“Efeso, ti prego, aspettami qui” disse il maestro togliendo la mano del giovane dalla sua spalla.
“Non mi muovo, maestro, mi troverai qui” rispose l’atleta tradendo una certa emozione.
“Abbiamo una possibilità…” sussurrò il maestro prima di varcare la soglia del bulé.
Non appena l’allenatore fu nella stanza, tutti gli occhi erano puntati su di lui. Gli sguardi erano indifferenti ma penetranti e questo gli provocò un certo imbarazzo. Sapeva di essere un bersaglio.
“Milone,” esordì con tono sprezzante il più anziano del consiglio, “sostieni dunque che il ragazzo possa prendere parte alla gara?”
“Assolutamente. Il giovane Efeso è un atleta a tutti gli effetti, come gli altri” rispose deciso.
“Ciò che stai dicendo è molto grave. E’ contro natura, contro gli dei!” esclamò uno dei giudici di gara presenti nella stanza.
“Se così fosse, gli dei mi avrebbero punito, non è la prima volta che faccio queste affermazioni” ribatté Milone.
“Ho saputo che il giovane s’è rivolto all’oracolo di Zeus nella speranza di avere una grazia che a quanto pare non è arrivata” lo riprese l’anziano alzando gli occhi. Gli altri presenti risero.
“In compenso,” disse l’allenatore senza scomporsi, “Efeso sembra aver acquistato più vigore, sia nel fisico che nell’animo. Tutti conoscete i suoi risultati nel lancio.”
“Questo è noto” ammise il vecchio visibilmente infastidito.
“Efeso chiede soltanto di poter partecipare alla gara. Si è allenato duramente, con impegno e dedizione. Da quando si è rivolto all’oracolo crede di avere il favore degli dei. E, mestamente, ora chiede il vostro beneplacito.”
Milone aveva la fronte imperlata di sudore. Era nervoso. Il disprezzo che quegli uomini provavano per lui era mischiato all’aria che respirava.
“Puoi andare, Milone” disse il capo del consiglio indicando l’uscita, “a breve ti faremo sapere la nostra decisione.”
“Maestro,” sussurrò Efeso, “percepisco l’odio e il disprezzo nei miei confronti. Spero che questo non pregiudichi la mia gara.”
“Non accadrà, vedrai,” lo rassicurò Milone, “tu resta concentrato sul lancio e pensa sempre a tutti i sacrifici che hai fatto per essere qui. Trasforma il disprezzo in energia, l’odio in forza e lancia il disco come solo tu sai fare.”
Gli spalti dello stadio erano gremiti. Gli spettatori urlavano e applaudivano gli atleti. La sacra fiamma ardeva nel braciere alimentata dall’entusiasmo e dal piacere degli dei.
Fu finalmente il turno di Efeso. Milone, tenendo la mano del giovane appoggiata sulla sua spalla, lo accompagnò in pedana. Prima di lasciarlo, lo accarezzò. Non disse una parola. Il pubblico era ammutolito.
Efeso strinse il disco nella mano. I muscoli in tensione accentuarono le forme del suo corpo ricoperto da una patina di sudore luccicante. Puntò i piedi e iniziò la torsione. Pensò intensamente al disco, agli spettatori, agli dei, ai suoi avversari e a Milone, il suo maestro e primo sostenitore. Sentì un brivido partigli dal tallone, che gli fece via via tendere i nervi come la corda di un arco. Scagliò il disco con tutta la forza che aveva, lanciando un urlo amplificato dal cielo sopra di lui e dal silenzio dei presenti. Il disco cadde con un tonfo sordo, rimbalzando tre volte prima di fermarsi nell’erba.
Il pubblico era in delirio. Efeso capì cosa aveva fatto soltanto quando fu travolto dall’abbraccio del suo allenatore.
“Efeso,” disse Milone con le lacrime agli occhi, “hai fatto qualcosa di grande!”
“Credo sia anche merito tuo, maestro!” rispose l’atleta.
“Li hai stracciati, per tutti gli dei!” lo incalzò Milone, palesemente in visibilio.
Efeso era felice, copiose lacrime iniziarono a solcare le sue guance rosee. Aveva vinto la gara, ma soprattutto aveva sconfitto il pregiudizio. Da quel momento fu chiaro a tutti che chiunque aveva una possibilità. Gli dei avevano tolto qualcosa alla sua vita e gliel’avevano restituita in un’altra forma.
“Maestro,” esclamò Efeso, “arde ancora la sacra fiamma?”
“Oh sì, campione, più vivida di prima!” rispose Milone.
“Bene, accompagnami là vicino. Se non posso vederla, vorrei almeno sentire il suo calore sul mio corpo.”