pacchetto di Marlboro, rosse ovviamente… magari senza filtro.
E ora, come già successo a Philip Morris, a British American Tobacco e agli altri colossi del tabacco che per anni hanno avvelenato mezzo mondo, anche la Dow Corning dovrà risarcire quasi 200 mila donne: oltre tre miliardi di dollari costerà questo scherzetto!
Hanno creato dipendenza questi furbetti del silicone, proprio come avevano fatto quelli del tabacco, che aggiungevano formaldeide e altre perfide sostanze per tenere incollate le sigarette alle labbra dei clienti… dei consumatori, come si usa dire oggi.
Più subdoli, i geni del marketing della Dow Corning, propinavano sugli schermi di tutta l’America donne dal seno perfetto con scollature vertiginose e bagnine che correvano lungo spiagge affollate inseguendo la loro quinta misura. E quale uomo non avrebbe voluto essere salvato da Pamela Anderson? E quale donna non avrebbe voluto emulare movimenti così sensuali?
Galeotta fu l’annual convention organizzata dalla New York State Funeral Directors Association all’Hilton di Dallas, proprio nei giorni in cui la Dow Corning invitava ad un ricevimento in grande stile clienti passate e future nella ballroom dell’albergo. Due sale da ballo dedicate e due diversi eventi… nella stessa serata. Riservata alla cura della dipartita dei propri cari la prima, all’esaltazione della bellezza e delle forme la seconda. Immaginate voi quale delle due avrebbe calamitato l’attenzione del grande pubblico! Casse in mogano e lapidi in marmo di Carrara dovevano competere con cow-girls con la camicetta sbottonata, annodata a fatica sopra l’ombelico.
Finì come doveva finire. Addetti ai lavori delle pompe funebri, camicia bianca, giacca nera, cravatta nera, si cimentarono in danze country accompagnati da un tripudio di capezzoli che facevano capolino tra i quadretti delle bluse formato mignon.
Anche mia moglie, che mi aveva accompagnato al convegno, ci è cascata. Ero contrario, io; e ho resistito a lungo, io. Ma quando è stata personalmente invitata dalla Dow Corning a partecipare al ricevimento nella ballroom al 37° piano del Rockfeller Centre, ho dovuto arrendermi. Signore tacco 13, abiti che svolazzavano a filo del marmo, scollature che raggiungevano l’ombelico: i cavalieri, nei loro eleganti smoking, non sapevano più da che parte voltarsi per non lasciar cadere l’occhio, in modo eccessivamente smaccato, nella Silicon Valley. E così, la sera, a casa, dopo pianti ed insistenze, ahimè, ho ceduto. E anche lei ha trasformato la sua piccola e graziosa prima di reggiseno in una terza abbondante.
Non l’avesse mai fatto… con il senno del poi! Poco dopo sono iniziate voci di gravi danni alla salute, incidenti di vario tipo, incluso lo scoppio di protesi... in aereo, ma non solo. Così, prima che fosse troppo tardi, mia moglie le ha fatte rimuovere con il risultato che le pur piccole ciliegine naturali che puntavano dritte al cielo, si sono trasformate in prugne secche che mirano meste agli alluci dei piedi!
Che faranno ora le donne? Smetteranno di farsi inserire cuscinetti in silicone sotto la pelle? No, non credo. Come la gente non ha smesso di fumare quando si è dimostrata la tossicità del tabacco.
Ed io dovrò tenerne conto, anche nel mio mestiere: fa parte del rischio del mio lavoro. “Che c’entra?” direte voi.
C’entra… c’entra; ed è uno dei motivi in più per cui sono contrario alle tette rifatte.
Lasciamo perdere l’effetto che fanno su alcuni dei miei dipendenti quando preparano la cara estinta per il funerale. Mentre la carne e i tessuti delle poverine, dopo poche ore, iniziano a cedere e lasciarsi andare, il seno rimane lì, duro, turgido.
Ho visto con i miei occhi alcuni dipendenti, nell’oscurità della camera ardente, indugiare con carezze e massaggi prima di procedere alla vestizione del cadavere; ne ho fin licenziato in tronco uno, sicuramente necrofilo, che allo stesso tempo aveva fatto scivolare la mano a maneggiare il suo arnese.
Se a questo aggiungiamo la pratica di imbalsamazione, sempre più richiesta dai parenti per permettere l’esposizione del defunto anche per diversi giorni, ci troviamo di fronte a corpi che poco si differenziano dalle real dolls in silicone che tanto spopolano oggi nei sexy shops. Il distacco tra il defunto e la famiglia sarà anche meno brutale ma, se la salma ha una quarta abbondante e non è troppo avanti negli anni, induce pensieri non proprio casti, almeno tra chi non è uno stretto parente.
Ma vi siete mai chiesti cosa succede alle protesi mammarie quando si muore?
Io sì! Come impresario funebre devo occuparmi dell’organizzazione del personale, dei mezzi e delle attrezzature. E quindi?
Passi per le signore che vengono sepolte; sarà cura dei becchini raccogliere i cuscinetti di silicone e smaltirli a tempo debito, insieme a denti d’oro, protesi d’anca in titanio e pile di pacemaker… tenendo conto che i tempi di decomposizione di questi ‘accessori’ risultano ben più lunghi di quelli di muscoli, ossa ed altri tessuti.
Ma le donne che scelgono di essere cremate? Sono un bel dilemma per i fornitori, come me, del servizio funebre.
Ebbene, ve lo dico io: le protesi esplodono nel forno di cremazione e questo può compromettere la buona riuscita della procedura.
E quindi? Sono stato… siamo stati costretti a chiedere ai parenti di firmare liberatorie! Che si assumano loro la responsabilità di esser chiamati a rispondere per il rimborso di eventuali danni causati al crematorio dall’esplosione delle protesi.
Per non parlare delle lamentele che si ricevono dai congiunti quando si vanno a recuperare le ceneri, trovandole impastate in mezzo al silicone.
Giustizia è fatta! E speriamo serva a qualcosa… almeno a fare riflettere prima di prendere decisioni avventate. Scusate se il filo di queste mie dissertazioni è risultato a volte confuso; sono troppo coinvolto nell’argomento e i pensieri mi hanno assalito prepotenti e disordinati… ma il concetto penso sia chiaro!